Ultimo round di domande poste da Riccardo Falcetta... un'occasione per parlare a ruota libera di libri..e altro...
Attraverso i contatti nella Rete però ti dai da fare per cercare di promuovere e sponsorizzare giovani talenti creativi, ormai sono in molti a considerarti un esempio. Hai mai pensato in tal senso a un progetto organico?
SDM. Mi fai onore con questa osservazione. In realtà mi viene naturale. Credo nello sviluppo della narrativa di genere italiana, credo nei giovani che amano le loro storie e hanno la professionalità o quantomeno la volontà di diventare professionali. Io non ho una famiglia nel senso classico, un po’ loro sono figli miei (, ndr). Non c’è un calcolo preciso dietro questo se non la volontà di creare una rete di contatti e amicizie. Ovvio che mi sento gratificato se qualcuno di loro si ricorda di me, ma nessuno è obbligato a nulla. In fin dei conti il mio guadagno è quello che si sviluppi una tradizione italiana che non schifi il genere magari dopo che tutto un filone si sia consolidato. Vorrei che scomparissero i velleitari, quelli che provocano rumore di fondo e, per il grande pubblico, creano un’immagine poco professionale del nostro lavoro perché quello nuoce a tutti. Se compro tre gialli italiani scritti con ambizioni autoriali, che non stanno in piedi e non mi divertono, finisce che classifico tutti gli autori nostrani come dei presuntuosi incapaci senza fare differenze. Si torna al vecchio detto ‘gli italiani non sanno fare queste cose’. E allora? Continuiamo a leggere solo ed esclusivamente autori anglosassoni? O magari seguiamo la moda del momento con il giallo norvegese, kazakhstano o neozelandese? Mi piacerebbe che ci fosse un po’ più di rispetto per gli autori italiani veri. Poi se c’è gente che vuol scrivere, come li chiamano adesso, i romanzi ‘bianchi’? Lo faccia e non rompa l’anima. Noi siamo un’altra parrocchia. Un fessacchiotto che dirigeva una rivista che non compì l’anno di vita una volta mi disse che eravamo la serie B… Bé, sappiate che è una serie dove si gioca durissimo e chi non è preparato si spezza le ossa.
Segui la serialità televisiva? C’è qualcosa nella nuova ondata di produzioni anglosassoni che ti ispira o apprezzi in particolar modo?
SDM. Sì seguo moltissimo la TV, e facendo un po’ lo “sborone”, come si dice, prendo i cofanetti dopo per potermi vedere intere stagioni di seguito. Ovviamente sono un drogato di ‘24’, ma ho seguito con grandissimo piacere anche ‘Alias’. Tra gli ultimi prodotti che ho seguito con interesse devo dire che ‘The Shield’ mi sembra la migliore serie mai vista in TV (pienamente d’accordo!!, ndr). Poi ‘Deadwood’, per il western. Recentemente ho visto ‘Burn Notice’ che ha del comico ma che ho trovato molto ben scritta. Ti dirò, il personaggio di Bruce Campbell mi sembra un po’ il Professionista tra qualche anno. Ho recuperato qualcosa di vecchio ma sono quasi morto di noia. La serie ‘Nikita’, per esempio, era micidiale, freddissima. ‘Prison Break’ mi piace. Ammetto di non essere attratto da Lost. Ovviamente negli anni passati ho divorato ‘X Files’ e ‘Millennium’, che aveva un protagonista unico (interpretato dal bravissimo Lance Henriksen, ndr). Purtroppo la serie è andata in vacca e l’hanno chiusa in maniera indecorosa. A tutti consiglio ‘Over There’, una serie sulla guerra in Iraq, con i suoi risvolti in medio oriente e negli Usa, decisamente troppo dura per il pubblico americano e anche per quello italiano, alla fine. Recentemente vado fuori di testa per ‘Sons of Anarchy’ che ha un concetto molto vicino a certe mie idee e personaggi come quello di Kathey Sagal davvero innovativi.
Rimanendo il ambito intermediale, da un po’ di anni si va diffondendo il concetto di “crossmedialità”, vale a dire quella capacità del testo narrativo di espandersi attraverso varie forme mediali che ne allargano e ne integrano l’esperienza, rendendola totale. Tu hai accennato anche ad un progetto fumettistico noir collegato al Professionista …
SDM. L’idea del Professionista, inizialmente, era proprio per un fumetto che però non si fece. Un paio d’anni fa è nata l’idea di realizzare una storia a fumetti, un episodio inedito di 64 tavole, concepito appositamente. Al momento per ragioni che non ho molta voglia di approfondire per evitare di iniziare polemiche che tanto sarebbero inutili, il progetto è fermo. Non per colpa mia che ho già scritto la sceneggiatura del primo episodio. Ma prima o poi vedrete che ci riuscirò. In ogni caso è una esperienza lavorare sulla sceneggiatura di un fumetto. Soprattutto se vuoi scrivere una storia popolare d’impatto. È una questione di linguaggio e anche io mi sto abituando, ma non è facile come sembra.
Ti va di approfondire un attimo? Quali sono le differenze e le difficoltà che uno scrittore riscontra passando dalla prosa al racconto sequenziale?
SDM. Nel racconto, anche se usi uno stile abbastanza “visuale” come me, hai a disposizione paragrafi e battute di dialogo più lunghe. Nel fumetto devi essere più lapidario, concepire la storia con un ritmo più serrato perché ormai quei fumetti dove i personaggi parlano per pagine e pagine se li possono permettere quegli editori che ti lasciano 98 pagine per ogni episodio e forse mi hanno un po’ stancato. Io, come riferimento ho il fumetto franco belga e Garth Ennis (‘Hellblazer’, ‘Preacher’, ‘Il Punitore’ etc., ndr) che è forse uno dei grandissimi talenti del noir come lo intendo io, assieme al Miller di ‘Sin City’. L’uso della didascalia, come voce fuori campo, viene dall’hard boiled americano letterario. Nel fumetto di questo genere ha un suo uso. Però, la difficoltà maggiore sta nel fornire al disegnatore indicazioni sufficientemente chiare senza chiedergli cose impossibili e lasciarlo anche libero di “mettere la macchina da presa” dove ritiene più opportuno. Non sono favorevole a quelle sceneggiature troppo dettagliate che fanno sentire il disegnatore un mero esecutore. Piuttosto lavoriamo prima sui bozzetti, sulle emozioni, poi il disegnatore deve anche essere libero di esprimersi ed essere soddisfatto di quello che fa.
In questo campo non sei nuovo, però. Hai già lavorato in passato ad alcune graphic novel come ‘Benares: Inferno’, con un fuoriclasse come Davide Fabbri, agli inizi della sua carriera, dando un personale contributo in seno all’ allora nascente (in Italia) interesse per il cyberpunk. Inoltre hai lavorato con un altro mostro sacro del nostro fumetto come Giampiero Casertano.
SDM. Feci diversi tentativi di collaborare con Bonelli, inutile parlarne. Con Granata Press, negli anni ‘90, ho realizzato i due episodi di ‘Benares: Inferno’, per esempio, e ‘Koshka’, che è stato pubblicato in Spagna e negli USA, su Heavy Metal (versione americana della francese Metal Hurlant, ndr). Davidone (scusate se lo chiamo così ma chi lo conosce, ne capisce il motivo…) era all’inizio della sua carriera e fece un magnifico lavoro, contando che erano 120 tavole. Pensa che abbiamo un terzo episodio già disegnato ma chissà adesso chi ce l’ha più (parte la caccia!, ndr). Era un progetto complesso, quello di ‘Alba Nera’, forse in anticipo sui tempi (ahimè, come molte cose edite da Granata, ndr) e non riuscimmo a gestirlo perfettamente. Bei tempi, però. Cominciammo a lavorarci nel 1989, molto prima che uscissero altri fortunati fumetti popolari sul cyberpunk. Io e Davide eravamo reduci da percorsi differenti che ci avevano portato a leggere e a guardare cose simili. È un storia a cui sono ancora molto affezionato. Vedere che un grande come Victor Togliani (illustratore delle cover dei tascabili Mondadori, ndr) ce l’ha nella collezione di comics mi ha riempito di orgoglio. Con Giampiero invece lavorammo un paio d’anni dopo. Lui era un po’ stanco di fare solo un grande personaggio di successo (‘Dylan Dog’, ndr) e voleva fare queste storie di guerra dove c’entrasse il sovrannaturale. Avevamo letto ‘Settore Giada’ di Lucius Shepard (immenso, ndr). Curiosamente la mia storia ha dei punti di contatto con un film horror bellico che ho visto di recente, ‘Red Sands’. Una vicenda ambientata in Afghanistan, con un gruppo di soldati tagliati fuori dal mondo e in balia degli spiriti djinn. Ambientai la storia durante l’occupazione sovietica. Anche con Casertano è stato un piacere lavorare e l’album ‘Guerre’, con la storia che sceneggiò lui stesso e quella scritta da Carlo Lucarelli, è un bell’album.
Diversi tuoi libri hanno goduto di una pubblicazione (talvolta esclusiva, come nel caso della graphic novel ‘Koshka’) all’estero. Come sono accolti i tuoi lavori dal pubblico e dalla critica fuori dal nostro paese? Non si può dire certo che la tua scrittura soffra di provincialismo.
SDM. Tasto dolentissimo. Come narratore l’unico libro che ho venduto all’estero è stato il ‘Cavaliere del Vento’ che Piemme riuscì a piazzare in Germania. Guadagnai più da quell’operazione che dall’edizione italiana. Poi il mio agente mi disse: “Lascia fare a me, ci teniamo i diritti per la vendita all’estero per il prossimo, così non dobbiamo dividere”. Ultime parole famose. ‘Quarto Reich’ (che ricordo doveva intitolarsi ‘Inferno Verde’) il mio agente non lo vendette all’estero e la casa editrice smise di pubblicarmi. Adesso non ho più un agente. Però la mia non è una situazione unica. Il fatto è che all’estero quando comprano un libro italiano vogliono un romanzo psicologico, di formazione, più raramente un thriller. O forse sono io che non ho i canali giusti. Come dicevo, non sono l’unico. La mia speranza è che si cominci a capire che in Italia c’è una produzione variegata e interessante di thriller. Resta il problema di proporla, un lavoro che dovrebbe essere, appunto, delle case editrici o degli agenti...
Noto una certa animosità nei confronti degli agenti letterari, eppure in Italia sembra ce ne siamo di validi e molti tuoi colleghi pubblicano “in arrangment with…” E’ ancora il problema di essere un po’ bestia anarchica e indomabile o di scottature che hanno lasciato il segno?
SDM. No guarda, non è un problema di animosità. È che uno fa di tutto per dare il romanzo migliore poi vede i suoi sforzi infrangersi contro l’indifferenza. La questione degli agenti è solo parte del problema. Nella mia carriera ho avuto due agenti letterari. Il primo era un cialtrone e non voglio neanche perdere tempo a parlarne. Il secondo è stato mio agente e amico per sette anni ed è considerato uno dei migliori sulla piazza. Questa persona per alcuni versi la stimo ancora moltissimo. Il problema è che l’agente dovrebbe, almeno questo è quello che l’autore si aspetta, venderti all’estero, ottenere che la casa editrice non solo ti paghi un po’ di più ma che, soprattutto, ti promuova. Magari ti aspetti che trovi lui nuovi editori in un momento in cui le cose non vanno benissimo. Invece, purtroppo, se non gli rendi, se non fai il botto, l’entusiasmo passa in fretta e hai solo un intermediario in più che si becca il dieci per cento dei tuoi guadagni e magari con gli editori sei tu che devi andarci a parlare. Poi c’è il fatto che molti agenti sono invisi a certi editori e diventa tutto più difficile! Una decina d’anni fa sembrava che se non avevi un agente, non eri nessuno. Adesso sento continuamente dei colleghi che si lamentano. Magari non lo dicono ad alta voce, ma si lamentano. La mia situazione professionale è abbastanza particolare. Io produco moltissimo e a ritmo elevato, magari non ricevo compensi altissimi ma c’è dietro un lavoro di contatti, contratti, discussioni che forse (dico ‘forse’) un agente si sobbarcherebbe volentieri per un cliente in grado di rendere molto con un libro ogni tre anni! Per me invece si tratta di un lavoro certosino, che batte molte strade e richiede una continua attenzione. E, in questo senso, il più motivato sono io.
Tornando un attimo ai generi, in passato hai pubblicato anche fantasy (rigorosamente orientale) romanzi di cappa e spada e di fantascienza (‘I Predatori di Gondwana’, sulla prestigiosa Urania, ndr). Pensi di tornarci prima o poi?
SDM. Perché no? Agli inizi mi ero ripromesso di scrivere una storia per ogni genere e un po’ ci sono riuscito. Un amico di cui adesso non faccio il nome perché il progetto è parecchio di là da venire mi ha chiesto un giallo classico... be’ un po’ per sfida contro certi personaggi che vedo sui blog e sembrano dover difendere con talebana ferocia il giallo classico da quello moderno(fesseria, non c’è divisione reale, solo modi differenti di raccontare9 ho deciso di provarci anche io. Sul Fantasy orientale... era ‘L’Ultima Imperatrice’...eh...mi sa che anche lì ci sono novità in arrivo.
Arriviamo alla tua ultima grande creazione narrativa. Nel marzo 2009 si è conclusa la trilogia di ‘Montecristo’, cominciata un anno prima sull’innovativa testata Il Giallo Mondadori Presenta. Una saga che per molti è il tuo vero capolavoro. Un nuovo personaggio, Dario Massi dentro un nuovo allucinante intrigo che parte dall’ Italia e guarda alla dimensione globale. ‘Montecristo’ è una conseguenza diretta degli altri thriller cospirazionisti ‘Ora Zero’ e ‘Sole di fuoco’, con i quali si intreccia?
SDM. Sicuramente. Nella mia testa ‘Montecristo’ è la “terza stagione” della “serie” iniziata con ‘Ora Zero’, un progetto di thriller europeo che, pian piano si avvicinava all’Italia, non sempre e non necessariamente con gli stessi personaggi. Purtroppo l’esperienza editoriale di ‘Ora Zero’ e ‘Sole di fuoco’ malgrado critiche favorevoli e una buona risposta di pubblico (considerata la promozione quasi nulla), mi ha costretto in parte a ripensare il progetto. Così ho tirato fuori un nuovo eroe che è poi Dario Massi e ho strutturato una trilogia perché la vicenda si snodava in 900 pagine e sul Il Giallo non era possibile proporla tutta insieme. Potrei fare un lungo discorso riguardo a come sono andate le cose con ‘Ora Zero’ e ‘Sole di fuoco’. Non voglio farlo. Vi basti sapere che ‘Ora Zero’ pochi mesi fa era ancora in testa alle classifiche dei tascabili su IBS ma guardiamo avanti. ‘Montecristo’ è la realizzazione di un vecchio progetto, cioè raccontare la storia di un colpo di stato in Italia. Avevo bisogno di maturarla questa idea, trovare contesto e personaggi adatti. Ne sono estremamente contento e credo che anche la veste grafica sia stata adeguata. Ha certamente raggiunto un pubblico più vasto dei due romanzi ai quali è collegata, il canale edicola è certamente più ampio. Non è che con questo mi dispiacerebbe rivederlo in un unico volume in libreria. Chissà.
La sequenza in cui Dario entra nella villa del miliardario cospiratore Carlo Villagrandi e si trova dinnanzi ad una statua del dio Mithra è davvero memorabile … Mi ha colpito molto questo utilizzo dell’antico culto mithraico come suggestivo simbolo mitico per un discorso sul potere e le sue derive occulte. Vuoi dirci qualcosa in merito a questo aspetto?
SDM. Un’ispirazione che ho avuto nel corso della realizzazione dell’opera. Stavo leggendo un thriller di David Hewison, inedito in Italia, in cui si parlava del culto di Mithra e della sua penetrazione tra gli alti ranghi dell’esercito romano. Ho fatto qualche ricerca e l’ho inserito nella storia. Mi ha dato modo di creare una sequenza spettacolare, che trasferiva sulla pagina una certa visionarietà. A conti fatti, mi ha dato anche l’opportunità di avvolgere Carlo Villagrandi in un’aura quasi mitica che lo discosta da sin troppo facili paragoni con personaggi della realtà. ‘Montecristo’ è un romanzo su un colpo di stato in Italia e questo sicuramente si presta a considerazioni di tipo politico. Ma io volevo raccontare una storia di personaggi. Se qualcuno ci legge allusioni o paragoni è perché ogni lettore è libero poi di rifarsi la ‘sua’ storia a seconda dello stato d’animo personale. Di certo lungi da me avvolgermi in una bandiera (di qualsiasi colore) e magari sfruttare la politica per farmi pubblicità...non è nelle mie corde e neanche mi interessa.
Eppure, seguendo le vicende di politica e cronaca italiane, lo scorso anno ho spesso avuto una sensazione di déjà vu, la mia mente è spesso andata alle vicende narrate in Montecristo. Qualità profetiche o una grande lucidità di analisi sul disfacimento di questa nazione?
SDM - Come ho già avuto modo di dire a proposito delle capacità medianiche di autori della spy story come de Gerard De Villiers (autore delle spy novel di SAS, ndr) il fatto è che, il narratore di questo genere di storie magari si guarda in giro con più attenzione, analizza delle situazioni e trae delle conclusioni. Certi segnali sono un po’ sotto gli occhi di tutti. Dare loro un ordine all’interno di un racconto magari aiuta a creare un quadro più chiaro. Però si tratta di coincidenze, come quella che volle che nel luglio 2001 anticipassi in ‘Operazione Salamandra’ un grave attentato di al-Qaeda a Parigi, proprio mentre si stava preparando l’attacco alle torri gemelle. C’erano i segnali che stava per succedere qualcosa di molto brutto con il mondo islamico, poi come al solito la realtà ha superato la fantasia 10 a 1.
In questa nuova vicenda delinei inoltre la memorabile figura di Misericordia, un killer mercenario, tra i più spietati della letteratura, che vive in Vaticano tranquillamente vestito e professionalmente gestito da alti prelati… non hai avuto problemi di critiche o censura in merito a questo personaggio?
SDM. Diciamo la verità, pubblicare in una collana economica comporta il vantaggio che nessuno ti considera un nemico di valore. Se il romanzo fosse uscito in pompa magna magari qualcuno avrebbe potuto leggerlo con attenzione e sentirsi attaccato, offeso... invece così non ho avuto nessun problema di censura. Devo anche ringraziare Altieri: abbiamo lavorato assieme, con molta attenzione e mi ha lasciato campo completamente libero. Con le spalle così coperte, ho lasciato che la storia prendesse la sua strada senza preoccupazione. Misericordia è il mio primo serial killer. Questo volevo fare, non un attacco alla Chiesa... Non volevo scrivere la solita storia del serial killer che abbiamo già visto cento volte. Ho pensato così di inserirlo in un contesto spionistico e farne un vero Angelo della Morte, incontrollabile sia dai buoni che dai cattivi, sempre che tali categorie abbiano un senso. Misericordia è, a mio modo, un personaggio positivo: totalmente fuori schema, pericolosissimo. Un mix di ferocia demente e disciplina militare. Del resto, per compiere missioni disperate chi meglio di un pazzo totale? Solo che nessuno può controllarlo veramente. Questo lo rende affascinante e per questo fa veramente paura. Altro che squartamenti! È la mente di questo meticoloso assassino, continuamente in bilico tra follia e precisione assoluta, che spaventa. Perché è qualcosa fuori dalla convenzione.
Mi sembra che il modo in cui delinei la sfera d’influenza, le modalità d’azione e i valori di Misericordia, palesi chiaramente le tue idee in fatto di religione. Pensi che le religioni istituzionalizzate siano oggi meno potenti e strumentalizzate rispetto a quanto si crede o, al contrario, troppo potenti e per questo sempre potenzialmente pericolose?
SDM. Ti rispondo con un concetto espresso dal Professionista in ‘Pietrafredda’, che rispecchia il mio pensiero. La religione è il rapporto tra l’Uomo e Dio. Tutto il resto sono “infrastrutture degli altri uomini” e come tali finiscono per diventare strumenti di potere temporale.
Torniamo un attimo al tuo lavoro sui personaggi. Qual è il ruolo di un personaggio come Bruno Genovese, a capo del Dipartimento di Sicurezza Europea, nell’economia generale del tuo universo narrativo? A me sembra che attraversando le storie, sia proprio questo riuscito character a tenere le redini della struttura generale che stai dando al tuo universo. Uno sguardo unitario il suo sull’ irriducibile caleidoscopio di vicende che devastano il pianeta. Sei d’accordo con questa analisi?
SDM. Bruno Genovese è la parte adulta e risolta dei miei personaggi. La DSE equivale a un organismo che esiste realmente ed è stato costituito nel 2003. Una volta si chiamava Sitcen, poi l’ hanno Europol. Io ho inventato la DSE ai tempi di ‘Ora Zero’, un po’ come contraltare europeo del CTU di ‘24’ e adesso è un punto di riferimento anche nella saga de Il Professionista. Hai ragione, Bruno adesso ha un po’ il compito di tenere unite le parti dell’universo che si va delineando. Difficile che possa avere ancora un ruolo attivo, però.
Spesso agli scrittori di genere si rimprovera una scrittura fatta di personaggi e situazioni stereotipate. Io credo che i tuoi personaggi abbiano delle identità decisamente autonome e che a renderli simili sia il mondo in cui si muovono. Vuoi dirci perché Chance Renard, Bruno Genovese e Dario Massi sono dei personaggi profondamente diversi?
SDM. Io credo che in qualsiasi genere narrativo, si faccia ricorso a personaggi che in qualche modo rientrano in uno stereotipo. L’eroe solitario, il giovane pieno di dubbi in via di formazione, la donna sola contro il mondo maschilista, la puttana, il cattivo, il professore con la coscienza politica, il pianista sull’oceano, persino il commissario dal volto umano e il serial killer che punisce le donne perche aveva la mamma maiala... (ride, ndr)... come dicevo a un corso di scrittura, cliché e stereotipi possono essere i migliori alleati o i peggiori nemici di uno scrittore. Bisogna capire come usarli, magari inserendo varianti personali che li rendano un po’ diversi e quindi più verosimili (pura saggezza! ndr). Chance, Bruno e Dario sono le tre facce della stessa personalità di eroe che ho creato nel mio percorso immaginario. Inizialmente Chance e Bruno erano molto simili, cosa palese in L’ombra del Corvo. Poi Bruno è diventato un po’ il superiore di Chance, trovando un sua dimensione dentro la DSE e si è anche sposato. Chance è rimasto invece un po’ un “randa” e se ne compiace. Ha sviluppato una parte più incosciente. Dario invece è più giovane ma è anche una persona più seria di Chance e più dolente, ha preso pesanti mazzate e in Montecristo lo si vede benissimo. Differisce nell’approccio sentimentale. Si innamora della donna che vuole il suo amico e prima che possa farci qualcosa lei e l’amico vengono uccisi, investendolo quasi di una missione di vendetta. Poi si innamora di una donna che non decide tra lui e un altro uomo e che, alla fine lo tradisce. L’unica che lo capisce è una prostituta con cui ha solo rapporti telefonici. E anche questa muore. Un carico un po’ pesante da sopportare. Reagisce con durezza e il rapporto con Yelena, che nasce e si sviluppa tra il secondo e il terzo episodio, lo vede molto, molto cauto. Poi...
Parti scrivendo l’idea e le biografie dei personaggi per poi sviluppare la storia in punti diversi e per poi unirli o sei uno di quelli che scrive in modo lineare, un capitolo dopo l’altro, dall’inizio alla fine?
SDM. L’idea e i personaggi vengono nella fase preparatoria, però quando comincio a scrivere, la storia a grandi linee c’è già tutta. Magari non sempre in forma scritta ma è già molto chiara nella mia mente. Da qui procedo in sequenza cronologica, anche mescolando vari percorsi come se... stessi vivendo la storia. Altri colleghi come Sergio Altieri adottano differenti tecniche. Sergio, a quel che so, usa un sistema di schede preliminari e lavora per blocchi come se stesse filmando in location differenti. Suppongo sia un’influenza derivata dalla sua esperienza nel cinema. Ognuno ha un po’ il suo metodo. Però alla fine deve quadrare tutto, soprattutto nei thriller.
Lo scorso anno è uscito ‘Pietrafredda’, un romanzo breve e insolito rispetto ai tuoi standard, pubblicato in liberia da Perdisa e, curiosamente, legato alla saga del Professionista.
SDM. Una grandissima soddisfazione. Diciamolo subito: Bernardi (Luigi, da anni consulente editoriale ed ex boss della già citata e compianta editrice bolognese Granata Press, ndr) è stato uno dei miei primi editor e Babele Suite come collana mi è piaciuta sin dal principio. Ci ha partecipato tutta la banda: Barbara Baraldi, Alfredo Colitto, Danilo Arona, Jack Narciso, Angelo Marenzana, insomma è un grande privilegio farne parte. Volevo raccontare una storia del Professionista dove si capisse solo alla fine che il protagonista era lui. È anche una vicenda che strizza l’occhio a una delle mie grandi passioni, il noir “malavitoso” francese. C’è la Parigi che ho conosciuto negli anni ’90, quella degli sport da combattimento. Mi son divertito a creare una banda di vecchi malavitosi, tirando fuori dal cassetto ricordi, amici e personaggi di quel mondo che, a dirla tutta, non avevano bisogno di una grandissima elaborazione per passare per gangster...
Pensi di riuscire a realizzare un altro personaggio carismatico e longevo come il Professionista?
SDM. Sinceramente no. Chance Renard nasce da un’intuizione che è appunto quella di un personaggio che si sposti tra i generi. Altre storie ne ho in mente ma sono autoconclusive come ‘Montecristo’.
L’esperienza ventennale ti ha munito di una cifra stilistica decisamente riconoscibile: oggi hai una scrittura asciutta, sincopata, evocativa, sempre al servizio della storia. Pensi che questa possa, ancora evolversi, per contenuti e forma? Credi di potere andare ancora oltre?
SDM. Sicuramente ci sono margini per un’evoluzione, ma non so quale. Già passare a raccontare alcune storie in prima persona al presente è un passo, non si può mai dire… Di certo, come succede a molti disegnatori di fumetti, con il tempo si va verso una sintesi. Ti faccio due esempi, uno più autoriale e uno più popolare. Guarda che differenza tra le prime opere di Miller (quelle alla Marvel, con Devil ed Elektra o il Ronin) e quelle più recenti(Sin City, 300). Oppure guarda il Tex di Ticci com’era all’inizio e come si è evoluto nell’ultima fase della sua carriera. Però a volte accade il processo inverso. Il grande Magnus era estremamente sintetico all’inizio e quasi barocco alla fine. Al pubblico l’ardua sentenza.
Cosa bolle adesso nel tuo calderone? Immagino trabocchi, come al solito…
SDM. Centrato. Alcuni progetti, per il momento, devono restare avvolti nel mistero. Sto scrivendo il seguito di ‘Pietrafredda’, una storia quasi interamente ambientata a Genova e in Liguria. Devo rivedere due progetti molto ambiziosi che sono formalmente già terminati: la già accennata avventura storica salgariana (salgariana forse più nello spirito che nella sostanza) ambientata nel mio Oriente, un romanzo impegnativo, forse non semplice avventura. Poi la prima stesura di una storia che è una netta variante della mia produzione, un thriller parapsicologico ambientato a Venezia. Non ci crederai ma non si spara un colpo di pistola ed è legato alla mia passione per i thriller argentiani. Intanto a marzo in edicola ci sarà ‘Tiro all’Italiana’, l’ultimo romanzo della serie Il Professionista. E ancora un manuale di scrittura per Delos.
L’uscita di questo volume è attesissima. Immagino, avrai scelto strade diverse da quelle proposte dalla manualistica già presente sul mercato.
SDM. Il volume comprende articoli scritti per Writer’s Magazine Italia, qui riuniti, rivisti e corredati da un lungo episodio fuoriserie del Professionista in cui si applicano un po’ le tecniche di cui si parla nei singoli capitoli. Non so se sia molto diverso da altri manuali, segue il mio metodo di lavoro.
Lo attendiamo tutti con estremo interesse. Senti, chiudiamo, ma prima un’ultima insidiosa domanda: qual è il desiderio inconfessato di Di Marino (scrittore)?
SDM - Scrivere ancora cento romanzi e pubblicarli tutti, possibilmente festeggiando con colleghi giovani e meno giovani e 1000 ragazze ponpon.
Se non l’avete capito, intendeva dire: le mille ragazze per lui e ponpon per tutti gli altri!
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