L’uomo nero esiste, si chiama Alfred, ha passato da poco la trentina, è cinico, impassibile, ha gli occhi azzurri e trasparenti, ha abitato nel quartiere popolare di Berlino ed ha una spietatezza che non risparmia neppure i suoi familiari. La mostruosità calata nel quotidiano stride con la purezza dei bambini scomparsi, a partire da Benjamin. Benjamin ha bigiato la scuola perché non ha avuto il coraggio di far firmare due brutti voti alla mamma: una marachella da poco, in fondo. É già così triste la mamma, inchiodata a una sedia a rotelle e ad un marito assente e Benjamin, con la sensibilità dei bambini costretti a maturare presto, non vuole deluderla. Meglio andare a zonzo, ma con cautela. Perché il bimbo sa che non deve dar retta agli sconosciuti, ma quando Alfred lo soccorre da due skinheads che tentano di derubarlo, sigla con lui un tacito patto di fiducia. E il piccolo segue l’uomo nero. Verrà trovato cadaverino in posa macabra: seduto a un tavolo, capelli pettinati con cura sulla fronte, il canino destro superiore strappato. Come a Daniel, tre anni prima e come a Florian, tre anni dopo.
Comincia così La carezza dell’uomo nero di Sabine Thiesler, romanzo ambientato tra gli anni ottanta e il 2004, tra la Germania e i saliscendi collinari di una Toscana dove si estendono vitigni e i girasoli esplodono di giallo. Il filo d’ombra che unisce i bimbi nel tempo e nello spazio è il dettaglio raccapricciante entro cui pare non si trovi una soluzione. Ma poi le vicende si sgranano nel tempo, il dolore è sempre cocente, i ricordi costringono al ritorno e i luoghi aprono nuovi scenari non solo sotto forma onirica.
Sabine Thiesler, autrice berlinese, già scrittrice di testi teatrali e sceneggiatrice, ha esordito nella narrativa noir con questo libro divenuto bestseller in Germania (oltre 400.000 copie vendute), e tradotto in molti paesi tra cui Olanda, Corea, Repubblica Ceca, Giappone, Slovacchia, Grecia. Due paroline all’ottima traduzione di Helga Rainer che ha saputo riproporre in una sintassi fluida, pulita e interessante l’originale tedesco, senza scadere in ripetizioni o senza allentare la tensione del narrato (quella del contenuto resta alta per l’intero romanzo).
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