“Romanza di Zurigo, mosaico eretico e visionario” (Edizioni Historica 2009) è la testimonianza dei tuoi passaggi, intimi e visivi, attraverso questa città «liquida e ordinata, che testimonia e partecipa ad umanissime vicende, ad amori disperati, a nostalgie che emergono come un rigurgito da ricacciare indietro.» Correggimi se sbaglio: la sensazione è che la città sia il viatico di partenza per rivelazioni, illuminazioni, introspezioni che partono da qui e si riversano nell’universale. Un luogo-non luogo?
Non sbagli, anche se la dimensione sospesa di non-luogo è arrivata frequentandola assiduamente attraverso una dimensione di strazio e di erranza. Strazio perché andarci era diventato un “atto necessario” e un “bisogno necessario”. C’è voluto del tempo ma la trasformazione è stata inarrestabile. Subito no. All’inizio Zurigo per me era un luogo preciso, una città che immaginavo noiosa, cupa e fredda prima di andarci, e, appena arrivata, è stato un cimitero, il Fluntern, dove riposano James Joyce ed Elias Canetti. E’ questo che mi ha portato ad andarci, la prima volta, solo questo, per il resto, ero sospettosa. Pensavo a una città poco interessante.
La prima riflessione-rivelazione è dedicata alla scrittura, «una passione che toglie la pelle. Ci pensi giorno e notte.» Qui delinei la tua poetica della scrittura e, tra le altre cose, tracci una linea netta di demarcazione tra l’arte coltivata per intimo sentire e quella votata invece al pubblico riconoscimento/pavoneggiamento. Come un normale lettore può riconoscere, dall’esterno, la differenza?
Ci sono tanti tipi di lettori e, ultimamente, il lettore e lo scrittore spesso coincidono. Nel nostro contemporaneo per quello che riguarda la produzione culturale, fruitori e creatori spesso coincidono, anche perché le persone che si occupano d’altro sono assillate da altri problemi: il lavoro, l’economia, la fragilità della psiche, l’invadenza a senso unico della televisione. Quindi, credo che sia un discorso che non possa farsi assoluto. Se una letteratura leggera e di intrattenimento fa star bene perché no? Poi ci sono scritture, e non solo scritture che cambiano la vita, il modo di vedere le cose, che infiltrano l’anima, che ci portano lontano. Ed è qualcosa di più complesso, “incontri “ che mi sono capitati e che spero mi capitino ancora.
Il fine della scrittura è «quella cosa necessaria e preziosa. Che quando qualcuno legge anche solo una pagina, talvolta un paragrafo e basta, è già corroso. Se tocchi il nucleo e appiccichi brandelli di te sulla carta, se permetti che quello che scrivi siano le tue viscere, i tuoi incubi peggiori, listelli di pelle in sequenza, fare questo intacca per sempre il lettore, marchia a fuoco avambracci, pori e testa. Sposta.» A te quando capita di essere “spostata”?
A me è capitato lo spostamento, la “corrosione”di sicuro la lettura di: Amicizie profane di Harold Brodkey, l’Ulisse di James Joyce, tutto Conrad, il diario di Anais Nin, tutta l’opera del premio Nobel ungherese Imre Kertész, La foresta della notte di Djuna Barnes, alcuni libri di Philip Roth, tutti i libri di Alice Munro, Rendez- vous di Christine Angot. Dead End Blues di Hugues Pagan, Marinai perduti di Jean Claude Izzo, Ristorante nostalgia di Ann Tyler. Poi ci sono stati altri libri importati, a periodi. Ma non sono rimasti così indelebilmente dentro di me. Spero di essere così fortunata da incontrarne altri.
Se ti chiedessi di condensare in sette parole lo shining di Zurigo, cui è dedicata poi l’intera opera, cosa risponderesti?
Cigni Limmat, vetrate di Chagall, Kunsthaus, Zuri Bar, stazione, grigi sfumati. O anche “Percezione di un senso di bene comune condiviso”
Nella pagina in cui parli del pernottamento al Fleming’s, dici: «Ci sentiamo straniti. Smontati come pupazzetti di Lego dai tanti colori». Parliamo di questa sorta di spersonalizzazione che implica il viaggio e che porterà, successivamente, a una nuova ricchezza?
Sì, all’inizio è quasi un disagio, dipende dalla città, dal tipo di confort che accoglie. Ma si sono lasciati i fardelli, si è appoggiata l’armatura usuale che ci connota, o almeno si pensa che sia accaduto, perché se no non ci si predispone a nessuna possibile ricchezza. Siamo nudi, appena arrivati. Almeno, a Zurigo, la prima notte, io lo ero. Volevo la città sulla mia pelle, in tutti i sensi. Ho, per i luoghi, questi amori carnali, anche.
La paura, all’inizio di un nuovo viaggio, si manifesta attraverso la tachicardia. Perché «c’è sempre in agguato l’ignoto timore che arriva quando si battono percorsi diversi.» Quando è stato l’ultima volta che ti è battuto forte il cuore e perché?
Mi è battuto forte il cuore dopo una giornata in Provenza, quando tutto sembrava perfetto, illuminato da paesaggi tanto amati, e ho ricevuto una telefonata dolorosa, anzi, amorosa e dolorosa insieme. Ancora, il ricordarla è un atto difficile, ammantato da un sentimento di perdita e nostalgia profonda. Il mio cuore è diventato tachicardico, pareva forare il petto e per sopravvivere a tale nodo di intensità e ansia ho dovuto prendere molto diazepam. Forse troppo quella sera, ma sono astemia, sto facendo una dieta e ho già perso 15 chili, non fumo, l’unica cosa che mi concedo è la possibilità di sedare il cuore con un po’ di tranquillante quando il cuore stesso diventa incontrollabile o la vita troppo difficile( e le due cose quasi sempre coincidono)
Nel libro, Samuele è una presenza/assenza, è l’amore e la sua ineffabilità, l’anelito verso un altro mai completamente raggiunto ma che fa parte visceralmente della voce narrante. Personaggio reale, immaginario o sovrapposizione?
Samuele è esattamente quello che dici. Brilla nell’assenza, mai completamente raggiunto, ma parte talmente integrante della voce narrante, talmente dentro le sue viscere e il suo cuore che spesso si sovrappone alle sue percezioni dell’esterno. Diventa Zurigo, e Zurigo diventa lui. E’ un personaggio reale, una persona reale e il fatto di (s)fuggire mette in atto il meccanismo eterno e sempre valido che ci porta a tendere a ciò che sfugge, spesso, come la voce narrante della romanza, in maniera totalizzante, quasi masochista, ma con una dose di coraggio che le ammiro.
A pagina 62 ho sottolineato una frase significativa e incisiva: «La disattenzione verso gli altri è un facile inciampo.» Pensi che questa disattenzione sia una peculiarità dei nostri tempi, della nostra frenesia?
Sono convinta che la disattenzione ci sia sempre stata, che sono cambiati i mezzi e che, pur facilitandoci la vita ci buttano nella disattenzione e rovistiamo fra frammenti e pezzetti di parole, amori, residui, pensieri, perché il tutto troppo facilmente ci sfugge. Così la parcellizzazione è diventata la misura, la forma mutante del contemporaneo. Ma non c’è moralismo nella mia considerazione, anche nella nostra vita frenetica credo sia possibile controllare la mente, cercare di esserci, quanto si può, nel presente.
Cosa non può mancare nella tua valigia?
Tante biro e quaderni dalle pagine completamente bianche. Abbastanza libri per non rimanere senza pur comprandone altrettanti ogni volta che vado, ovunque vado. Del diazepam.
Ci saluti con una citazione dal libro?
“Passa svelto il tempo col mio accompagnatore, entrambi stiamo bene ma io vivo la mia personalissima storia, la mia liason segreta. Sedotta da Zurigo, le città sanno farlo, sanno penetrare, carezzare, titillano le zone erogene, i nostri ricordi: É come se mostrassero qualcosa di intimo e dicessero che lo fanno per te, non te lo aspetti” (pag 21)
Infine vorrei che ci salutassi anticipandoci il tuo prossimo viaggio.
Se si tratta di un luogo, è Villefranche sur Mer, piccolo villaggio di pescatori fra Montecarlo e Nizza, con una rada immensa che, a guardarla, pare di essere in paradiso e pensi che valga, davvero, la pena vivere.
Se si tratta di viaggio “letterario” sta per uscire, il 15 aprile per Giraldi editore, “Autobiografie pornografiche”, un testo che raccoglie e racchiude molte cose di quelle che abbiamo detto fino qui. E’ composto di tasselli di puzzle, frammenti, sussurri, micro narrazioni, ed è dedicato, in svariati modi, alla persona che nella Romanza chiamo Samuele, fonte evidente di ispirazione narrativa di potenza che a volte non so se riesco a sostenere, anche perché adesso non brilla più nell’assenza, come quando scrivevo la Romanza, e a causa di questo tutto era più semplice, e la persona si faceva personaggio, quasi feticcio. Adesso c’è e la sua presenza non è indolore.
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