Nel primo secolo dopo Cristo un autore ignoto scrisse un testo apocalittico in cui riportava anche l’esperienza di guardare nel futuro, da cui il nome “iniziato” dato a questo autore: Hanokh in ebraico, ma meglio conosciuto in seguito come Enoch. Forse questa fu l’ispirazione per “Enoch Soames” di Max Beerbohm.

Londinese classe 1872, Beerbohm frequentava i circoli letterari decadenti di fin de siècle ed amava scrivere racconti fantastici e spesso parodistici: quello citato è raccolto nell’antologia “Seven Men” (1919), e in Italia ne “L’ipocrita e altri racconti” (Bompiani 1947).

L’incipit è fulminante: in un gioco temporale l’io narrante della prima decade del Novecento si tuffa indietro nel 1893 ed immagina una futura opera di un certo Jackson Holbrook che tratti della storia della letteratura degli anni intorno al 1890. Ripresi dal capogiro temporale, sappiamo che quest’opera annovera tutti gli scrittori di un certo peso di quell’epoca... ma come un faro risplende la totale mancanza della voce Soames, Enoch. Charles Willeford nel 1971, per “Il quadro eretico” (The Burnt Orange Heresy), userà lo stesso incipit al contrario: il romanzo inizia con una immaginaria “Enciclopedia internazionale di belle arti” che contiene un pittore le cui opere sono state inventate dall’io narrante: nel nostro racconto, invece, l’immaginaria opera enciclopedica non riporta il povero scrittore Enoch Soames, e questo dà il via - e conclude - gli avvenimenti del racconto.

Max Beerbohm
Max Beerbohm
Il non meglio identificato io narrante del racconto di Beerbohm conosce Enoch perché questi, scrittore esordiente, vorrebbe esporre un proprio ritratto nella quarta di copertina del suo libro di poesie di prossima pubblicazione, e sa che l’io narrante esegue ritratti e caricature. Il rifiuto è secco, e la motivazione è: «Come si può fare il ritratto a un uomo che non esiste?»

La frase sibillina si riferisce al fatto che Enoch è un uomo sfuggente, schivo, che risponde a monosillabi alle domande e infarcisce di estenuanti locuzioni francesi le proprie frasi. Il titolo del suo primo libro poi è emblematico: “Negazioni”. Il narratore ha provato a leggerlo, quando gli avevano ventilato l’idea di dover fare il ritratto dell’autore, ma non ne aveva ricevuto che sensazioni negative. «Che cosa fosse, non fui proprio mai in grado di dirlo. Non ero mai riuscito a capir nulla di quel sottile libretto verde. Nella prefazione, non trovai il filo per l’esiguo labirinto del contenuto, e in quel labirinto nulla che potesse spiegare la prefazione.»

La prefazione è piena di frasi del tipo «La vita è un tessuto, e in esso non v’è ordito né trama, ma soltanto il tessuto», mentre quello che segue, “Stark, Racconto”, «raccontava la storia di una midinette [una commessa] la quale, da quel che potei comprendere, assassinava, o stava per assassinare, un manichino. [...] Poi, un dialogo tra Pan e sant’Orsola; che, lo sentivo, mancava di vigore. Poi, alcuni aforismi (intitolati aforismata).» Insomma, di sicuro non un libro di facile lettura, e sebbene l’io narrante si sia sentito obbligato a comperarlo («Non comperare un libro del quale avessi veduto in faccia l’autore sarebbe stato per me, a quei tempi, un impossibile atto di abnegazione»), non si sente certo obbligato a farselo piacere.

 

C’è però una domanda che nasce spontanea: visto che molti grandi maestri della letteratura non sono stati né capiti né apprezzati alla loro prima pubblicazione, chi può dire che anche il nostro Enoch non sia un genio incompreso? Lo stesso alla pubblicazione del suo libro di poesie, intitolato “Fungoidi”, l’io narrante continua ad essere perplesso. Ecco un brano dalla poesia “To a Young Woman”: «Pallide musiche indecise / E tracce d’antichi suoni / D’un flauto imputridito / Si mescolano al frastuono di cembali coperti d’un rossetto di ruggine». Malgrado alcuni giornalisti trovassero questo versi «una nota di modernità», non sembra proprio che l’opera enochiana promettesse futura memoria.

Edizione italiana dell'antologia
Edizione italiana dell'antologia
Lo scrittore non sembra interessato alla fama o alla futura memoria. «I posteri! Che cosa me ne importa? Un morto non sa che la gente visita la sua tomba [...] Un morto non può leggere i libri che vengono scritti su di lui.» Ma un’idea lo fulmina e cambia opinione molto velocemente: «Fra cent’anni! Pensateci! Se potessi tornare in vita, allora, solo per poche ore, e andare nella sala di lettura, e leggere! O, ancor meglio: se potessi essere proiettato, ora, in questo momento, in quel futuro, in quella sala di lettura, non fosse che per questo pomeriggio! Per questo, mi venderei al diavolo, anima e corpo! Pensate alle pagine e pagine del catalogo: “SOAMES, ENOCH”, infinite; infinite edizioni, commenti, prolegomeni, biografie...»

Come sa bene chi è appassionato di letteratura fantastica, basta esprimere a voce alta il desiderio di vendersi al diavolo... che il diavolo arriva a proporre l’affare! «Non ho potuto fare a meno di sentire», dice un signore avvicinandosi al tavolo dove stanno parlando Enoch e l’io narrante, e non usa certo sotterfugi nel presentarsi: «Voi vi domandate chi sono io. [...] Sono il Diavolo.»

Non serve molto tempo a gettare le basi di un accordo: «Vi posso portare a qualsiasi data. Vi proietto... puf! Volete essere nella sala di lettura, come sarà nel pomeriggio del 3 giugno 1997? [...] L’ora di chiusura, d’estate, la stessa di oggi: le sette. Avrete quasi cinque ore. Alle sette, puf! vi troverete di nuovo qui, seduto a questo tavolo.» Enoch non ci pensa due volte ed accetta immediatamente la demoniaca proposta, e così come il suo omonimo del primo secolo, quel Libro di Enoch di cui si accennava all’inizio, ha la possibilità di vedere l’avvenire.

Il salto temporale avviene, Enoch viene proiettato nella Reading Room del British Museum in quel 1997 lontano cento anni dalla vicenda, dando a Max Beerbohm la possibilità di dare sfumature fantascientifiche alla storia che sta narrando. Chi legge sa benissimo com’era il mondo nel ’97, ma per un londinese di fine Otttocento si trattava di una data magica in un futuro eccezionale... oppure terribile. «Tutti vestiti di Jaeger, una specie d’uniforme. Con un numero su un grande disco di metallo cucito sulla manica sinistra. DKF 78,910; una cosa di questo genere. E tutti... uomini e donne allo stesso modo, dall’aspetto molto accurato, simili agli abitanti d’Utopia, e con un odore piuttosto forte di disinfettante, e tutti assolutamente senza capelli»... In effetti questa tristissima immagine futuristica assomiglia più al THX 1138 di George Lucas che all’Utopia campanelliana! Per fortuna sappiamo che il futuro immaginato da Beerbohm non si è avverato.

Com’è finito il patto demoniaco del povero Enoch? Male, come s’addice ad ogni contratto stipulato con il Diavolo.

Particolare del British Museum Reading Room
Particolare del British Museum Reading Room
«Cercai nel Dizionario Biografico Nazionale e in qualche enciclopedia... [...] Mi dissero che il libro di Mr. T.K. Nupton era considerato il migliore.» Malgrado quello che si pensi, il nome di Enoch Soames è presente in quell’opera... ma è presente anche quello dell’io narrante: come mai? Un Enoch sconsolato e triste porge al suo interlocutore un foglio su cui si è appuntato, prima di tornare nel passato, il paragrafo in questione dell’opera futura di T.K. Nupton, «Letteratura inglese 1890-1900 di T.K. Nupton, pubblicata dallo Stato, 1992». È talmente geniale e delizioso che merita d’essere riportato per intero:

«Per esempio, uno scrittore di quel tempo, chiamato Max Beerbohm, che era ancor vivo nel XX secolo, scrisse un racconto, nel quale faceva il ritratto di un tipo immaginario, chiamato “Enoch Soames”, un poeta di terz’ordine che si crede un gran genio e fa un patto col Diavolo, per sapere quello che i posteri penseranno di lui! È una satira piuttosto elaborata, ma non senza valore, poiché mostra quanto sul serio si prendessero i giovani verso il 1890. Ora che la professione del letterato è stata organizzata come uno dei dicasteri dei pubblici servizi, i nostri scrittori hanno trovato il loro equilibrio e hanno imparato a fare il loro dovere, senza pensare al domani. “Il lavoratore è degno del suo impiego”, e questo è tutto. Grazie al cielo, non ci sono uomini come Enoch Soames, oggi, tra noi!»

Max Beerbohm crea il più geniale degli ingranaggi pseudobiblici: scrive un racconto in cui se stesso incontra un personaggio immaginario il quale, stringendo un patto col Diavolo, esce fuori dal racconto e scopre d’essere null’altro che un personaggio inventato da Max Beerbohm!

«Ma Soames era davanti a me - si chiede sconcertato l’io narrante, il Beerbohm calato nel racconto - e, ahimè, non più immaginario di quanto non lo fossi io». Ma Enoch invece ha capito benissimo di far parte d’un gioco letterario, d’un divertissement svolto spietatamente ai suoi danni. «Non siete un artista - è la spietata accusa del povero poeta - E siete così poco artista che, invece di riuscire a immaginare una cosa e a farla parer vera, riuscirete a fare che una cosa vera sembri inventata. Siete un miserabile guastamestieri.»

Quando però il Diavolo si presenta a riscuotere ciò che gli appartiene, Enoch cambia tono e si fa implorante. «Cercate, - fu la preghiera che mi gettò, mentre il Diavolo lo spingeva maleducatamente fuori dell’uscio, - cercate che capiscano che sono esistito!» E così scompare Enoch Soames, senza che nessuno noti la sua mancanza, senza che alcun giornale ne riporti testimonianza.

L’unica prova che abbiamo che uno scrittore di nome Enoch sia esistito... è il racconto di Max Beerbohm in cui egli lo inventa solo per scoprirne la falsità! Eppure, chi lo sa, qualcuno il 3 giugno 1997 in una sala di lettura del British Museum... potrebbe aver intravisto uno strano uomo che, triste e sconsolato, sfogliava in silenzio una storia della letteratura cercando il proprio nome... e trovando solo il nome dello scrittore che l’aveva inventato.