Roberto Ampuero è un cinquantenne cileno, vissuto a Cuba e in Germania, che attualmente abita negli Stati Uniti. Col suo ciclo di quattro romanzi dedicati all’investigatore privato Cayetano Brulé (Il tedesco dell'Atacama è il terzo tradotto in Italia, ma il secondo a essere stato pubblicato) si è inserito prepotentemente nella nutrita schiera di narratori latino-americani che da diversi anni declinano il verbo poliziesco facendosi apprezzare anche in Europa e in Italia: dove, a dire il vero, per troppo tempo, di questa robusta produzione di conoscevano solo i racconti di Borges e poco altro.
Cayetano Brulé è un personaggio contraddittorio che attira immediatamente il lettore: di mezza età, decisamente soprappeso, calvo e molto miope, tuttavia le donne subiscono il suo fascino; gran mangiatore, bevitore e fumatore (sempre a portata di mano, le sue Lucky Strike!), il suo essere platealmente contro ogni “politically correctness” alimentare non intacca la sua credibilità come uomo e come professionista; abita ed esercita a Valparaìso (dove è giunto al seguito di una cilena aristocratica e socialista – un’altra contraddizione, tanto per cambiare! – conosciuta in Florida), ma i suoi lontani avi francesi, l’origine cubana, l’esilio (con tanto di servizio militare) negli Stati Uniti lo hanno vaccinato contro ogni rigida appartenenza etnica o ideologica.
Nel suo ufficio un po’ malmesso attende senza troppi patemi i suoi clienti aiutato da un incredibile assistente giapponese, di nome (guarda un po’) Suzuki, che, per i suoi interessi gastronomici, peraltro condivisi col suo datore di lavoro, assomiglia assai a Biscuter, il fedele “Watson” di Pepe Carvalho, il detective privato nato dalla fantasia di Manuel Vázquez Montalbán.
Uomo dal caldo sangue tropicale nel paese “più tedesco” del Sudamerica, Cayetano in questa seconda avventura si trova proprio alle prese con un bel numero di tedeschi: la giornalista Kornelia Kratz, inviata del Frankfurter Allgemeine Zeitung, lo ingaggia per trovare il connazionale Willi Balsen; quest’ultimo, nativo della DDR e riciclatosi in un’organizzazione non governativa per aiutare i cileni del deserto dell’Atacama a trarre acqua dalla loro terra, viene assassinato dopo il fallimento del suo nobile tentativo; Barbara Schuster, ex amante di Balsen nonché dipendente dell’Antares, si suicida a Berlino dopo essere stata rimpatriata a forza dai suoi superiori; il grasso Bodo Pankow dirige l’Antares, una ditta che si occupa di prospezioni petrolifere, ma che ben presto risulterà implicata in traffici ben più loschi che vedono implicati anche deputati rampanti del giovane Cile democratico.
Ambiguamente invece il “tedesco” a cui fa riferimento il titolo non è solo il defunto Balsen, ma anche l’insegna della pensione messa su da un’altra sua ex amante, del luogo questa volta, Isabel Ayabire.
Brulé deve fare di necessità virtù e si trasferisce a San Pedro, in un’oasi dell’Atacama, dove ha modo, mentre tenta di sondare con estrema difficoltà i motivi dell’uccisione di Balsen, di conoscere veramente un altro mondo: in cui la rarefazione dell’aria consiglia movimenti cauti e misurati; in cui la presenza dei discendenti delle popolazioni autoctone impone il rispetto e fa nascere la malinconia nel vedere i loro tesori depredati e le loro speranze disilluse; in cui turisti e imprenditori senza scrupoli si mescolano a reperti fossili del ’68 europeo o della stagione “rossa” sudamericana in un melting pot sociale dai connotati inquietanti. E, sullo sfondo, il tremendo contrasto tra l’aridità del deserto e l’imponente (e incombente) Cordigliera delle Ande.
Brulé procede con lentezza nella sua ricostruzione della vicenda, sensibile al fascino femminile, ma non tanto da tradire la sua donna rimasta a Valparaìso, Margarita de las Flores, alla quale nel finale sogna di poter regalare una crociera da sogno; apparentemente impacciato nel fisico, ma assai svelto nell’intuire le connessioni tra i fatti, sembra cinico ma è solo realista, lento ma è solo cauto, idealista ma solo teso raggiungere la sua piccola ma importante verità.
Se lo sfondo dell’azione è certamente inconsueto, il modello un po’ meno: sembra di scorgere in più di un momento in filigrana il già citato Manuel Vázquez Montalbán: anche se qui, tra le altre cose, manca la “fisicità” del rapporto con la dimensione urbana. Tuttavia il personaggio è davvero riuscito e offre una convincente alternativa ai suoi colleghi nordamericani, ultimamente un po’ in ombra rispetto a poliziotti, avvocati e medici legali che impazzano nelle librerie americane (ed europee).
Che il mito di Marlowe, per sopravvivere, debba trasferirsi ai Tropici?
Saremmo i primi a rallegrarcene.
Voto 7
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