Suonava, il violino, e le note leggere e vibranti s’innalzavano per l’aria, rincorrendo il fumo che usciva dai camini e l’odore di legna bruciata che si spandeva tra le case. In una piazzetta proprio dietro via Larga, tra i fischi dei fiaccherai e il rumore degli zoccoli sul terreno, quella musica si infilava sottile nel rumore di fondo, come una lama di coltello. Morosini sostò un attimo, fissando la finestra del primo piano aperta e immaginandosi il musicista: bravino davvero, certo non un principiante, anche se non ancora a livelli professionistici. Uno studente, forse, o una giovane allieva, chissà. Era un esercizio, certo, ma aveva una sua melodia, una sua bellezza, ed era eseguito con decisione e speditezza. La musica comunque, lo mise di buon umore, come sempre gli succedeva, e gli diminuì quel saporaccio amaro che sentiva in bocca e sul cuore, dalla mattina: da quando gli era piombato addosso quell’incarico.

- Suonano, avvocato. Vado ad aprire - gli aveva detto la vecchia Nella, la tata che l’aveva allattato, cullato, viziato e che ora gli faceva da governante. Non era mai riuscito a farsi richiamare Terenzio, come quando era bambino, dal giorno in cui si era laureato: figurarsi, ci teneva troppo la Nella a far sapere a tutti che il suo ragazzo era diventato avvocato.

Lui se l’era sentito subito che era una rogna, quando si era visto entrare in casa quelle contadine tutte in gramaglie, timide e vergognose, lo sguardo a terra. Si alzò dal tavolo dove faceva colazione: già odiava tutta la situazione. Quella gente in piedi e lui seduto, come un signore davanti ai servi. Nella avrebbe potuto farle aspettare di là, che diamine! Le contadine erano lì, sulla soglia, che non osavano nemmeno entrare: quattro o cinque erano, e dietro Morosini intuì, più che vederli, due uomini, col cappello in mano e la giubba di panno buono.

- Venite buona gente. Che v’occorre?

La risposta tardava, mentre loro si avventuravano lentamente, un passo dopo l’altro, guardandosi cautamente intorno, nel salotto buono di casa Morosini, quello a cui suo padre, buonanima, tanto teneva. Restavano in gruppo, i contadini, si stringevano l’uno all’altro per farsi coraggio: e l’avvocato notò che si erano messi tutti le scarpe, per rispetto: e indovinò che se le fossero infilate giù al portone, dopo averle portare fin lì in mano, per non sciuparle.

- Via non abbiate paura. Lo sapete che son con voi.

Terenzio Morosini, avvocato, era davvero dalla parte loro. Socialista, repubblicano, libero pensatore, anarchico e ateo, proclamava, per la disperazione del suo povero babbo, che se avesse potuto esser qualche altra cosa contro il Re, lo sarebbe stato senz’altro. Impulsivo, guascone, facile a entrare in collera come a rabbonirsi, burbero ed appassionato, era però il migliore avvocato di Firenze: la buona borghesia lo sapeva bene, e sopportava le sue idee pur di farsi difendere in Corte d’Assise. Aveva cinquant’anni forse, all’inizio di questa storia: i suoi erano morti, senza riuscire a fargli mettere la testa a posto, e senza aver neppure la consolazione di vederlo metter su famiglia. Era rimasto solo con la vecchia Nella nel bell’appartamento signorile dei Morosini, anche se tanti cuori femminili in città spasimavano per lui, liberi o no che fossero: e anche se la sua vita amorosa era più piena dell’Arno gonfio d’autunno.

- Son dei vostri, buona gente, lo sapete.- ripeté.

Alla fine parlarono, piangendo. E lui capì in che razza di guaio si era cacciato.

L’anno era il 1898, il mese quello di maggio. C’era Di Rudinì al potere a Roma, e dietro di lui lo stesso gruppo di sempre: quello che aveva risanato le finanze del paese, dissanguato dalle guerre, con tasse feroci che strangolavano la gente: quello che aveva tentato la guerra in Africa per dar sfogo ai disoccupati: quello che sotto gli ordini del “Re Buono” stava massacrando a cannonate la gente che protestava: più di cento vittime solo a Milano. Il rincaro del pane, per via del rifiuto del governo ad abbassare i dazi, aveva fatto infiammare gli animi: e anche tutto d’intorno a Firenze, nei paesi, braccianti operai e trecciaiole erano in rivolta.

- Avvocato, noi di pane si vive. E’ l’unica cosa che possiamo permetterci: e anche così, anche così si more di fame. E ora ce lo tassano! O un fanno prima a spararci in viso direttamente?

- Taci, Zane, che se t’ascortano ‘un ci pensan du’ vorte. Hai visto a Sesto? Quattro n’hanno stecchiti l’altra settimana: c’era financo un