C’è qualcosa che non funziona in Green Zone, qualcosa che lo tiene lontano dal capolavoro annunciato. Questo qualcosa, per una volta, risponde al nome di “non credibile”, mentre sappiamo benissimo che bisognerebbe, per godere appieno di un’opera di finzione, sospendere l’incredulità. È che stavolta non ci riusciamo proprio…
Chapeau come al solito a Paul Greengrass che assieme a Christopher Rouse al montaggio sanno sempre come rendere una scena d’azione degna di questo nome, ma la storia di un ufficiale dell’esercito americano Roy Miller (Matt Damon) che si converte sulla via di Bagdad diventando un acceso sostenitore della causa di tutti coloro i quali hanno sempre sostenuto che il casus belli che diede vita nel 2003 alla seconda Guerra del Golfo sfociata come si ricorderà nella deposizione di Saddam Hussein da parte delle truppe alleate, e cioè il possesso di armi di distruzione di massa da parte del regime iracheno fosse in realtà una bufala di proporzioni colossali, appare come troppo incredibile per essere credibile.
Quindi va bene la denuncia, per quanto a sette anni di distanza non si può certo parlare di un “instant-movie”, però rimane su tutto il film quella spiacevole impressione di cui sopra…
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