Proseguiamo con il fuoco di fila di domande che Riccardo Falcetta mi ha rivolto realizzando forse una delle interviste più complete sulla mia carriera.

Continuerò per un attimo come avvocato del diavolo. C’è, nei tuoi romanzi, un’idea della donna quasi sempre pericolosa oltre che bellissima (magari rifatta) e sessualmente spregiudicata. Una visione del gentil sesso che se non è maschilista, può apparire comunque “machista”. Si dà il caso che oggi certa editoria (come tutto il consumo di prodotti dell’industria culturale) abbia superato i confini di gender e un libro del Professionista approdi legittimamente anche tra le mani di molte donne. Si tratta allora di pari opportunità o di totale propensione per il “politically uncorrect”?

SDM. Assolutamente, rivendico il diritto di scrivere romanzi politicamente scorretti, ci mancherebbe altro! Fa sempre parte di quell’idealizzazione dell’anarchia che è libertà di espressione. Non ho mai avuto la pretesa di scrivere per cuori teneri e anime pure, così come spero di non scrivere per fanatici razzisti ed esaltati politici. Riguardo ai personaggi femminili, in effetti, mi rendo conto che esiste una narrativa “femminile” che propone personaggi molto diversi dai miei (sia maschili che femminili), più ‘ rassicuranti’ per un certo tipo di lettore, che non è e non sarà mai il mio. Non è che si può piacere a tutti. Però ti posso dire due cose. Personaggi estremi come Antonia Lake, Jadranka Dragan e Morgana sono lo specchio – vabbe’, un pochino esasperato – di donne vere per cui ho la massima stima. Donne che non si rassegnano, che non fanno le dure e poi cadono a pezzi alla prima difficoltà. E ti dirò: ho un certo numero di lettrici che non si sentono offese dal modo in cui rappresento le donne, anzi un po’ hanno mitizzato certi sistemi sbrigativi di Antonia. Sono personaggi che lottano alla pari con i loro colleghi maschi. Se ci fai caso i personaggi meschini dei miei romanzi non sono mai donne. Queste a volte sono delle gran… violente, opportuniste, spregiudicate. Ma mai meschine.

Verissimo! Hai citato Antonia Lake, che, di quanto dici, è una perfetta dimostrazione. Un anno fa è uscito ‘Vladivostok Hit’, un nuovo romanzo, con protagonista questa bellissima e pericolosissima killer già a fianco di Vlad, l’altro tuo personaggio seriale. L’ennesima “femme fatale” ma, Antonia si aggiudica addirittura un romanzo intero, da protagonista! Vuoi chiarirci i retroscena della sua nascita? Allusioni a Veronica Lake di hollywoodiana ed ellroyana memoria?

SDM. Antonia è nata nel 2003, quando avevo conosciuto una nota pornoattrice mantovana che mi fece un’ottima impressione: una donna sanguigna, simpaticissima e attraente (altro che la Veronica di hollywoodiana ed ellroyana memoria! J, ndr). Avevo bisogno di una cattiva da inserire ne romanzo ‘Senza Nome né Legge’ della serie Vlad, e ne venne fuori un personaggio che aveva la sua immagine esteriore, con un carattere che nasceva un po’ dalla tradizione di Dragon Lily di ‘Terry e i Pirati’ e da tantissime eroine cattive, non ultima Satanik. Poi Antonia ha preso il sopravvento, non solo rifiutando di morire, ma passando dalla parte dei buoni (in ‘Gli spettri di Peshawar’ e in ‘Tempesta sulla Città dei Morti’). Chiusa la serie Vlad, Antonia era ancora lì. Da ‘Contratto Veneziano’ è entrata a far parte del mondo di Chance ed è una partner scomoda, pericolosa. ‘Vladivostock Hit’ si svolge parallelamente a ‘Beirut: Gangwar’ e prima di ‘Contratto Veneziano’ ed è un “survival horror”, più che una storia di spionaggio, e mi ha permesso di scrivere un romanzo sulla “strega cattiva”!! Difficile liberarsi di Antonia…

Come mai hai deciso di concludere la saga di Vlad al settimo episodio? E mi chiedo se Antonia Lake avrà altri episodi “stand alone”.

SDM. Vlad era concepito per essere una serie chiusa in cinque episodi poi ne ho fatti sette. Era la storia ‘ dell’uomo senza memoria’ un classico dello spionaggio da ‘Un nome senza volto’ di Robert Ludlum (da cui sono stati tratti i film della serie Bourne e che ha ispirato anche ìXIII,ì la famosissima serie a fumetti di uno dei miei autori preferiti, Van Hamme) in avanti. Volevo realizzare la mia versione e per di più con un agente di origini russe. Lo spunto originale era che Vlad non ricordasse mai il suo passato, come avviene di solito in queste storie. Lo avrebbe scoperto con il lettore, dal resoconto di altri ma non avrebbe mai saputo se le cose si fossero svolte esattamente in quel modo. Siamo arrivati a un punto in cui tutto sembrava chiarito e il personaggio, psicologicamente, cominciava a diventare un po’ troppo simile al Professionista. Insomma, aveva esaurito la sua spinta vitale. Non è detto che non ritorni... Quanto ad Antonia, non so che futuro avrà, di certo vivrà avventure da co-protagonista con Chance. Inizialmente avevo un’idea di svilupparla come serie a sé, ma gli spazi sono un po’ quelli che sono... può darsi che la ritroveremo in avventure in solitario, magari più brevi. E mi piacerebbe che fossero dei survival horror più che delle spy stories vere e proprie, che sono riservate alla serie di Chance..

Si è parlato di un rapporto tra realismo e deformazione che esiste nella tua narrativa. Un’attenzione al dettaglio che diventa esasperata e pertanto assume un effetto deformante, allucinatorio, in quel perfetto stile iperrealistico di cui Sam Peckimpah, al cinema era maestro e di cui abbiamo un altro grande esempio in ‘Taxi Driver’.

SDM. Il dettaglio tecnico, quanto l’ambientazione, è importante per due ragioni. La prima è che entrambi gli elementi permettono di inserire in un contesto verosimile anche storie alquanto improbabili, o al limite del surreale. La seconda ragione è feticistica: la rappresentazione ‘grafica’ della violenza avviene sulla pagina con l’estrema cura della descrizione dell’arma, del suo funzionamento, gli effetti, magari forzando la realtà a favore di una sua spettacolarizzazione (l’impatto, gli schizzi di sangue al rallentatore in emulsione nel vuoto) proprio per prendere le distanze da un reportage giornalistico. Serve a trascrivere sulla pagina quello che la telecamera permette con vari effetti sullo schermo. Come dicevo, la realtà del racconto NON è la realtà vera, è un meta-mondo che ha valenza fantastica, deformante di ciò che ci circonda davvero …

Assieme ad Alan D. Altieri pare stiate pian piano disegnando un universo narrativo seriale unico. I tuoi recenti ‘Ora Zero’ e ‘Sole di Fuoco’, con un character come Bruno Genovese, la trilogia di ‘Montecristo’, con il poliziotto Dario Massi, e i libri di Altieri sullo sniper Russel Kane e l’ “Uomo Esterno” Andrea Calarno, sembrano portare in questa direzione, fino ai cross over in cui li vediamo agire assieme. È solo un gioco tra amici o anche una abile operazione che ricalca un meccanismo di continuity interseriale, ricordiamolo, diffuso soprattutto nel fumetto popolare americano?

SDM. È nato come un gioco. È in programma un episodio di Sniper, ambientato nelle Filippine, in cui vedremo Russell Kane affiancato dal Professionista. Questo romanzo colmerà un “vuoto” al quale spesso si fa allusione nei racconti di Chance, ma Altieri è ancora all’opera... In verità con ‘Professional Gun’ abbiamo già sperimentato il cross over con i personaggi di Cappi, di Narciso, di Nerozzi e mi sembra che la cosa sia venuta benino. C’è ovviamente un riferimento ai cross over dell’universo fumettistico americano. Non è un caso che le storie di Chance, di Vlad, di Bruno Genovese arrivino a intersecarsi e anche in ‘Montecristo’, a parte l’inserimento di Calarno nella storia, c’è un riferimento al Marsigliese. Un gioco che piace e che recentemente ha coinvolto anche altri autori. Barbara Baraldi nel racconto ‘Schegge di Cristallo’ fa incontrare la sua vendicatrice Eva e il Professionista.

Sulla continuity interseriale: quando scrivi, tieni una scaletta preliminare che ti aiuta a sostenere il filo degli intrecci tra i vari libri? Tra l’altro, fare questo trattando di personaggi immaginari calati in contesti geopolitici non deve essere affatto semplice …

SDM. Per abitudine non tengo mai appunti scritti, cerco di ricordare tutto. Faccio scalette scritte sui singoli romanzi quando l’intreccio è particolarmente complicato, come è avvenuto nel caso di ‘Ora Zero’ o di ‘Montecristo’. Ma sulla continuità in generale, in effetti, ci vivo dentro così intensamente che non ho necessità di tenere appunti. Qualche volta succede qualche intoppo. Per esempio, in ‘Morire a Kowloon’, prima versione di ‘La Notte dei Mille Draghi’, scritto nel ’97, Shaibat moriva... nel 2004 scrissi ‘Ghiaccio Siberiano’ e ‘Vivere nel Buio’, e Shaibat era ancora là. Rivedendo il testo di ‘M.a.K’. per l’edizione da libreria, ho leggermente cambiato la scena e poi ho inventato un escamotage molto “feuilleton” per giustificare la sopravvivenza di Shaibat. Soprattutto ho cambiato il fatto che fosse stato Chance e non Fang a spararle, innescando così il meccanismo della vendetta.

Quali sono i prossimi tasselli di questo puzzle? Sarebbe interessante portare questo gioco alle sue conseguenze più estreme e leggere magari un romanzo su Andrea Calarno o Sniper scritto da Di Marino e un libro del Professionista con la firma di Altieri sulla cover …

SDM. Come accennavo prima Chance prosegue le proprie avventure su un doppio binario. Da una parte, le avventure classiche di spionaggio, pensate per Segretissimo, variamente ambientate e legate alla politica internazionale. D’altra parte, storie più dichiaratamente “nere”, con protagonista Il Professionista. ‘Pietrafredda’ ne è il primo esempio: queste storie, che si ricollegano in un progetto che chiamo le Storie di Gangland, partono o si svolgono quasi del tutto a Milano o in Italia e non sempre hanno il Professionista come personaggio principale. I racconti ‘In Fondo al Fiume Nero’ e ‘Riflessi nel Buio’, usciti su Il Giallo Mondadori e su Segretissimo, ne sono un esempio. Però, per il momento non ho in programma di scrivere o far scrivere un romanzo con un protagonista non mio o viceversa.

Penso che l’idea di ibridare la classica spy story d’azione, da sempre tuo genere di riferimento principale, col poliziesco italiano d’annata può essere una buona strada per portare nuovi stimoli in seno al personaggio e ampliare le possibilità della tua scrittura …

SDM. Sono d’accordo e in tal senso ho intenzione di alternare episodi dal carattere più “internazionale”, avventurose e classiche secondo la grammatica della spy story, con storie più hard boiled, di puro “nero criminale” come ‘Pietrafredda’ o le ‘Storie di Gangland’. Sto lavorando adesso a un volume di racconti collegati in una unica vicenda intitolato appunto ‘Gangland Blues’ che poi finisce per essere il ritratto di una città.

L’anno scorso hai anche sondato il genere Thrilling degli anni 70, coi romanzi a puntate pubblicati durante la scorsa estate sul settimanale Confidenze e la curatela dell’antologia a tema ‘Il Mio Vizio è una Stanza Chiusa’ per il Giallo Mondadori.

SDM. I due thriller per Confidenze sono stati una grande soddisfazione. Cipriana Dall’Orto e le sue collaboratrici mi hanno messo pochissimi vincoli: in pratica il numero di battute e la necessità di evitare storie troppo truculente. Sono i racconti che avrei pubblicato nell’antologia Il mio vizio è una stanza chiusa che tu stesso citi, se avessi deciso di parteciparvi con un racconto invece che con un saggio sul cinema di quel periodo, come poi è stato. Riproponendoli altrove ci metterei un po’ più di sangue, farei diciamo un director’s cut ma niente di significativo. Sono il mio pensiero sull’Italian Giallo.

Hai accennato a ‘Gangland’, nome che Milano, la tua città, ha assunto nel tuo universo. Vuoi spiegarci meglio questo curioso concept?

SDM Milano è la città in cui sono nato e nella quale ho vissuto la maggior parte della mia vita. Da ragazzino mi sembrava una realtà grigia, noiosa. Ho cercato in tutti i modi di “scappare” con la fantasia. Anche il mio primo romanzo, ‘Per il sangue versato’, ritraeva una Milano criminale degli anni ‘80 (e nella riedizione dell’anno scorso non ho toccato quasi nulla, il libro è lo specchio di quell’epoca lì) in cui c’era la mafia orientale. Insomma, Milano mi stava stretta. Da qualche anno ho riesaminato la situazione. Milano è una città multietnica, nella quale le suggestioni delle canzoni della mala di Ornella Vanoni, la cronaca della banda di via Osoppo e dei racconti di Scerbanenco si fondono con la stagione del terrorismo e le nuove forme di criminalità internazionale. Un palcoscenico perfetto per storie nere. Gangland, appunto. “Una piccola Chicago”, la definiva Willy Barone il gangster di ‘Milano Rovente’, un poliziottesco che fece storia. E oggi, la situazione si evolve ancora.

Esiste ancora, letterariamente, una scuola dei duri a Milano?

SDM. Idealmente, ma non come “movimento coordinato”. Milano è scenario di storie di molti “noiristi” ma non tutti condividono la mia visione. E non dico di aver ragione. Io, Cappi e Pinketts siamo amici da anni. Scriviamo storie anche molto differenti e tutte sono frutto di suggestioni di una Milano notturna, con personaggi un po’ ai margini che a volte si incrociano. Poi vai in libreria e trovi moltissimi altri thriller o pseudo tali dove ti sembra che, al di fuori della toponomastica, la città sia proprio un’altra. Che vuoi, due milioni e mezzo di abitanti, varie condizioni sociali e possibilità. Ognuno scrive un po’ del mondo che conosce, o che immagina. No, quello della Scuola dei Duri è un concetto astratto. Conta il fare una editoria di guerriglia, questo sì. Ma questa è un’idea un po’ limitata alle persone che ti ho citato e a quelli che le frequentano.

Hai viaggiato tanto ma poi sei sempre tornato indietro, non hai scelto di vivere altrove. Ti piace l’Italia?

SDM - Certo che mi piace, ci sono nato e cresciuto. Anche se sento la fascinazione di altri luoghi come Parigi o l’Oriente, l’Italia è e rimane il mio sostrato sociale, il luogo dei miei affetti. La mia città Milano, malgrado tutto, sta sempre con me. È Gangland, d’accordo ma è la ‘mia’ Gangland.

Rimanendo ai luoghi della tua vita e dei tuoi libri, è nota la tua passione per l’Oriente, si sa dei tuoi viaggi a Hong Kong, città a cui hai addirittura dedicato un reportage per il Touring club. E ancora, hai all’attivo svariati manuali sulla storia e le tecniche delle arti marziali. Quale posto occupano l’Oriente e le arti marziali nella tua vita di uomo e scrittore?

SDM La passione per l’Oriente e le discipline di combattimento tradizionali e moderne sono una parte importante della mia vita. Da ragazzo con maggior fuoco, adesso più nello Spirito. L’oriente mi ha sempre affascinato, sin dai tempi di Salgari, attraverso le arti marziali, che ho cominciato a praticare nel 1971 in una palestra che era un sottoscala. Lì ho scoperto tradizioni culturali, luoghi, storie che avevano a che fare solo marginalmente con il mondo marziale. Tra tutte le cose che mi pregio di aver fatto ce ne sono due che sembrano essere agli antipodi. Aver visto le serate di Boxe Thailandese al Lumphini Stadium di Bangkok, in un periodo in cui ho viaggiato molto come backpacker in Asia. E aver tradotto ‘L’arte della guerra e I Metodi Militari’ di Sun Tzu e Sun Pin (per Neri Pozza, ndr). Le arti marziali sono lo specchio dei loro tempi e degli uomini e delle donne che le praticano. Sono veramente la mia Via.

Ho ripescato di recente un libro, ‘Lo Spirito delle Arti Marziali’, e ho scoperto essere stato tradotto da te. Il testo intriga per la curiosa idea che espone, un tema peraltro presente anche in ‘Hero’ di Zhang Ymou: il rapporto tra la scrittura e i concetti che informano le arti del combattimento. Un interessante tesi che con te calza a pennello e, qui in occidente, abbastanza inesplorata …

SDM. Quello per esempio è un testo che mi ha dato molta soddisfazione, non solo perché parla di arti marziali ma perché affronta l’argomento da un’angolazione filosofica e non esclusivamente tecnica. Lowry è legato ad ambienti della Chiesa americana (il testo è introdotto da un pastore evangelista) e praticante di aikijitsu; non sono d’accordo con tutte le sue affermazioni, molto legate a una tradizione che in parte è stata costruita ad arte nei decenni passati e oggi non è molto seguita. Ciò non toglie che la sua analisi sia interessante. Dopotutto il legame tra arte creativa e spirito marziale è sempre stata molto forte anche se i samurai, come classe guerriera, erano più interessati alla spada che al pennello di quanto si vorrebbe far credere. C’è invece un rapporto più stretto tra combattimento, medicina, poesia e musica nella tradizione cinese che poi è l’ispiratrice di tutte le tradizioni marziali.

Ti è mai capitato di organizzare un viaggio particolare a scopo di documentazione per la stesura di un libro? Per esempio, hai visitato Vladivostok, per il libro su Antonia Lake?

SDM. Nel caso di ‘Vladivostok Hit’ ho letto tantissimo sulla Siberia. In particolare raccomando a tutti ‘In Siberia’ di Colin Thubron, anche se molte suggestioni sulla città nascono da altre fonti. In ‘Vladivostok Hit’ c’è una descrizione precisa della città ma quello che “vediamo” è anche un paesaggio fantastico, un luogo ai confini del mondo. In altri casi ci sono libri, come quasi tutti quelli che sono ambientati in oriente o a Hong Kong, che nascono da viaggi quasi programmati appositamente. Sulle mie esperienze di viaggio legate alla fantasia ho pubblicato un libro per il Touring, ‘E nel cielo nuvole come draghi’, che raccoglie non solo le mie esperienze di viaggi a Hong Kong nel corso di 20 anni ma anche tutte le informazioni e le storie che ho raccolto sulla città attraverso il cinema e la narrativa. ‘Ora Zero’ nasce da un viaggio in treno per l’Europa dell’est che feci nel 2002, l’anno della famosa inondazione del Danubio. Praga e Budapest come appaiono in diversi dei miei romanzi (anche in ‘Montecristo’) sono esattamente come le ho viste. Recentemente sono stato a Berlino per raccogliere materiale per una storia con Antonia e Chance. La Parigi di ‘Pietrafredda’ è una versione, ovviamente filtrata dalla mia fantasia, di un ambiente che ho conosciuto molto bene negli anni 80-90.

Il lavoro di ricerca lo concentri all’inizio o lo porti in progress con l’avanzare della stesura e delle esigenze?

SDM. Generalmente svolgo una prima parte del lavoro di documentazione prima di aver tracciato la scaletta del romanzo con articoli, filmati e foto. Accumulo molte idee per i singoli set e quindi certe scene nascono in questa fase per poter essere in seguito ricollegate allo schema generale. Magari raccolgo del materiale dandoci una sguardo veloce per poi approfondirlo al momento opportuno. Poi ci sono sempre un certo numero di testi, tecnici e geografici che so di poter consultare al momento della stesura di un particolare capitolo.

Si parlava delle tue traduzioni. Vorrei approfondire un attimo questo aspetto della tua attività.

SDM. Traduco da vent’anni, fa parte della mia attività editoriale e ho sempre considerato la traduzione come attività complementare a quella di scrittura. A volte si accettano dei lavori per ragioni puramente “alimentari” ma a parte certi casi tradurre ti aiuta a osservare al microscopio altri autori, nella lingua, nella struttura della storia e si imparano un sacco di cose. Dagli autori giusti, ovvio, quelli che devi ribaltare completamente sono una tortura.

Quali sono gli autori e i libri che più ti è piaciuto tradurre?

SDM. Attualmente cerco appunto di tradurre solo gli autori che mi piacciono, Brent Ghelfi per esempio (autore della serie ‘Volk’, su Segretissimo, ndr), che sicuramente mi ha influenzato nel linguaggio in tempi recenti, poi c’è Terence Strong( il testo è ‘President Down’ e uscirà in Segretissimo, ma è un autore che leggo da molti anni. Il migliore tra i suoi titoli ‘Wheels of Fire’ su Sarajevo...tentai invano di farlo pubblicare da Longanesi), ma ho tradotto moltissimi libri di altrettanti autori. Alcuni bravi come Marc Olden, altri molto meno.

Torniamo alle tue storie. Oltre al dispositivo interseriale, le tue serie godono di continue citazioni che rimandano a mille altri prodotti della cultura popolare. Si va dal polar/noir francese, ai film e ai manga sulla yakuza, agli horror come ‘Hostel ‘(citato in maniera fin troppo evidente in ‘Vladivostok Hit’) ai jidai-jeki come ‘Aragami’ e i polizieschi italiani d’annata …

SDM. Eh, eh, eh. In realtà il serbatoio di suggestioni diverse è dovuto a diversi fattori. Primo, sono vecchio (mitico!, J ndr), ho quindi un’esperienza più che trentennale di frequentazioni con i generi. Secondo, questa mia passione rasenta l’ossessione maniacale: vedo circa due film al giorno e cerco di leggere il più possibile, assorbendo tutto come una spugna. Mi diverto, è vero, ma è un po’ tutto in funzione del miglioramento del mio lavoro. In terzo luogo, è sempre stata mia chiara intenzione sviluppare una narrativa ‘di genere’ che si possa leggere anche come una riflessione ‘sul genere’. Operazione questa, a volte, viene trattata un po’ “a freddo”, come se il genere fosse qualcosa di cui vergognarsi e che un intellettuale può studiare e analizzare, ma con un costante distacco. Io non sono d’accordo. È possibile analizzare i codici della narrativa d’evasione, rileggerli e stravolgerli solo se la sia ama e ci si vive dentro completamente. Che vuoi, è un riflesso di quei disturbi della personalità cui viene attribuita la proliferazione di pseudonimi e che invece è nata imposta dagli editori. Poi diciamocelo sinceramente, al lettore tutto questo piace!

In effetti metti in campo una pop culture non indifferente che è ricambiata dalla piacevole sfida al riconoscimento che si insinua nel lettore e produce attaccamento ai tuoi libri. So che ti è stato chiesto di lavorare nella serialità televisiva. Come mai non hai accettato? Il tuo amico Alan D. Altieri ha già lavorato a produzioni come ‘Uno Bianca’, mi pare con buoni risultati …

SDM. Forse c’è stato un equivoco. Io alla televisione avrei lavorato con grande piacere anche perché mi avrebbe risolto non pochi problemi economici. Però è anche vero che non è per il fatto che uno sa creare delle storie che possa scrivere tutte le storie. Avevo avuto un contatto con Valsecchi, tramite Altieri per un serial di spionaggio. Dovevamo incontrare una persona, poi è stato annullato tutto. Un’altra volta ho telefonato Valsecchi proprio per Intelligence. Mi chiama alle otto di mattina di una domenica, proponendomi di sviluppare una sua idea che proprio non era nelle mie corde e non aveva molto a che fare con le mie proposte. Poi un altro canale mi chiede una serie dura, all’americana. E poi mi dicono: ma questo non è ‘Distretto di Polizia!’ No, in effetti non lo era. Adesso vedo ‘Palermo: Squadra Antimafia’ che è un ottimo telefilm e per certi versi mi ricorda alcune atmosfere di ‘Montecristo’. Però, ne parlavo con un amico sceneggiatore che ha più esperienza di me, i prodotti Taodue hanno una caratteristica, quella di essere contraddistinti come “un’idea di Pietro Valsecchi” e questa probabilmente è la loro forza e anche il loro limite. Del resto Altieri mi dice che la ‘Uno Bianca,’ come l’aveva scritta lui, era un bel po’ differente nel finale, soprattutto. Però non sono assolutamente contrario a lavorare con la televisione (e qui il discorso si fa interessante J, ndr).

Hai poi visto ‘Intelligence’? Che idea ne hai a posteriori, considerando che potevi essere della partita?

SDM - Secondo me è un prodotto meno riuscito degli sceneggiati sulla mafia come ‘Il Capo dei capi ‘e ‘Squadra antimafia: Palermo Oggi’: troppi buchi di sceneggiatura, troppe citazioni evidenti ai classici del genere. Non mi è piaciuto (viva la sincerità!, ndr).

Non è ipotizzabile ancora per un pò una serializzazione dei vostri antieroi in tv, perché come tu hai spesso affermato questa non è pronta per accoglierli. Pensi che il motivo stia nei troppi compromessi coi quali, qui in Italia, si tende ad annacquare i contenuti narrativi, per farli arrivare al grande pubblico televisivo? Forse si rischia che autori come te ed Altieri possano raccontare la realtà in maniera troppo realistica.

SDM. Eh, ho un po’ anche quel sospetto lì. Però, considerando la differenza di medium si potrebbe anche arrivare a un compromesso accettabile. Mi spiace dirlo, però, confrontando anche le mie esperienze con quelle di altri autori (rimando alle vicissitudini tragicomiche di Evangelisti con il cinema e la Tv) ho l’impressione che sia un po’ una questione di persone, di contatti, di canali privilegiati. Non so se mi spiego...(si, certo. E hai colto, ndr).

Cosa pensi dell’industria culturale italiana? Ritieni sia nelle mani giuste?

SDM. Questione spinosissima che abbraccia TV, cinema ed editoria. Più ci sono soldi in gioco più si deve subire l’influenza degli esperti di marketing che guardano solo al soldo e sono convinti di saper fare tutto loro. La creatività italiana che un tempo ha fatto la gloria del nostro cinema e della tv mi sa che si perde all’inseguimento di chimere che, molte volte, non portano neanche i soldi promessi a casa. In editoria è un po’ così ma essendoci in gioco cifre minori ancora un po’ di libertà c’è, soprattutto nelle collane economiche. Però non è che i produttori degli anni ‘60 e gli editori di quell’epoca non cercassero il guadagno, il che significa che forse delle personalità creative un tempo riuscivano a trovare dei trucchi per aggirare certe imposizioni e imporre le proprie idee. Di fondo però chi ama le sue storie cerca di svilupparle senza dar troppo retta agli espertoni e finisce sempre per agguantare il successo magari anche un po’ per caso. È la natura di questo lavoro.