Siamo arrivati a una fase importante della mia esperienza come narratore di spy story. Il professionista non l’unico ma il più longevo trai serial che ho creato.
Nel maggio del 1995 Chance Renard viveva sulle pagine della testata mondadoriana dedicata alla spy-story la sua prima avventura. ‘Raid a Kouru’ (ristampato per la libreria con il titolo ‘Commando Ombra’ in una versione più lunga, curata e articolata) aveva già in nuce tutti gli elementi — dal protagonista che visualizzai con la faccia di Tom Berenger — di un serial destinato a svilupparsi negli anni. Non era la prima volta che accadeva su Segretissimo, basta ricordare i personaggi di Remo Guerrini e Andrea Santini ma il traguardo dei quindici anni di pubblicazione arriva gradevolmente inaspettato anche per me. ‘Tiro all’italiana’, il romanzo in edicola a marzo segna un punto importante della serie. Il personaggio è un po’ invecchiato ma soprattutto la formula si è avvicinata alla realtà e soprattutto alla realtà del mio paese proseguendo su quella strada già tracciata da ‘Gangland’ allo scopo di trovare un degno sfondo italiano per una serie nata per ispirazione di modelli stranieri. Invece di ripercorrere la carriera del personaggio, ho pensato che il modo più originale e interessante di celebrarlo fosse rivelare ai lettori qualche trucco del mestiere, in particolare riguardo allo sviluppo di un serial, operazione che si discosta non poco dalla stesura di un romanzo a se stante come per esempio ‘Ora Zero’. Per un narratore, di genere soprattutto, scrivere un serial è un’ottima opportunità. Consente di mantenere nel tempo il rapporto con il pubblico fidelizzandolo non solo al proprio nome e ai propri personaggi ma anche a tutto il suo mondo immaginario. Questo è quell’insieme di ‘regole’ e convenzioni narrative che solo superficialmente chiamiamo cliché ma che variano da autore ad autore e, alla fine, ne rappresentano la cifra stilistica. Mi spiego, l’eroe, il super cattivo, la spalla, la bella, la maliarda, la lotta contro il tempo, sono tutti cliché della narrativa d’intrattenimento e, in quanto tali, possono essere amici o implacabili nemici del narratore a secondo dell’uso che questi ne fa. Nel romanzo di spionaggio poi cinema e narrativa scritta hanno impiegato queste figure sino all'inverosimile, da una parte obbligando l'autore a farvi ricorso proprio perché parti irrinunciabili del filone, e dall’altra costringendolo a compiere continui sforzi per rileggere ciò che già esisteva in maniera sempre nuova e originale. Il ciclo di James Bond 007, soprattutto quello cinematografico ne è un esempio lampante. Cosa sarebbe Bond senza tutti quegli elementi e personaggi di contorno che lo spettatore si aspetta di trovare in ogni film ma che esige di veder presentati in maniera sempre differente? Un mediocre scrittore resterà prigioniero dei cliché, lascerà che la storia scaturisca da essi nel modo più banale e ripetitivo, creando nel lettore un effetto noia che, a lungo andare, si ritorcerà contro di lui. È il caso di moltissimi serial nati da un’intuizione originale del loro ideatore e proseguiti da autori differenti da quelli originali che si limitano ad applicare la ricettina senza aggiungervi (o sapervi aggiungere) nulla di personale con l’illusione che per replicare un successo basti riproporne pedissequamente gli elementi più riconoscibili.
Per sapersi servire efficacemente dei cliché è necessario conoscerli molto bene, ma soprattutto rendersi conto che ciascun autore ha i suoi o meglio, riesce a inventare una sua formula che utilizza gli archetipi del genere in maniera a volte solo leggermente differente ma sufficiente a renderli una strada originale da seguire con sicurezza ma senza ripetitività. Quentin Tarantino è un profondo conoscitore della narrativa di genere e popolare, tanto da potersi permettere di ribaltare il cliché in qualcosa di assolutamente nuovo che stravolge le aspettative dello spettatore medio.
È questo genere di operazione che gli ha permesso di girare film “post moderni” che hanno suscitato il plauso di quella critica che generalmente detesta il genere e i suoi cliché, convinta di aver trovato una chiave di lettura nuova e originalissima. In realtà Tarantino ha fatto un’operazione molto più sottile e difficile da cogliere. Ha riplasmato degli archetipi classici mescolandoli tra loro, stabilendo le coordinate di un mondo immaginario tutto suo, pur restando all’interno di un filone (il noir d’azione). Un bellissimo esempio è la saga di ‘Kill Bill’ dove vengono riproposte tutte le sue passioni, dai film di Yakuza a quelli di Kung Fu, ai western all’italiana ai noir anni Quaranta. Ma ciò gli è stato possibile per singoli film perché il pubblico del serial, televisivo, fumettistico e letterario richiede un minor distacco dagli archetipi del genere.Non si tratta, però, di un’affermazione assoluta, alcuni dei serial di maggior successo degli ultimi anni si basano su una revisione drastica dei canoni di massa del filone, basti pensare ai ‘Soprano’s’. Il concetto che mi preme sottolineare è che, con il serial narrativo, l’autore ci dice esattamente qual è il suo mondo immaginario, al di là della serie specifica. ‘Il Professionista’ è un serial di spionaggio che contiene sfumature sia di 007 che di SAS, ma è destinato a essere molto diverso da entrambi. C’è l’eroe, l’intrigo, le belle donne, disponibili e pericolose come ci si aspetta, ma la salsa con cui questi elementi sono mescolati risulta differente. L’azione è scandita con un ritmo particolare (in questo caso mutuata dal cinema di Hong Kong, da alcuni scontri a fuoco dei romanzi di Altieri e dai corpo a corpo di Marc Olden), il sesso può ricordare quello che si vede in certi episodi di SAS che a sua volta ha una forte ispirazione nel cinema hard-core degli anni ‘80/90, ma i rapporti tra il protagonista e le sue donne presenta una componente superiore di sentimento rispetto ai romanzi di De Villiers. Gli intrighi hanno a volte una componente bondiana (mi riferisco al modo di inanellare le scene del primo Bond cinematografico), ma sono influenzati anche da una complessità che è più vicina a Ludlum e al Van Hamme di ‘XIII’ che ai vecchi Segretissimo. E poi il lettore è abituato all’idea che nelle storie di Chance può trovare schemi narrativi dove passato e presente si alternano e questo è uno schema molto caro a un grande scrittore di spionaggio che era Edward S. Aarons, l’autore di Sam Durrell il Caimano. Ma siamo nel ventunesimo secolo e la realtà giornalistica si mescola molto profondamente con quella geografica. Dopo l’11 settembre è cambiato qualcosa nella percezione dei romanzi di spionaggio, proprio come era avvenuto con la caduta del Muro di Berlino. Perciò pur mantenendo fissi alcuni punti la serie ha dovuto mutare, più che adattarsi, sfruttare a suo vantaggio gli spunti suggeriti dalla mutata situazione politico-economica mondiale. Insomma è un mondo che ne riecheggia diversi ma, nel suo mélange, è unico. E questo è il mio mondo di scrittore che in parte o forse in tutto e per tutto, si ritrova in ogni mio libro. Con il serial ho la possibilità di imporlo costantemente, di renderlo familiare di… educare il lettore al mio gusto nella narrazione, fornendogli la possibilità di accedere a opere anche più impegnative con gli strumenti adatti per poterle apprezzare appieno. Per esempio sono convinto che la narrativa di genere odierna non possa rinunciare al gioco delle citazioni e dei rimandi. Lo scrittore odierno non può prescindere da tutto quello che è stato fatto prima, non può avere la presunzione di aver inventato tutto lui, pena condannarsi a cadere in quello stereotipo da cui rifugge, che non conosce e quindi finisce per imporsi sulla sua scrittura quasi senza che se ne accorga. Facciamo un esempio. Il primo a introdurre scene d’azione subacquea fu Leslie Charteris in un romanzo del ‘Santo’ che venne prima di ‘Thunderball’ che, a sua volta, sfruttò sullo schermo la potenzialità spettacolare di queste sequenze. Da quel momento la scena d’azione subacquea è diventata un classico della spy-story. Sono certo che Clive Cussler, quando ha deciso di farne il fulcro delle avventure di Dirk Pitt non si sia semplicemente limitato a documentarsi sull’argomento dicendo: “No, non voglio sapere cosa hanno fatto gli altri”. Questo è un atteggiamento poco professionale perché qualcosa di ciò che ci precede rimane sempre nella memoria nostra e del lettore. Il trucco sta nel saper sfruttare questa reminiscenza, aggiungendovi qualcosa di personale ma sempre coscienti che i modelli ci condizionano. E allora perché non citarli esplicitamente? Lo ha fatto ‘Martyn Mystere’ in alcune sequenze iniziali del primo albo a fumetti del Detective dell’impossibile, torna a farlo Cappi con alcune delle scene più riuscite di ‘La lunga notte di Diabolik’, lo ha fatto Altieri nell’incipit di ‘Ultima Luce’ e, ovviamente anch’io me ne sono servito in ‘Marea Rossa’ (‘Il veleno del cobra’ nella versione da libreria), forse uno dei Professionista più bondiani. Alla fine, se ci guardate, sono tutte sequenze subacquee, hanno un filo comune nella nostra memoria eppure appaiono completamente differenti. Ecco, il serial mi permette di abituare il lettore a questo gioco delle citazioni, consentendomi sulle pagine di un romanzo più impegnativo come ‘Quarto Reich’ di introdurre una scena sottomarina dove ho rivisitato il genere. C’è un altro risvolto utile nello scrivere un serial destinato alle collane economiche. Più volte ho paragonato questo lavoro alla realizzazione di un telefilm. Non è esattamente così. Nei telefilm devo concludere una storia in 50 minuti, restando entro un budget che, forzatamente, è piuttosto ristretto. Quando scrivo un Segretissimo so di non dover superare le 250 cartelle e questo corrisponde al limite temporale anche se in questo spazio so di poter sviluppare una vicenda piuttosto articolata rispetto a un semplice film televisivo. La differenza è che all’interno di quel contenitore posso far esplodere la bomba atomica in Iraq, crollare un grattacielo a Manhattan ed esplodere un ponte in Cina, insomma non mi devo preoccupare di quanto costerà un continuo cambio di location perché è tutto sulla carta. Devo però tenere sempre presente che la mia storia necessita di un ritmo veloce e una scrittura scorrevole. La bella pagina, l’approfondimento, devo riservarla al romanzo da libreria dove ho uno spazio maggiore (circa 500 pagine) e posso inoltrarmi in territori inesplorati, con qualche divagazione. Nel romanzo di serial il protagonista deve sempre essere al centro dell’azione; ai comprimari, amici o nemici che siano, vanno riservati solo dei rapidi flash. In poche battute devo descrivere una città, suggerire l’atmosfera di un ambiente, in pratica è come se il mio budget mi costringesse a essere più stringato e incisivo possibile, una qualità che mi verrà utile anche quando scriverò il romanzo più impegnativo. Il serial mi permette di “far pratica” sfoltire, sviluppare un linguaggio che non deve essere sciatto ma incisivo, a sfruttare le mie ricerche senza infliggere al lettore pagine e pagine di descrizioni e spiegazioni didascaliche. A questo punto avete tra le mani tutti i trucchi di una vecchia volpe della narrativa d’intrattenimento. Scrivere un serial di spionaggio non dovrebbe rappresentare per voi più alcun problema. Come? Vi sembra che in questo dossier sia stata omessa qualche informazione fondamentale? Be’, naturalmente, che scrittore di spy-story sarei se vi avessi rivelato tutti i miei segreti… Scherzi a parte al di fuori di tutte le informazioni sulla creazione del personaggio principale, dei comprimari, della documentazione sul campo e sui libri c’è qualcosa di cui non abbiamo parlato ma che rimane un cardine del successo del vostro serial così come lo è stato per i miei illustri predecessori nel filone. Sto parlando della qualità delle vicende. Troppo spesso si sente dire che un serial o una collana “si vendono da soli”. Sì, è vero che un buon marchio e un contenitore editoriale di successo servono a volte a sostenere un prodotto non sempre eccellente e che una serie (magari come quella di SAS o di OSS117 che vantano un catalogo di più di 180 avventure) viene acquistata molte volte per affezione verso il protagonista ma sono convinto che ogni romanzo vada un po’ considerato a se stante e un susseguirsi di avventure mediocri o troppo ripetitive possano danneggiare tutto il lavoro svolto per creare un buon format. È un pericolo che ogni autore di serial sia televisivi che narrativi deve prendere in considerazione. Se l’attenzione del lettore non è sempre desta questi rischia di annoiarsi e abbandonare il personaggio. Da qui la necessità di tenere sempre viva l’attenzione di chi ci segue stabilendo una linea di continuity tra le varie storie e, a volte, inserire alcune sorprese come la morte o il tradimento di uno dei comprimari. Anche il super nemico, ormai un classico irrinunciabile per ogni serial che si rispetti, dovrebbe tornare solo periodicamente in modo da evitare quell’effetto Gambadilegno” così chiamato dal ricorrere troppo frequentemente dei fumetti di Topolino della presenza del malefico gattaccio. Meglio scegliere alcuni nemici (nel caso del Professionista il Marsigliese, il DOS, Jadranka) che si alternano e, a volte esauriscono la loro presenza nel giro di pochi episodi. È poi anche vero che gli eroi della fantasia per definizione a un certo punto della loro carriera non invecchiano più. Il pubblico accetta questa convenzione che, alla fine ritengo anche giusta, guardate i casi di Bond e SAS che, se dovessimo stare alle loro età biologiche, potrebbero vivere missioni solo in qualche ospizio per anziani… Ovviamente più la serie si protrae negli anni meno facile è mantenere la linea di continuità nel racconto facendolo apparire come un’unica storia personale in pieno svolgimento. Ma com’erano più avvincenti quegli episodi di SAS dell’inizio degli anni ’70 quando da un’avventura all’altra l’eroe ricordava eventi e ferite o persino le fasi della costruzione del suo castello. Ricordo l’episodio ‘Magie Noire a New York’ (‘Scusate ho sbagliato ussaro’ in italiano) in cui Malko veniva accusato di essere un nazista e per evitare di essere ucciso dagli agenti del Mossad doveva infiltrarsi nell’ODESSA. Suggerire che il protagonista potrebbe essere un traditore, braccato da tutti, funziona sempre ed è un espediente che fornisce uno sviluppo nella storia. Un po’ come Chance che viene costretto a lasciare la Legione accusato di un delitto che non ha commesso. Ovviamente a questo genere di spunti si possono alternare avventure a se stanti, autoconclusive. Sotto questo profilo ogni scrittore di serial sa che tutto quello che si poteva scrivere o inventare è già stato inventato o è accaduto nella realtà. Sta alla vostra abilità mescolare temi e ambientazioni in modo che le storie appaiano sempre differenti ma con quel sapore di “classico” che è il tono generale della serie. Vediamo, a titolo di esempio alcuni degli spunti classici della spy-story che tutti gli scrittori hanno usato una o più volte. La minaccia della bomba nucleare rubata dai terroristi o dal super cattivo. Il Killer inafferrabile, uomo o donna che deve essere fermato a tutti i costi. La ricerca della talpa nell’organizzazione. La spedizione di armi segrete da sventare. Il rapimento di un agente o di una personalità da liberare. Il dossier scomparso e compromettente. Il piano per incolpare ingiustamente l’eroe o uno dei suoi comprimari. Il defezionista che può rivelarsi sincero oppure un manipolatore. L’assalto alla banca. La fuga da un paese in guerra inseguiti da miriadi di nemici. Sono solo alcuni esempi di punti di partenza per avventure che possono avere sviluppi e ambientazioni in ogni parte del mondo. La minaccia di un attentato che si sviluppa in seguito al furto di un’arma biologica o nucleare a uno stato sovrano è un classico del genere, ma si può svolgere con effetti differenti sia in India che alle Bahamas che in una grande città occidentale. Un buon espediente è dare inizio subito all’avventura con una scena d’azione. In questo caso può essere il furto dell’arma di distruzione di massa, oppure la morte dell’informatore che avvisa l’eroe dando luogo all’inizio di un’indagine che, apparentemente, porta in direzione differente dalle piste seguite da tutti gli altri agenti del servizio. Si crea così l’idea che il vostro protagonista sia un anticonformista, uno che segue il suo intuito e riesce in questo modo a sventare il piano dei cattivi. Tutti gli elementi di contorno, dall’ambientazione, all’identità del nemico (avete mai pensato che al-Qaeda è una specie di SPECTRE dei giorni nostri?) alle girls immancabili e pericolose fanno parte del vostro “repertorio” di quei famosi cliché che possono essere vostri alleati come vostri avversari. La spy-story non è una scienza matematica, se volete cimentarvi in questo filone dovete conoscerne le componenti ma starà a voi, alla vostra inventiva, rendere tutto appetibile e divertente. Un ultimo segreto. Questo tipo di storie deve piacervi. Infine dovete ‘crederci’, come ci ho creduto io. Buon divertimento!
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