Nel Nordest delle Apocalissi tascabili ogni sistema di allarme ulula a tempo indeterminato, quando non è ormai ko a causa di una smodata utilizzazione.

Suona perfino quello dell’Asiatica, influenza-monstre che sul finire degli anni ’50 seminò quattro milioni di morti sparsi in ogni angolo del mondo. Quasi mezzo secolo dopo, per motivi tutti da chiarire, il College of American Pathologists spedisce una provetta del micidiale virus-killer al laboratorio della casema Ederle, popolosa base americana alla periferia di Vicenza. Al personale sanitario di stanza nel capoluogo veneto viene genericamente richiesto di "compiere dei test", scatendando uno sconcerto così clamoroso da rimbalzare perfino sulle prime pagine dei giornali italiani ("Un virus dagli Usa allarma Vicenza", titola Il Giornale di Vicenza del 14 aprile).

Sfogliando il medesimo numero del quotidiano, ci si imbatte anche in "Treno lanciato come una palla avvolta dal fuoco", dove Lucio Zonta racconta del terrore allo stato puro sprigionatosi alle 17.39 del 13 aprile nelle carrozze di un convoglio Trento-Bassano, così usurato da perdere un motore in viaggio, con conseguente esplosione sui binari, lancio di pezzi di vagone nei giardini circostanti (si era alle porte della città del Grappa), ferimento di una passante, stato di choc per i venticinque passeggeri e un imprecisato numero di testimoni scampati a un disastro solo sfiorato. Siamo ormai di fronte alla liquefazione in corsa di Trenitalia.

In questo particolare periodo dell’anno il giornale diretto da Giulio Antonacci si rivela quanto mai prodigo di orrori. È del 13 aprile il titolone "Boldoro invaso dai liquami", efficacie ma non esauriente nel comunicare tutto il senso di abominio, misto a paura, che ha colto chi a Schio - città da 40mila abitanti a nord di Vicenza - risiede nelle vie Michelangelo e Tito Livio, lambiti da questo torrente. Non così "piccolo" quando - cosa di questi giorni - si trasforma in una nera e puzzolente colata di feci a cielo aperto. Migliore risposta finora non è stata data al "mistero del Boldoro" di cui scrive Elisa Morici. Tutte le ipotesi a proposito di scarichi abusivi e fenomeni atmosferici vengono categoricamente smentiti dalle voci dei testimoni, concordi nel definire come una sorta di maleodorante sublimazione della dissenteria la "cosa" che da giorni fluttua e ribolle davanti ai loro increduli occhi.

Perché stupirsi se, in una terra così devastata dall’inquinamento e dal male di vivere, perfino l’intimità dell’amore è soggetta a "epidemici" incidenti. "A Treviso il maggior numero di fratture del pene" si legge sul Giornale di Vicenza del 12 aprile, riportando statistiche ospedaliere che indicano nel capoluogo della Marca il record di casi di uomini ricoverati per crack muscolare occorso durante l’atto sessuale. Come per dare implicitamente ragione a Carlo Foresta, direttore del Centro di conservazione dei gameti maschili dell’Asl di Padova. Come riferito dal Gazzettino del 16 settembre scorso, è il professor Foresta a raccomandare la conservazione degli spermatozoi in celle frigorifere. L’appello, all’epoca suscitato dal crescente numero di soldati in missione, esposti a radiazioni e agenti chimici in grado di ingenerare la sterilità, assume sembianze più universali di fronte a guerre che ormai si combattono ovunque. Talami compresi.