Il giardino elettrico di Simone Caltabellota è un romanzo d’esordio ma presenta tutte le qualità di un romanzo successivo: la padronanza della scrittura, un’architettura solida nonostante la difficoltà di una materia che si intreccia con l’impalpabilità dei ricordi, dei passaggi dimensionali, dello svanire e riapparire evanescente dei protagonisti. Ragazzi e trentenni, fantasmi, innamorati si muovono in una Roma magica e misteriosa, immobile, palcoscenico onirico delle loro vite, dei loro amori, dei loro suicidi. Laddove si toccano esistenze spirituali e fisiche, energie sottili, dove la sfera tangibile si interseca a quella del possibile – e dell’impossibile – lì è il giardino elettrico.
Oltre ai personaggi, gli elementi fondanti del romanzo sono diversi e la loro sostanza non permette di trattarli casualmente, pena il caos. Ma questo scrittore nato come direttore editoriale della Fazi, fondatore della Lain, creatore della label musicale Sleeping Star, ora membro del comitato editoriale della Elliot, li governa con sapienza. In primis, il tempo. Il lettore compie il balzo, partecipa del ricordo emozionandosi e riesumando il proprio, segue la parabola temporale perdendosi solo per poi ritrovarsi dove l’autore ha deciso:
«Ludovica adesso è ancora a spasso con Greta quando qualcosa, un bagliore nel verde del parco reso scuro dalla sera e dall’intrico della vegetazione disordinata e fitta, le ricorda il momento in cui entrando nel bar quella notte di parecchi anni fa aveva visto Davide. Allora lei aveva sentito che lui era lì ancora prima di riconoscerne la figura, che le era sembrata familiare e nuova insieme, come se Davide senza di lei avesse sviluppato dei tratti diversi, inaspettati e in un certo senso misteriosi, su cui lei forse non aveva più lo stesso potere di prima».
Le sensazioni e le percezioni individuali sono riportate con l’intensità di una scrittura limpida, a tratti lirica, delicata. Giungono con la loro capacità liquida e il loro potere pervasivo, e subito sgusciano via nel silenzio, ritirandosi nella sfera dell’impalpabile. Poi ci sono i luoghi romani, luoghi dell’amore e della sua fine: «Ogni giorno faccio visita al mio cuore. È qui, tra i palazzi e le strade, di fronte a un busto di marmo dimenticato al margine di piazza Venezia, dietro il cielo grigio di oggi che sta per sciogliersi in pioggia. Accanto a un giovane uomo che non sa più chi è e che forse ha smesso di domandarselo. È qui, nelle quinte invisibili della città, dove il tempo torna su se stesso e rende ferma e nuda ogni cosa». E se i luoghi diventano anche luoghi dell’anima, la metafisica dell’amore esplode nel più semplice dei suoi gesti, il bacio. Giuseppe, Benedetta, Davide, Ludovica, la ragazza del Big Star e gli altri si baciano, mentre le loro vite scorrono sospese nel frammento di eternità che spetta loro, e altre anime aleggiano intorno, si baciano i ragazzi che si amano e quelli che hanno perso senza spiegazione un amore così forte.
Questo libro è un gioiello. Prezioso, luminoso. Ed elegante nelle sue rivelazioni fugaci: «È un foglio di carta trascinato via da un vento improvviso, la felicità».
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