La mattina dopo una di quelle interminabili nottate insonni l’avvocato e il suo amico poliziotto si trovarono a prendere un caffè in quella grande piazza che era risultata dalla distruzione del vecchio Ghetto.

- Terenzio, io t’ho avvisato: bada che non c’è scampo in quest’affare. La cosa sta prendendo una coloritura politica.

- Sarebbe a dire?

- Guardati intorno! E’ questa l’Italia nuova: qui c’era il ghetto, vicoli sordidi in cui persino noi poliziotti non osavamo entrare: e ora luce, aria, pulizia! La gente vuole questo, ordine e progresso, e non ci sarà pietà per un rivoltoso.

- Sicuro che mi guardo attorno, perbacco! - ruggì quell’altro - Qui c’era la vecchia Firenze: c’erano i poveri e i ladri. L’hanno sfrattati tutti, con la scusa di bonificare una parte infetta di città: e li hanno deportati a San Frediano, in vicoli squallidi come quelli di prima! Dimmi: che fine han fatto le torri dei Caponsacchi e degli Anieri? E le chiesette di san Piero, Sant’Andrea, Santa Maria in Campidoglio? Ma già: qui han sventrato Firenze, han fatto quest’orrore sabaudo che non c’entra nulla col medioevo e con Firenze antica: e han fatto soprattutto milioni di lire, le ditte vicine alla tua cara Casa Savoia: tutto nel nome dei poveracci che han spedito a San Frediano a crepare proprio come prima!

- Ecco vedi: così lo farai ammazzare quel tuo Nannini. E magari finirai alle Murate tu pure. Non lo sai che c’è lo stato d’assedio nel contado? Che non fanno che scioglier circoli socialisti e repubblicani ed arrestar gente? Metti la testa a posto, bischero!

I giorni passarono veloci e Morosini aveva mille cose da pensare, sempre di più via via che si avvicinava il processo. Tormentare i medici perché si decidessero a dichiarare alienato il Nannini: pensare alla sua famiglia: raffreddare l’aspetto politico e sociale della questione, perché il suo amico aveva ragione, Morosini lo sapeva: se l’opinione pubblica identificava l’imputato con i rivoltosi la partita era chiusa. E tuttavia non smetteva di riflettere, non riusciva a smettere di pensare a quella disgraziata storia che aveva tra le mani. L’uomo che si voltava, la revolverata... Aveva la sensazione che gli sfuggisse qualcosa: provava la fastidiosa sensazione di star trascurando un particolare. C’era una nota stonata, da qualche parte: il suo orecchio sensibile avvertiva la stecca, ma non riusciva a capire da dove venisse.

Quella sera pioveva. L’avvocato si versò pensieroso un dito di vinsanto e fissò pensieroso il fuoco del camino, con i fogli delle relazioni mediche in mano illuminate dalla modernissima lampada a gas. Il dettagliatissimo rapporto dell’autopsia, che descriveva il foro d’entrata della pallottola, la ferita netta, pulita, precisa, il buco sul vestito. I suoi pensieri vagavano, come al solito, al Nannini, all’omicidio, al suo sconosciuto particolare trascurato. Una sensazione, certamente, senza nessuna importanza reale. Eppure... Basta, doveva fare qualcosa o avrebbe passato, se lo sentiva, un’altra nottataccia. Leggere, ecco, leggere sembrava una buona idea. Allungò la mano e afferrò la prima cosa che gli capitò: un volumetto della “Biblioteca Azzurra” dell’editore Verri, di Milano, che aveva comprato qualche settimana prima. Le avventure di Sherlock Holmes si chiamava, e Morosini si sorprese ad augurarsi che quel tizio passasse da Firenze, per poterlo consultare sul suo caso. L’avventura si intitolava “Il cavallo da corsa” ed era una bella storia: fu preso subito dalla vicenda, e dentro di sé fu contento di averla scelta: si distraeva completamente, assorto nella lettura. Fu colpito in particolare da una battuta, che lo fece sorridere, quando l’investigatore aveva dichiarato che l’indizio più importante era stato lo strano incidente del cane. Quando gli astanti, stupiti, avevano fatto notare che nessun cane aveva abbaiato, lui aveva ribattuto: “questo appunto è l’incidente curioso”: in effetti il cane non aveva abbaiato perché lo stesso stalliere aveva compiuto il furto su cui si indagava. A volte bisogna stare attenti a quello che manca, pensò Morosini versandosi l’ennesimo bicchierino, non a quello che ti sciorinano davanti.

Lasciò cadere il bicchierino, che si infranse in mille pezzi. La Nella arrivò subito, e si spaventò quasi a vederlo così , come fulminato, mezzo a sedere e mezzo in piedi, con gli occhi sgranati e la bocca spalancata.

- Avvocato! Che c’è? Si sente male?