Il noir norvegese fatica molto (a differenza del suo “cugino” svedese) a imporsi sul mercato italiano: nonostante i tentativi (invero timidi) per imporre al nostro pubblico una non disprezzabile tradizione narrativa,  il risultato non è stato incoraggiante.

Al momento i risultati migliori sembra li stia conseguendo la scrittrice Karin Fossum della quale sono stati tradotti due (quello preso in considerazione adesso è già all’edizione economica) dei tre romanzi dedicati all’ispettore Konrad Sejer della Polizia di Oslo

È chiaro che il lettore latino aprendo uno di questi gialli nordici vada in cerca, fatalmente, di un certo esotismo che collimi con le proprie conoscenze e i propri pregiudizi. La Fossum sembra volersi allegramente prendere gioco di tali lettori: la Oslo che ci appare tra un viaggio e l’altro (il delitto di una quindicenne avviene infatti nel vicino villaggio – reale o immaginario - di Lundeby) è assolutamente anonima, nulla inclina verso il folklore scandinavo. Viceversa quando l’azione si sposta a Lundeby che pare, appunto, un grumo di case sulle rive di un fiordo da cartolina, ecco che ci guida all’interno di quelle variopinte casette squadernandoci un’umanità assai diversa dagli stereotipi e molto, troppo vicina a noi: un robusto e ingenuo “down” che tuttavia mostra un preoccupante debole per le bimbe; un atletico allenatore che è già stato condannato per stupro; e poi adolescenti segnati da un’infanzia di violenza (Halvor Muntz, il giovane fidanzato della morta); e altri già schiavi della cultura imperante dell’immagine (se maschi, gonfi di anabolizzanti, se femmine, ridotte per tutta la propria vita alla contemplazione – metaforica – del proprio ombelico); e per finire famiglie smembrate e ricomposte alla meglio con padri abbandonati al loro alcolismo, madri autoritarie e oppressive, figli che cercano di ritagliarsi una loro normalità nel silenzio.

Il bel quadretto è infranto e la Fossum ha buon gioco nel far muovere tra questi taglienti frammenti di vita la sua coppia investigativa: il giovane agente riccioluto Jacob Skarre e l’imponente ispettore di mezz’età Konrad Sejer. Quest’ultimo, che ha trascorso la sua infanzia in Danimarca, vedovo da diversi anni della sua adorata Elise, vive solo con il cane Kollberg; ha una vecchia madre malandata, ma i suoi affetti più radicati sono la figlia Ingrid e il nipote adottivo somalo Matteus; in ogni caso alla fine del romanzo si ritroverà di nuovo solo perché figlia e genero si trasferiranno in Somalia ancora una volta per portare aiuto a quelle popolazioni.

Privo di certezze e di fede religiosa, guarda con stupore il suo giovane collaboratore che invece ha trovato nella fede uno strumento sicuro ed efficace per dare un senso alla propria vita. A vederlo interrogare l’uno dopo l’altro gli abitanti del villaggio nel disperato tentativo di scoprire l’assassino della giovane e apparentemente amatissima Annie, potrebbe sembrare un clone scandinavo del commissario Maigret: anche lui infatti ha bisogno di respirare l’atmosfera del luogo per penetrare ancora più a fondo nei meandri dell’indagine. Ma la sua vita familiare è ben più ricca e complessa del suo collega parigino e nell’inchiesta, pur manifestando comprensione e sensibilità (qualità sconosciute per esempio al suo capo Holthemann), tuttavia appare meno massiccio e testardo, più duttile e insinuante dell’immortale eroe di Simenon.

Bisogna comunque riconoscere che l’interesse prevalente della Fossum nel delineare questa insolita provincia norvegese rallenta sensibilmente nella prima parte del romanzo il ritmo con un pazientissimo lavoro di accumulazione di labili indizi che sembrano sfidare la resistenza degli investigatori e dei lettori.

Solamente nel finale due colpi d’ala imprimono alla narrazione due svolte drammatiche: quando finalmente emerge la dolorosissima e, a modo suo, umanissima motivazione dell’omicidio della giovane Annie; e quando, con una perfetta circolarità, il romanzo si chiude, in modo inquietante, così come si era aperto con il giovane “down” che porta con sé la bambina Ragnhild e lei, nonostante la brutta avventura iniziale, lo segue senza problemi.

Nel complesso quindi questo Lo sguardo di uno sconosciuto è un buon romanzo che testimonia della bontà della scuola scandinava, al di là delle sue più acclamate punte di diamante (Mankell e Nesser), e che ci fa ben sperare in prossime e numerose traduzioni dalla scuole poliziesche “cugine”.

 

Voto 7.5