Nel 1973 William Henry Hallahan scrive un romanzo giallo letteralmente impregnato di bibliofilia: “Un autentico falso” (The Ross Forgery), arrivato in Italia nel 1979 nella collana Il Giallo Mondadori, n. 1598.
Ross, il protagonista, è un bravo e famoso tipografo di New York che viene avvicinato dal ricco eccentrico O’Kane e riceve una proposta che ha dell’incredibile. Fra il riccone ed un altro tizio, anche lui ricco, intercorre da anni un’accesa rivalità, ma ora O’Kane vuole ingaggiare Ross per dare la stoccata finale: visto che il suo rivale è un appassionato collezionista di libri antichi, vuole falsificarne uno che manchi a quella collezione così da poterne vantare il possesso. Attenzione però, non è così semplice! La passione dell’avversario è per i libri stampati ed autenticati da Thomas Wise, stampatore che divenne famoso perché... autenticò e stampò libri falsi! Anche se riconosciuto come falsario, però, i libri stampati da Wise diventarono oggetto di collezionismo sfrenato. Quello che O’Kane sta chiedendo a Ross, dunque, è di creare un libro che possa esser creduto stampato da Wise: un libro falso che... risulti falso ad un esame attento! Ma falso come quelli di Wise, non falso in generale, e visto che lo stampatore era attivo agli inizi del Novecento, Ross dovrà stampare un libro che sia falso secondo quei criteri: fatto questo, riceverà da O’Kane una ricca ricompensa.
Conosciamo meglio questo autore inventato, Thomas Wise. «aveva iniziato la sua carriera come modesto impiegato. Per mettere insieme la sua biblioteca aveva bisogno di molto denaro e lui se l’era procurato mettendosi a fare dei falsi. Ha inventato “prime edizioni” di capolavori del periodo vittoriano: libriccini, tutti lavori brevi, poemetti, saggi, racconti. Ne ha fatto più di cinquanta, in quarant’anni circa; gli hanno reso una fortuna. Disgraziatamente per lui, due grandi studiosi di bibliografia, Pollard e Carter, hanno scoperto tutto e gli hanno rovinato la reputazione. Così, alla sua morte, Wise ha lasciato dietro di sé un nome non proprio immacolato, un patrimonio modesto a sua moglie e una biblioteca grandiosa al British Museum. Ma ha lasciato anche una nuova categoria di collezionisti, i collezionisti dei suoi falsi.»
La situazione è talmente paradossale che «un lurido falso di Wise vale di più della prima edizione autentica che lui ha copiato! La contraffazione vale di più della cosa vera.» Ma perché? «Perché i piccoli peccati commessi da quell’uomo sono stati cancellati dall’importante biblioteca che è riuscito a creare. Ha rivoluzionato la biblioteconomia e il collezionismo librario; ha smascherato falsi clamorosi, ha contribuito alla creazione di molte biblioteche, specialmente negli Stati Uniti, e ha stabilito nuove mete per gli studiosi di bibliografia. Per me è un esempio di redenzione totale e sono certo che Thomas Wise è andato diretto in Paradiso.»
Il romanzo non cita quindi pseudobiblia propriamente detti, bensì libri realmente esistenti (come i “Sonetti dal Portoghese” di Elizabeth Barret Browning)... ma la cui edizione è stata contraffatta da Thomas Wise che, va ripetuto, non esiste!
Inutile aggiungere che gli sforzi di Ross si infrangeranno contro gli stilemi del giallo che vedranno entrare in gioco violenza ed armi da fuoco, ma il tutto rimane ammantato di uno strepitoso velo di bibliofilia,
Il romanzo “La figlia del tempo” (The Daughter of Time, 1951) di Josephine Tey (pseudonimo della scrittrice scozzese Elizabeth MacKintosh) è veramente un testo particolare: trovandosi l’ispettore protagonista in ospedale e quindi nell’impossibilità di indagare sui crimini attuali, decide di dedicarsi... ai crimini del passato! Ma non un passato recente: si appassiona infatti alla figura e alle vicende di Riccardo III...
Grazie al dramma di William Shakespeare e alla biografia di Tommaso Moro, il Riccardo III che noi conosciamo è uno spietato assassino, che ha fatto massacrare gran parte della propria famiglia per essere sicuro di ottenere il trono, nonché ha imprigionato e fatto uccidere i due principini suoi nipoti... ma siamo sicuri che sia andata così? Malgrado l’opinione comune, quanto descritto è tutta una montatura a firma di Enrico VII, il vero despota che successe a Riccardo sul trono e lo infangò agli occhi dei posteri.
Prima di dedicarsi a queste vicende, l’ispettore Grant si imbatte (senza saperlo, ovviamente!) in due pseudobiblia: libri che gli sono stati consigliati per passare il tempo nel letto d’ospedale, ma che invece lo infastidiscono.
Il primo è “Il sudore e il solco” di Silas Weekley, «e si dilungava sulla vita dura dei contadini per più di settecento pagine. [...] La pioggia gocciolava dal tetto di stoppie e il letame esalava i suoi vapori nella concimaia. Non era colpa di Silas se quei vapori fornivano l’unico elemento in ascesa di tutto il quadro. Se Silas fosse riuscito a scoprire qualche vapore che esalasse all’ingiù, l’avrebbe sicuramente introdotto nel romanzo»: non proprio una lettura piacevole!
Il secondo è “Il caso dell’apriscatole scomparso” di John James Mark, che però «conteneva ben tre errori di procedura nelle prime due pagine, e se non altro aveva fornito a Grant cinque minuti piacevoli, durante i quali si era divertito a comporre un’immaginaria lettera all’autore.»
Abbandonate le letture d’evasione, il protagonista si dedica alla ricerca su Riccardo III, incontrando ancora un altro pseudobiblion: “La Rosa di Raby”. «Era semplicemente un romanzo; [...] Inoltre, apparteneva a quel genere quasi rispettabile di romanzo storico che è, per così dire, puramente storia dialogata. Una biografia ricca d’inventiva, piuttosto che una storia inventata. Evelyn Payne-Ellis, l’autrice, aveva fornito i ritratti e un albero genealogico, e non aveva tentato in nessun modo, sembrava, di fare sfoggio di termini arcaici o pomposi. Era un’operina onesta, nel suo genere.» La Rosa del titolo è la madre di Riccardo III, e il testo darà al protagonista molti spunti per approfondire le ricerche su questo personaggio controverso.
Una volta che l’ispettore Grant ed il suo amico ed aiutante, Brent Carradine, hanno ricostruito le vere vicende di Riccardo e della falsa propaganda che l’ha infangato, decidono che in futuro scriveranno un libro su tutto questo: «Vorrei prendere in prestito una frase da Henry Ford, - dice Brent - e intitolarlo “La storia, tutta una frottola”.» Un doppio pseudobiblion, visto che poi i due, scoperto che un libro sulla falsa propaganda intorno a Riccardo esiste già, non lo scriveranno più!
Il romanzo esce in Italia nel 1976 sempre ne Il Giallo Mondadori, n. 1425, poi ritradotto e ristampato nel 2000 dalla Sellerio Editore.
Il signor Parsons, personaggio di “Lettere mortali” (From Doom With Death, 1964 - Il Giallo Mondadori n. 1664, 1980) di Ruth Rendell, è un appassionato lettore di un genere di libri molto particolari. Quando lo andò a trovare un ospite, «la prima cosa che aveva notato entrando nella stanza erano stati i libri nello scaffale accanto al caminetto. Sarebbero bastati i titoli a mettere in agitazione anche la persona più equilibrata, a far venire l’angoscia anche senza nessuna ragione obiettiva: “Dalmer l’avvelenatore”, “Il processo di Madeline Smith”, “Le tre spose annegate”, “Processi famosi”, “Importanti processi inglesi”.» Eh sì, il signor Parsons è appassionato di criminologia e ne legge a volontà. «I delitti mi interessano - confessa. - È un mio hobby.»
Però poi sua moglie scompare, e la questione si fa scottante: non è che a forza di leggere di crimini e delitti il signor Parsons si è lasciato prendere la mano? Oppure il suo hobby non nascondeva altro che un “corso di studi” per compiere un delitto? «Forse un giorno, sotto la copertina di un libro simile a quelli, ci sarebbe stato il resoconto della sparizione di Margaret Parsons, con il viso attonito del marito sul frontespizio. [...] Lui non avrebbe avuto difficoltà a ucciderla. Aveva una buona preparazione in proposito. I libri ne erano la prova. Però tra teoria e pratica esiste un abisso.»
Non verrano citati altri pseudobiblia in questo giallo tutto letterario di Rendell, quindi non sveliamo altri particolari.
Chiudiamo con un altro pseudobiblion tratto da un telefilm. Nella serie “Hardcastle e McCormick” (1983) il giudice in pensione Milton Hardcastle (interpretato da Brian Keith) diventa tutore legale di una “testa calda”, Mark McCormick (Daniel Hugh Kelly), e insieme sventeranno i piani dei “cattivi” della città.
Nell’episodio “Man in a Glass House” (1x03) il killer di professione Joe Cadillac (interpretato da John Marley) a fine carriera decide di pubblicare un libro di memorie: “Senza peccato” (Without Sin), raccontando aneddoti della sua vita ma anche scottanti rivelazioni sui suoi mandanti e conniventi. Ecco la quarta di copertina: «La lotta di un uomo libero per conquistare il suo destino. Cammino appassionante dai ghetti di New York ad una casa in California con tappe ad Hollywood e nei quartieri eleganti». «Ha dimenticato le tappe nella prigione di San Quintino!» è il sarcastico commento di Hardcastle, che tempo prima l’ha «sbattuto in galera un paio di volte».
Il giudice, visto che si ritrova citato nel testo, decide di comprarlo, ma trasecola quando scopre che costa 18 dollari. Però ne vale la pena, lo rassicura la commessa della libreria: «Io l’ho appena finito: è bellissimo. È una denuncia alla malavita e accusa tutti: agenti corrotti, cattivi giudici... È un libro che va a ruba». Ecco un brano che si riferisce al protagonista del telefilm: «Il giudice Hardcastle è un bugiardo spudorato che stravolge la verità e che accusa chiunque gli capiti a tiro». Basta questa frase per far sì che il giudice, anche se in pensione, decida di occuparsi del dossier Cadillac.
Quando i suoi ex mandanti gli chiedono perché mai abbia messo nero su bianco questioni scottanti e molto compromettenti, Joe Cadillac risponde «Sono stato sempre maltrattato dai giornali, per anni agli occhi di tutti sono stato soltanto un cialtrone. Ormai non ho molto da vivere, voi dite che io sono in gamba, no?, be’ voglio rifarmi un nome.»
Grazie all’aiuto di Hardcastle e McCormick, il killer scrittore non finirà nella trappola di Deseau (Lance Henriksen), anch’egli killer di professione e inviato ad imbavagliare il collega troppo “chiacchierone”.
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