Fra i molti film di arti marziali (ma non solo) distribuiti in Italia e subito dimenticati merita una menzione lo statunitense “Street Crimes - La legge del kickboxing” (1992), scritto e diretto da Stephen Smoke e trasmesso dalla TV italiana con il titolo “Le strade del crimine”. È uno di quegli esempi di come sia possibile realizzare un buon film, con una buona storia e personaggi credibili, e aggiungere una dose di arti marziali senza per questo condannare la pellicola nel limbo dei “film di genere”.
“Street Crimes” racconta la vita nei bassifondi di Los Angeles, dove i poliziotti nulla possono fare, quand’anche lo volessero. Sono strade dominate da bande locali capeggiate da piccoli boss che spadroneggiano a proprio piacimento. I due poliziotti protagonisti, l’esperto Brian e il giovane e volenteroso Tony, non hanno alcuna possibilità di agire nel quartiere a livello ufficiale, ma sarà un casuale match a cambiare il corso della storia. Sfidato da un teppistello appena arrestato, Tony accetterà di disputare con lui un match “pulito”: vincerà l’incontro, e il teppistello si rivelerà un avversario onorevole. Non solo non si vendicherà della sconfitta subita, ma anzi deciderà di allenarsi più duramente, lui e i suoi amici. Dall’incontro nasce l’idea di aprire una palestra per la gente del quartiere, un posto cioè dove le “teste calde” possano sfogare in modo positivo la propria aggressività e violenza, togliendoli così dalla strada e quindi dal potere dei locali spacciatori di droga.
Come si diceva, “Street Crimes” è un film onesto e godibilissimo ancor’oggi, a quasi vent’anni dalla prima uscita. Questo perché la buona e solida sceneggiatura, senza forzature o esagerazioni purtroppo tipiche del genere, e i personaggi decisamente azzeccati fanno stare in piedi una storia che forse non ha niente di innovativo, ma che lo stesso rimane unica.
Nel ruolo di Brian troviamo un grande caratterista del cinema e della televisione, Dennis Farina, che dà il meglio di sé anche se deve rimanere a bordo ring. Protagonista è infatti un giovane Michael Worth, alla sua seconda prova in un ruolo impegnativo, che malgrado un fisico asciutto e la corporatura esile riesce a stupire con le sue doti marziali.
Dopo “Street Crimes” i suoi ruoli da protagonista diverranno molto rari. Partecipa attivamente a molte serie televisive, come recentemente in “The Unit” e “Casalinghe disperate”, ma per ritrovarlo protagonista in un film distribuito in Italia si deve attendere il 2001 con “Ricatto a Washington” (U.S. Seals II) di Isaac Florentine.
Nel 2004 produce, scrive e dirige il suo primo lungometraggio: “Killing Cupid”, titolo che gli vale il premio sia come miglior regista che come miglior film all’Action On Film Festival. Alterna quindi la partecipazione come attore a film hollywoodiani con la produzione in proprio di film indipendenti, che vincono molti premi.
Ha studiato il karate tang soo do con Joey Escobar (allievo di Chuck Norris), l’escrima dal Maestro Dan Inosanto (allievo ed amico di Bruce Lee), autodifesa dall’esperto Tony Blauer e ha studiato anche aikido, judo e muay thai.
Le arti marziali, va ribadito, non sono protagoniste in questo film, che rimane lo stesso un ottimo titolo del genere. I combattimenti sono brevi e poco spettacolari, con anche alcune lacune dovute forse ad una non ispirata coreografia, curata dal di solito eccellente Art Camacho, eppure l’equilibrio fra storia ed azione, fra personaggi ed attori, fa della pellicola un piccolo cult. Peccato che la distribuzione italiana se ne sia dimenticata.
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