Sulla copertina di questo romanzo campeggia lo strillo "il primo thriller no global", definizione frutto di un furore classificatorio che sembra non avrà mai termine; poco sotto, una nota di Naomi Klein (autrice di No Logo, vera e propria "bibbia" dei movimenti) incita "leggetelo prima che lo ritirino dal mercato". Ce ne sarebbe abbastanza per considerare il libro una paccottiglia scritta tanto per vendere, sull'onda lunga del dibattito intorno alla globalizzazione.

Invece questo Logo Land del giovane Max Barry si rivela una sorpresa, un gradevole romanzo thriller che rivisita l'antico genere letterario della distopia, ossia l'utopia al contrario, della quale 1984 è probabilmente l'esponente più noto.

Siamo in un futuro talmente vicino da essere praticamente dietro l'angolo. In questo futuro tutto – ma proprio tutto – è in mano alle corporation; un liberismo sfrenato ha messo in ginocchio i governi, che ormai rappresentano poco più che una facciata. Gli stessi esseri umani hanno un senso e una identità solo nel momento in cui lavorano per qualche azienda, tanto da assumerne anche il nome: Hack Nike lavora per la Nike, Jennifer Government (che dà il titolo originale al romanzo) è un'agente del governo, ridotto alla stregua di una corporation esso stesso e costretto a chiedere finanziamenti ai parenti delle vittime per investigare sui delitti.

All'inizio del romanzo, la Nike decide di passare a un marketing che definire aggressivo sarebbe un delicato eufemismo: ordina infatti a Hack Nike di eseguire una campagna pubblicitaria per l'ultimo modello di scarpe da ginnastica consistente nell'ammazzare a fucilate la prima dozzina di persone che le acquisterà. L'importante è che se ne parli, in fondo.

Da questo spunto in poi le cose non fanno altro che peggiorare. I corporates metteranno in atto strategie aziendali violente e riprovevoli, non ponendosi neppure uno scrupolo, stringendo il governo in una morsa sempre più stretta; una vera e propria guerra tra blocchi aziendali si profila all'orizzonte, combattuta non più in borsa, ma direttamente coi fucili e i carri armati.

Il romanzo è una storia corale che segue le gesta di una decina di personaggi tra dirigenti corporativi, impiegati, agenti del governo, attivisti no global e semplici cittadini che cercano solo di vivere una vita decente. L'alternanza delle storie è serrata e velocissima, quasi da videoclip, con gli eventi che si susseguono a un ritmo precipitoso; forse troppo, tanto che alcuni di essi avvengono "fuori schermo", quasi come se l'autore avesse fretta di affastellare gli avvenimenti senza perdere tempo in minuzie. Anche i personaggi non sono troppo dettagliati, con la parziale esclusione di Jennifer Government e del suo principale antagonista; ma del resto nella società omologata di questo immediato futuro, avere una identità precisa sembra essere un bene decisamente di lusso.

Dove il libro eccelle è invece nell'introduzione di tanti piccoli particolari che raccontano un mondo definitivamente impazzito: dagli asili Mattel alle leggi che impediscono al governo di arrestare le guardie private delle aziende, dall'indifferenza generale di fronte alla violenza endemica all'assunzione del nome della ditta per cui si lavora. Memorabile – e quanto mai attuale – l'arringa dell'antagonista principale, che dovendosi difendere dall'accusa di aver scatenato una guerra fra corporations, si chiede: c'è davvero tanta differenza tra ingaggiare un mercenario per sparare a un avversario e stremare fino alla morte quei bambini che cuciono palloni e scarpe da ginnastica, oppure uccidere lentamente l'umanità con gas di scarico e rifiuti inquinanti?

Insomma, un romanzo di piacevole lettura, divertente e tragico nello stesso tempo, che lascia anche qualche spunto su cui riflettere. Un autore da tenere d'occhio, che ha anche realizzato un'originale forma di pubblicità per il proprio libro: il gioco online www.nationstates.net