Arrivato alla sua dodicesima edizione, il Far East Film Festival di Udine, tenutosi quest’anno dal 23 aprile al 1 maggio, ha accolto le sue spettatrici e i suoi spettatori con una sigla targata Joko Anwar, regista indonesiano del divertentissimo Quickie Express (film d’apertura del FEFF 10 nel 2008), che immortala una tipica fiera di Jakarta con giostre, gare di equilibrio e un sapore d’altri tempi all’insegna del motto “authentic, exotic, hands-free, no safety”. Ed era proprio questa l’atmosfera suggerita da molti dei film selezionati quest’anno: un gusto per l’autenticità e per il ritorno al passato con i suoi nodi irrisolti, ma anche un consapevole viaggio verso i meandri più pericolosi o imprevisti della vita, che si possono affrontare soltanto con sana lucidità buttandosi a capofitto, senza mani né sicurezza appunto, verso l’ignoto e le sue promesse. Il tutto condito con un pizzico di esotismo, che per l’universo orientale del FEFF di Udine può coincidere col voler omaggiare in qualche modo degli stilemi tipici della cinematografia occidentale.
Sicuramente caratterizzato da un approccio “no safety” era il nuovo film del sempre controverso Pang Ho-cheung, Dream Home, presentato in anteprima mondiale nella serata di apertura del FEFF e molto atteso dal pubblico: slasher imperniato tutto sulla recitazione della magnetica e carismatica Josie Ho, ha sorpreso per la sua apparente estraneità all’universo strampalato e provocatorio del regista hongkonghese.
Potente invece la selezione cinese di quest’anno, con molti film alle prese con la Storia, dal meraviglioso Wheat di He Ping, una vera e propria denuncia contro la follia della guerra, al drammatico City of Life and Death (conosciuto anche come Nanjing! Nanjing!) di Lu Chuan, sul massacro di Nanchino e la guerra cino-giapponese, o ancora The Founding of a Republic di Han Sanping e Huang Jianxin.
Coreano è anche il film che ha vinto sia il premio del pubblico che il Black Dragon Award, Castaway on the Moon di Lee Hey-jun, incentrato sull’incontro fra due anime solitarie, mentre al secondo posto secondo il verdetto del pubblico (ma non dei Black Dragon, che premiano l’intenso City of Life and Death) il leggero e banalotto Accidental Kidnapper del giapponese Hideo Sakaki.
E infine le retrospettive: una, dedicata alla casa di produzione giapponese Shintoho, si è distinta soprattutto per i due horror anni ‘60, Ghost Story of Yostuya di Nakagawa Nobuo, una delle tante versioni filmiche di un dramma teatrale Kabuki di Tsuruya Nanboku del 1825, e The Ghost Cat of Otama Pond di Ishikawa Yoshihiro, basato in questo caso su un romanzo di Tsuruya Haruyasu.
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