Nel 2010 la Gargoyle Books compie il quinto anno, può tracciare un breve bilancio? È soddisfatto?
Direi proprio di sì. I risultati commerciali sono ancora poco più che incoraggianti ma, partendo da zero, siamo riusciti a creare qualcosa di davvero straordinario: affermare non un titolo o un autore, ma un progetto editoriale e un marchio. Oggi c’è in Italia un discreto numero di lettori che colleziona i nostri romanzi e che si informa sulle nostre uscite e sui programmi di medio e lungo termine. Credo che accada difficilmente che qualcuno entri in libreria per cercare le novità, che so, di Fazi o Sellerio (non a caso ho citato due realtà colossali rispetto a Gargoyle), mentre paradossalmente succede con il nostro brand. Aver accreditato sul mercato un marchio come riferimento di qualità, sia pure in una nicchia ben definita, e generato una sorta di fidelizzazione della clientela è per noi motivo di grande soddisfazione.
Altro risultato notevole è quello di essere riusciti a infrangere il muro della critica più accreditata, arrivando a collezionare in modo ormai ricorrente segnalazioni e recensioni sulle testate giornalistiche più prestigiose (cartacee e non); merito delle scelte editoriali, certo, ma anche del lavoro infaticabile di un addetto stampa, Costanza Ciminelli, che ha fatto sua la mission aziendale e lavora ai fianchi gli interlocutori più difficili, individuandone le caratteristiche personali e, direi, penetrandone la psicologia.
Secondo lei quali sono gli elementi che favoriscono il successo a una casa editrice di genere?
Credo che la scelta di una nicchia ben definita sia l’unico modo in cui un nuovo piccolo editore che si affaccia sul mercato può avere speranza di sopravvivere. L’editoria mainstream, non ce lo nascondiamo, è monopolio di una decina di case che fanno il bello e il cattivo tempo, assicurandosi gli autori dei bestseller internazionali, controllando l’intero processo produttivo e distributivo, organizzando dispendiose campagne di promozione e marketing, condizionando direttamente o indirettamente le pagine culturali dei quotidiani e la gestione dei principali premi letterari. Siamo partiti proprio con l’idea di presidiare un’area che la concorrenza aveva lasciato scoperta, visto che prima di Gargoyle non c’era in Italia chi pubblicasse horror in maniera continuativa e sistematica: questo ci ha consentito di consolidare abbastanza rapidamente uno “zoccolo duro” di lettori che ci ha garantito la sopravvivenza. Poi abbiamo cercato di affinare progressivamente gli standard qualitativi e di diversificare l’offerta, estendendola, ad esempio, alla scoperta (o riscoperta) dei grandi classici, alla saggistica e agli apocrifi holmesiani.
Una mano, in tempi recenti, ce l’ha sicuramente data l’ondata di interesse sul tema “vampiri” scatenatasi sulla scia di "Twilight": altri si sono accodati a cavalcare la tigre, ma Gargoyle godeva ormai di una piccola rendita di posizione…
Se lei dovesse condensare la peculiarità della casa editrice in pochissime parole caratterizzanti, destinate a un biglietto da visita, cosa scriverebbe?
Quello che è scritto sul nostro catalogo: “la top-chart dell’horror internazionale”.
Il connubio Gargoyle-horror si è fatto spazio in un mercato editoriale attento a un pubblico appassionato del genere, ma non solo. Ci dà una sua definizione di horror?
Invece di darle di una definizione di horror, che suonerebbe comunque abbastanza scontata, le fornirò una citazione di Arthur Machen, un maestro del genere, che conservo incorniciata alle spalle della mia postazione di lavoro: “…L’orrore può aggiungere bellezza alla vita, e il terrore, in qualche modo, è la preghiera alla bellezza sconosciuta”.
Tra gli autori italiani spicca il bravissimo e prolifico Danilo Arona ("L’estate di Montebuio"). Sono una minoranza, in Italia, gli scrittori di horror?
Non dispongo di dati precisi, ma d’istinto risponderei di no. I nostri autori che si cimentano con l’horror o, più generalmente, con il fantastico (i confini spesso sono labili) sono molti e di ottimo livello qualitativo, percentualmente assai più che nei paesi di lingua inglese, dove la produzione è sconfinata ma per la massima parte davvero scadente. A parte l’ottimo Danilo, c’è un terzetto di “fuori quota”, Sergio (Alan D.) Altieri, Valerio Evangelisti e Gianfranco Manfredi, che è riduttivo classificare come autori di genere, dato che assurgono costantemente a livelli di Alta Letteratura. E poi c’è un buon numero di bravi autori: cito per esempio Chiara Palazzolo, Eraldo Baldini, Gianfranco Nerozzi, Giulio Leoni, Francesco Dimitri, Claudio Vergnani (che nel 2009 è stato, con Il 18° vampiro, il nostro outsider), scusandomi con tutti gli altri che lascio fuori per non scadere a livello di Pagine Bianche…
Nel sito della Gargoyle Books si legge che ad oggi, in Italia, non esiste una casa editrice specializzata a 360 gradi nel settore horror. Si indaga: «Quali sono le cause di questa situazione?
Difficile rispondere. Una spiegazione può essere rinvenuta in una sorta di snobismo che ha sempre permeato la nostra Cultura e dalla convinzione – molto spesso errata – che l’Horror rappresenti un genere letterario “inferiore”, rispetto al quale si esercita una certa forma di pudore. Accade così che autori popolarissimi negli Stati Uniti e in Inghilterra risultino sconosciuti, o quasi, al nostro pubblico. Ecco cosa si propone di fare la Gargoyle: individuare i migliori fra i romanzi di questi autori, acquistarne i diritti per l’Italia, curarne una buona e fedele traduzione e presentarli sul nostro mercato, andando così a colmare un vuoto altrimenti inspiegabile».
Questo snobismo culturale si sta disinnescando con gli anni o è sempre costante?
Parlando dello “sdoganamento” dell’horror operato da "Twilight" e dai suoi epigoni, ho già risposto in qualche modo a questa domanda. Non è particolarmente lusinghiero che si debba ringraziare per questo un prodotto che, personalmente, giudico discutibile (mi è capitato in diverse occasioni di definire Eward Cullen & Co. “vampiri alla Moccia”…), ma il buono va preso da dovunque provenga. A volte, m’illudo che, magari per uno 0,01%, anche Gargoyle abbia contribuito a migliorare la situazione.
È lo stesso in Italia e all’estero o si manifesta con diverse modalità?
Negli altri Paesi l’atteggiamento nei confronti dell’horror è stato sempre molto più conciliante. Sono convinto, l’ho detto più volte, che da noi, snobismo culturale a parte, un pesante condizionamento l’abbia operato la Chiesa Cattolica, quasi a rivendicare un’esclusiva sul soprannaturale…
Tra i titoli del catalogo le chiedo: qual è il più venduto?
C’è un testa a testa tra "L’estate della paura" di Dan Simmons e "Sherlock Holmes contro Dracula" di Loren D. Estleman.
Il più inquietante
"Magia rossa" di Gianfranco Manfredi.
Quello che ha dato più soddisfazioni in termini di critica
"Lo zio Silas" di Joseph Sheridan Le Fanu.
Quello con cui avete più osato
"La ragazza della porta accanto" di Jack Ketchum. Lei lo ha letto e recensito, sa cosa intendo (vedi libri/9136).
Un libro pubblicato da altri che avreste voluto pubblicare
"Le notti di Salem" di Stephen King.
Un vostro libro che altri avrebbero voluto pubblicare
"Il 18° vampiro" di Claudio Vergnani.
Ci ragguaglia sulle recenti uscite?
Menziono con piacere Il morso sul collo dell’inglese Simon Raven, che Gargoyle ha riproposto lo scorso ottobre, in una nuova traduzione, a 41 anni dalla prima pubblicazione per i tipi Longanesi. Un curioso thriller dove il vampirismo si intreccia con antichi riti minoici, che può leggersi anche come una pungente requisitoria contro ogni forma di autorità che metta a rischio la libera espressione di se stessi. Non dimentico, poi, la nostra strenna natalizia, i racconti "L’ospite maligno" (nella sua prima traduzione italiana) e "La stanza al Dragon Volant" di Joseph Sheridan Le Fanu: soltanto il nome dell’autore è una garanzia della loro qualità, Le Fanu è uno dei più importanti maestri del Gotico, da annoverarsi senza esitazioni tra i classici della letteratura anglosassone dell’Ottocento.
Ci anticipa qualcosa delle prossime uscite?
Mi verrebbe naturale parlare di tutte le novità che Gargoyle pubblicherà durante l’anno, ma poiché questo non è possibile, invito chi legge a visionare il catalogo in dettaglio andando su www.gargoylebooks.it
Mi preme però dire che un rilievo a parte, nel piano editoriale 2010, l’assume certamente la prima pubblicazione in italiano di "Varney il vampiro", autentico caposaldo della letteratura vampirica, successivo al solo Polidori. Un’opera colossale che verrà presentata in edizione integrale per un totale di circa 1500 pagine. Dal 1847 al 1847, le inquietanti avventure di Sir Francis Varney vennero pubblicate a dispense settimanali in Inghilterra, raggiungendo la ragguardevole meta di 220 capitoli. Inizialmente fu il romanziere Thomas Preskett Prest a venire ritenuto autore di "Varney il vampiro", in seguito, però, si fece il nome di James Malcolm Rymer, ingegnere civile che arrotondava i suoi introiti dedicandosi alla scrittura su commissione per l’editore Edward Lloyd (a cui si deve la pubblicazione di Varney), da molti reputato più attendibile quanto a paternità dell’opera. Rymer probabilmente si spartiva, coordinandolo, il lavoro con altri vari autori rimasti ignoti, al punto che la redazione di questo sterminato feuilleton sembra più provenire da una “scuola”, o da una catena di montaggio, in cui il nome dell’autore rimane anonimo e non appare comunque di primaria importanza.
L’opera tradotta da Chiara Vatteroni, verrà proposta in tre volumi, introdotti da Carlo Pagetti (ordinario di letteratura inglese all’Università Statale di Milano, e tra i più autorevoli studiosi di letteratura fantastica), Fabio Giovannini (tra i massimi esperti di cultura e letteratura vampirica in Italia) e Mauro Boselli (autore di fumetti e grande ed eclettico esperto di culture di genere).
A settembre uscirà poi "Tecniche di resurrezione", il nuovo, attesissimo titolo di Gianfranco Manfredi, un’altra avventura scatenata e delirante – quanto storicamente documentata – di Aline e Valcour de Valmont, i due gemelli medici e ricercatori già protagonisti del precedente "Ho freddo" (www.hofreddo.it), che questa volta si misureranno con le meraviglie e gli orrori della medicina moderna. Il romanzo è ambientato agli inizi dell’Ottocento a Londra – dove iniziano i primi esperimenti di rianimazione, con l’uso di apparati elettrici –, e a Parigi – luogo d’elezione delle esplorazioni dei medici “magnetisti” nei misteriosi territori della psiche.
Adesso qualche domanda personale. A parte i gargoyle, quali sono le figure orrorifiche che l’hanno colpita fin da piccolo e che fanno breccia nell’immaginario collettivo?
Sono stato iniziato all’horror dal film "Dracula il Vampiro" di Terence Fisher, con Christopher Lee nei panni del Conte. Avevo 12 anni e ne fui contemporaneamente terrorizzato e affascinato. Quello del vampiro è stato quindi l’archetipo horror che ha condizionato in modo determinante la mia formazione, e non credo di rappresentare un’eccezione, visto che sembra rimanere il mito che riscuote maggiore popolarità e che gode, come si addice alla sua natura, di una continua rigenerazione che apre la strada all’immortalità…
Un libro che l’ha spaventata
"Hanno sete" di Robert McCammon. Lo lessi in lingua originale nel 1982 e per molto tempo mi accertai di avere sempre al collo la catenina con la croce…
Un film che l’ha spaventata
Ho già detto di "Dracula il Vampiro". Qualche anno dopo (ne avevo ventuno) rimasi molto impressionato da "La notte dei morti viventi" di George Romero: fatte le debite proporzioni, credo si possa assegnare a quest’ultimo il premio “Cagotto d’oro”.
Una situazione in cui ha avuto paura
Quando, per colpa di un distributore sciagurato, Gargoyle è dovuta rimanere per quasi sei mesi assente dal mercato. Ho pensato che fosse la fine… poi, per fortuna, le cose hanno girato nel verso giusto.
Tre libri che hanno contribuito ai suoi gusti di lettore
Questa è la classica domanda che ti dà modo di fare bella figura, citando magari Shakespeare, i classici greci e i grandi scrittori russi. Invece ammetterò di essermi formato a una lettura di mero intrattenimento e menzionerò: "Le avventure di Tom Sawyer" di Mark Twain, il ciclo di romanzi su Orazio Hornblower di Cecil Scott Forester e, naturalmente, "Dracula" di Bram Stoker.
Ci saluta con una citazione da un vostro autore?
È tratta da "L’inverno della paura" di Dan Simmons, ed è a sua volta una citazione parafrasata da Mark Twain: “Quando ci guardiamo intorno e vediamo il dolore e l’ingiustizia che ci sono nel mondo, dobbiamo per forza arrivare all’ineluttabile conclusione che Dio è un poco di buono”.
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