Partiamo da lei e dal suo rapporto con la scrittura...

La scelta di scrivere è arrivata un po' tardi nella mia vita. Prima mi sono occupato in particolare di due cose: la psicologia (sono iscritto all'Albo degli Psicologi) e l'insegnamento (sono insegnante di scuola Primaria). Visto che lo scrivere è un'attività molto praticata, è anche difficile trovare motivazioni che siano un po' originali per farlo... La scelta di scrivere gialli, fu poi dovuta al fatto che pareva mi riuscisse, come dimostrarono i premi letterari, alcuni anche importanti: "Orme gialle", "Esperienze in giallo", ma soprattutto il "Grangiallo" di Cattolica (Mystfest) che vinsi nel 2000, dopo essere stato segnalato nel 1999 e prima di ricevere una menzione speciale nel 2001. Sempre nel 2001 vinsi il "Ghostbuster" e poi "Giallocarta" (2005). Altri racconti vennero pubblicati nel frattempo in varie antologie e nel "Giallo Mondadori". Importante segnalare che di "Nero come le formiche", il racconto vincitore del "Giallocarta", è stato fatto un cortometraggio, film premiato in tutto il mondo e citato dai maggiori giornali. Sono poi arrivati i romanzi: "La regola del male" edito da Contatto di Lerici e "A luce spenta" per l'Editrice Laurum. Sempre per Laurum, nel 2009 è uscito "Notti di raso bianco". Nel 2010 è uscito il romanzo “Tre farfalle d’argento” edito da Hobby & work.

“Tre farfalle d’argento” è ambientato alla fine del ventennio fascista. Come si è documentato?

Avevo già un’ampia documentazione sul fascismo e ho letto tutti i libri che ho trovato sul processo di Verona. Poi si è trattato di un lavoro di ricerca nelle biblioteche fiorentine (giornali dell’epoca, riviste, libri). Inoltre c’è stata una trasferta a Verona. Sono stato lì alcuni giorni: altre ricerche di testi, visite dei luoghi trattati nel romanzo e “interviste” ai cittadini che ricordavano il periodo dicembre, gennaio 1944.

Immagino che sia un conoscitore profondo di quel periodo storico. Qual è la grande differenza rispetto alla nostra epoca, per quanto concerne la mentalità? E la grande analogia?

Non sono uno storico. L’idea che mi sono fatta è soggettiva e non so se mi posso definire un profondo conoscitore dell’epoca. Era in un certo senso “un altro mondo”, ancora fortemente legato alla campagna, alla famiglia direi contadina, con grandi sacche di povertà e di ignoranza. C’era il ruolo subalterno della donna. Non riesco francamente a trovare analogie con oggi. Si usciva da una guerra mondiale devastante e si entrava dopo vent’anni di dittatura in un altro conflitto ancora più terribile. Credo che per certi versi sia stata nell’insieme un’epoca “unica”.

Perché la scelta del mistery storico? Qual è il suo shining?

Secondo me la storia dà al mystery un fascino particolare, perché sembra permettere una distanza anche emotiva dagli eventi e poi, quasi a tradimento, fa dei personaggi una sorta di fantasmi che tornano. Jung l’ha chiamato “inconscio collettivo”. Andare a ritrovare il passato è come andare a stuzzicare istanze profonde che sono dentro di noi e che sono collegate a qualcosa di affettivo. Uso affettivo, non nel senso di “affettuoso”, ovviamente. È come entrare in un vecchio bar del centro che ha mantenuto gli stessi arredi di cinquant’anni fa: provoca un’emozione strana, anche se allora non ero nato, o ero soltanto un bambino.

Il processo di Verona vede imputati, tra gli altri gerarchi, Galeazzo Ciano, genero di Mussolini. Ci dice qualcosa su questo personaggio?

Ciano ha di solito avuto una cattiva stampa. Come genero di Mussolini appariva a molti un arrivista senza scrupoli, un uomo superficiale, dedito a feste, donne e bel mondo. Stop. In realtà era così, ma era anche altro. Fu uno che capì che l’alleanza con la Germania sarebbe stata disastrosa e provò a sostenere questa tesi più volte (si vede dai diari) senza risultato. Non era un pessimo statista.

Il suo limite fu, forse, il sopravvalutarsi e il credersi amato dagli italiani che, invece, lo consideravano per lo più un dandy, adatto ai salotti e pochissimo adatto a fare il ministro. Figuriamoci a sostituire Mussolini.

Il vicecommissario Fernando Magnani si trova a dover indagare su due omicidi probabilmente collegati al processo. Questa figura poliziesca non ha pretese di perfettibilità e proprio in virtù di ciò risulta più verosimile: ha avuto problemi disciplinari e molte relazioni adulterine. É personaggio storico o immaginario?

È un personaggio immaginario. L’ispirazione a creare Magnani, mi venne da una ricerca fatta sui poliziotti in carica durante il fascismo. Alcuni di essi, sposati, avevano avuto problemi disciplinari per via delle donne. Mi sembrò un particolare interessante da scrivere. Da una parte umanizzava questi funzionari che, per lo più erano burocrati anche un po’ grigi, dall’altra mostrava del “machismo”, l’aspetto inviso al regime, che temeva di fare brutta figura con l’alleato tedesco, molto ligio al dovere. L’indagine parallela al processo era l’aspetto per me più interessante, quando ho scritto il libro. Sembrava come raccontare un noir, a confronto con la dimensione lo stesso “noir” che secondo me il processo ha rappresentato.

Come divide o intreccia la sua professione di scrittore alle altre due, ovvero quella di insegnante e quella di psicologo?

Sono iscritto all’Ordine degli Psicologi e ho lavorato sul campo come psicoterapeuta in strutture per psicotici e tossicodipendenti. Ora continuo ad aggiornarmi, ma non sono attivo professionalmente. Faccio l’insegnante. Si tratta di un lavoro molto duro, soprattutto oggi in Italia e che non ha tutto il tempo libero che si crede. Io mi alzo alle 5 e scrivo. Finché ce la farò continuerò così.

I suoi allievi leggono i suoi libri? Cosa dicono?

Visto che i loro genitori mi leggono, loro cercano di fare altrettanto. Prima mi preoccupavo della cosa, (parlo pur sempre di delitti e di violenza), ora vedo che trasformano la lettura a seconda della loro esperienza e di come mi vivono. Ho provato a farmi raccontare da loro cosa avevano capito di quanto letto e uscivano fuori romanzi nel romanzo. A volte con trovate geniali che veniva voglia di riprendere per riscrivere tutto da capo.

 

Ha in cantiere altri romanzi?

Ho addirittura già finito quello che si potrebbe considerare il seguito di “Tre farfalle d’argento”. Il seguito perché si svolge due mesi dopo l’altro romanzo. C’è sempre Magnani in azione, questa volta spostato a Firenze, in procinto di trasferirsi a Venezia. Non so se sarà pubblicato. Forse sì. Ho un po’ di timore che questo crei il solito poliziotto “seriale”, quello che poi sei costretto ad uccidere perché ti obbliga a scrivere solo di lui. Staremo a vedere. Fino ad oggi ho sempre cambiato personaggio, proprio per non incorrere in questo rischio. Magnani però si prestava molto a un seguito. Mi è stato chiesto e non ho resistito…

Ci saluta con una citazione dal suo libro?

“Magnani si guardò nel vetro buio della tipografia e, per un istante, come da bambino, gli sembrò di avere accanto qualcuno che non c’era”.