Dopo ‘L’Ombra del Corvo’ successero diverse cose. Nacque la serie il Professionista su Segretissimo, pubblicai una serie di romanzi che nulla avevano a che fare con lo spionaggio, insomma pareva proprio che la saga di romanzi autoconclusivi ma collocabili in una continuità delle vite dei personaggi principali e, soprattutto, in una visione dell’action thriller degli ultimi anni, fosse rimasta un abbozzo. Nel 2004, mi capitò invece l’occasione di scrivere un lungo romanzo che avrei pubblicato con un editore in crescita. Non lo nomino perché, in seguito, ho avuto gravi dissapori con la sua ‘catena di comando’ che mi hanno causato non poche difficoltà. Di fatto ‘Ora Zero’ mi consentiva di riprendere, aggiornandoli, diversi personaggi che esistevano già dal tempo di ‘Pista cieca’ e ‘L’Ombra del Corvo’. I tempi, però, erano cambiati e anche molte delle influenze televisive e letterarie mi spingevano a creare una storia tutta europea che si allontanava un po’ da quanto avevo già fatto in precedenza. Dietro ‘Ora Zero’ c’era un lavoro di preparazione enorme che, per molto tempo è rimasto inedito. Ve lo riproporrò nelle prossime puntate perché, credo, vi farà piacere leggerlo e può darvi un’idea di come nascono certe avventure particolarmente lunghe e intricate. Questo breve racconto milanese è il prequel di ‘Ora Zero’ e del suo seguito ‘Sole Di Fuoco’, ve lo propongo in due puntate, seguirà un dossier sul mondo di ‘Ora Zero’.

MILANO, COLPO IN CANNA - PRIMA PARTE (copyright 2005 Stefano Di Marino)

Prima puntata

“Ti mancava Milano?”

Bruno Genovese accostò l’auto al marciapiede. Sulla sinistra gli pneumatici grattarono spingendosi sul marciapiede. Strada stretta, la pioggia picchiettava su pozze lucide di riflessi luminosi. Bruno si guardò in giro. Sull’angolo con viale Lunigiana un bar con qualche pretesa d’eleganza aveva preso il posto di un negozio di giocattoli.

“E a te, manca la tua vecchia faccia?” chiese alla donna seduta al suo fianco. Bruna, lunghi capelli sulle spalle, lineamenti di una bellezza innaturale, come scolpita.

Linda Casillas sospirò. “Tutte le mattine mi guardo allo specchio e mi chiedo se non era meglio prima.”

“Per me è lo stesso. Da queste parti abitavano i miei. Ogni volta che rientro a Milano mi rendo conto di quanto sia cambiata.”

Rimasero per qualche istante ad ascoltare i rumori del traffico filtrati dalla pioggia. Il vero problema - e lo sapevano entrambi - era che il passato, quello che ricordavano a volte con rimpianto, era passato e basta. Loro avevano scelto di cambiarlo e c’era poco da fare. Bruno si passò la mano sul viso. La vecchia cicatrice ormai era diventata una piccola serpe di tessuto mal cicatrizzato. La sua compagna, Linda Casillas, invece, aveva speso una fortuna per diventare bella come una diva del cinema ma era rimasta un’assassina. Oggi condividevano un’esistenza pericolosa che, a rifletterci, era una specie di droga, impossibile da abbandonare. Linda era cresciuta in quel mondo, aveva cercato di sfuggirne e non c’era riuscita. Lui, al contrario, era un ragazzo che aveva inseguito il sogno di diventare un eroe. E, quando il sogno era diventato realtà, aveva rivelato realtà spiacevoli. Ma ormai era tardi, non sapeva fare altro.

“Vorresti tornare indietro?” chiese lei.

“ No, e neppure potrei. Come te.”

“ Perciò smettiamola di piangerci addosso e vediamo di farci un’idea precisa di cosa ci aspetta.” Il traffico verso piazzale Loreto, nel buio, sfavillava come un fiume di lava. Di colpo tornarono a respirare un’aria viziata, sporca, perfettamente in linea con il loro incarico.

“Le informazioni sono in vendita”, soggiunse Bruno. “L’uomo disposto a passarcele si chiama Michele Cocchi. Uno sfruttatore legato a certi gruppi che controllano il giro delle sudamericane. A quanto pare la geografia della malavita sta cambiando, anche qui. Ci sono nuovi giocatori, gente dell’Est, alleati scomodi per le vecchie bande che hanno dovuto subire. Bruckner è convinto che Cocchi ci possa portare a Caspar Dragan.”

Linda Casillas s’irrigidì sul sedile del passeggero. Georg Bruckner era il mentore di Bruno. Una vecchia volpe della Guerra Fredda, convinto difensore dell’Europa Unita. Con la benedizione della Corte di Giustizia dell’Aja aveva formato un nucleo. Distaccamento Speciale Sicurezza, pochi e ancora non perfettamente organizzati agenti, addestrati per combattere terroristi e criminali di guerra. Caspar Dragan era la loro bestia nera. Signore della guerra serbo, dopo la caduta di Milosevic era il ricercato numero uno nell’ Europa del Sud. Un bandito e un criminale di guerra. Introvabile. E Linda, la mercenaria, quella che non voleva legami con nessun gruppo si era lasciata convincere da Bruno a partecipare. “Com’è nato il contatto?”

“Cocchi ha detto che avrebbe parlato solo con me. Vuole duecento milioni di lire per rivelarci dove si nasconde Dragan.”

“Com’è che sei amico di un pappone?”

“Non siamo amici. Lo conosco e basta. Vecchie questioni, del tempo in cui non ci conoscevamo. Son passati anni, ma Cocchi è convinto di potersi fidare di me.”

Linda non commentò ma inarcò un sopracciglio. “Ta Bom” qual è il piano?

Bruno slacciò il giaccone di pelle. Sentiva il peso della Beretta alla fondina in cintura e, nella tasca sul petto della busta con il denaro. La sfiorò con le dita. “Oltre l’angolo, prima del ponte sulla sinistra c’è un palazzo con un spiazzo adibito a parcheggio.”

“Lo vedo”, confermò Linda stringendo gli occhi a fessura. La pioggia sembrava diminuita d’intensità.

“È un condominio in stato di semiabbandono. Originariamente era composto da monolocali destinati da una compagnia aerea ai propri dipendenti di passaggio, poi la società è fallita e la mafia ne ha acquistato un pezzo alla volta. Adesso è diventato una specie di bordello. Tutte le prostitute che battono la strada da viale Zara sino a piazzale Loreto portano là dentro i clienti. Se guardi con attenzione vedrai che ci sono un certo numero di sfaccendati tra il bar all’angolo opposto e la galleria. Non sono nullafacenti. Sono soldati della malavita messi lì per controllare che la polizia non decida di fare incursioni a sorpresa ma, soprattutto che non arrivino i ‘duri’ di qualche gruppo rivale. È una bruttissima zona. Il viale che corre parallelo ai binari sopra il ponte ospita locali equivoci, ritrovi di travestiti, ‘trani’ che raccolgono le scommesse clandestine, pornoshop, insomma tutta la solita palude di vizi e malavita che circonda le stazioni.”

Linda rispose con un grugnito. “Ho capito.”

“Vedi dall’altra parte della strada la ragazza con l’ombrello giallo limone e i jeans stinti? Manda via tutti i clienti. Aspetta me, è il mio contatto con Cocchi. Mi porterà da lui.”

“E io, reggo il moccolo?”domandò Linda vagamente indispettita.

“No, mi guardi le spalle. Scendi dalla macchina e sali per la scala posteriore, si trova tra un garage e un elettrauto.” Bruno trasse di tasca il cellulare e azionò un tasto. “Questo è il segnalatore che ti indica la mia posizione. Non so a quale piano saliremo ma, in caso ci fossero brutte sorprese, saprò di poter contare su di te.”

Lei gli rivolse un sorriso feroce estraendo la Glock per mettere il colpo in canna. “Come sempre, Meu bem.”

Bruno sorrise, malgrado tutto. Vent’anni che aveva lasciato la comunità cinoportoghese di Macao e ancora Linda non aveva perso quell’intercalare da telenovela…

La pioggia si era ridotta a una rada cascatella di calde gocce. Dall’asfalto bagnato il calore tornava a salire saturo di cattivi odori. Bruno attraversò la strada osservando la ragazza. Il suo contatto manteneva l’ombrello aperto. Carina, belle gambe inguainate da jeans sbiaditi. Dalla tasca posteriore spuntava il passaporto con il permesso di soggiorno, precauzione diffusa tra le prostitute dei giri più organizzati in caso di retata. Un paio d’auto rallentarono ma lei rifiutava tutti. Si accorse di Bruno non appena lui arrivò a un paio di passi di distanza, sapeva cosa aspettarsi.

“Ciao, andiamo?”chiese sfoggiando un sorriso commerciale.

“Claro que sì, mamacita”, replicò Bruno appositamente in spagnolo. “Quanto quiéres?”

“Ciento mil lires en mi casa… hablas espanol?”

Era stato Cocchi a stabilire quel codice. Bruno sorrise. “Solo por buscar fiesta, mamacita. Da donde vienes?”

Sul viso della ragazza si allargò un sorriso. “Paraguay, y me llamo Mercedes…. Vai avanti tu… stasera c’è in giro la Polizia. Aspettami davanti al portone.”

“ D’accordo”, rispose Bruno allungando il passo. Fino a quel momento tutto regolare, sperava solo che sulla strada ci fosse solo qualche ronda svogliata della polizia. Milano, a quell’ora e in quel posto, rivelava un viso spiacevole.

Linda si muoveva in fretta, nervi tesi, come sempre prima di un’azione. Superò un negozio di parrucche che vendeva a immigrati di colore e fungeva da punto di raccolta anche di notte ed entrò in una via quasi completamente avvolta nel buio. Ne lesse il nome sulla targa. Linda non poteva saperlo ma, quando Bruno era stato bambino, quel vicolo aveva ispirato una famosa canzone popolare italiana. Ma era l’altro secolo e tutto era cambiato. Linda si accostò alla parete dell’edificio sgusciando tra le auto posteggiate a spina di pesce. Individuò il garage e l’elettrauto, quindi la porta sul retro del palazzo-bordello. Forzare la porta non fu difficile. All’interno l’accolse un odore penetrante di immondizia abbandonata. Davvero un bell’ambientino…

Bruno fu raggiunto dalla ragazza davanti all’androne anteriore del palazzo. Brutta gente in giro, sguardi disperati. L’illuminazione si fermava all’atrio. Cartacce ammucchiate alla meglio, macchie di umidità. Una scala saliva a fianco dell’ascensore. Mercedes gli rivolse un sorriso timido. La cabina arrivò sibilando. Ne uscì un travestito di colore alto un metro e ottanta, seno siliconato e sguardo feroce. Bruno sgusciò dentro cercando di ignorare il lezzo misto di profumi a poco prezzo, sudore e sporcizia. Mercedes premette il pulsante del quinto piano. Il segnalatore era in funzione, Bruno si chiese se Linda fosse già dentro. Se lo augurò, quel posto metteva i brividi anche a lui. La lampadina dell’ascensore era fulminata, salirono con la sola illuminazione del quadrante del telefonino di Mercedes. La ragazza sembrava fuori posto, ancora pulita per quel posto. Probabilmente era solo una facciata. La cabina finalmente si fermò. Approdarono a un corridoio pavimentato con quelle vecchie palladiane che Bruno ricordava nelle case di quando era stato ragazzo. Alcune cose cambiano, altre no. Nel corridoio, tuttavia, funzionava il neon. Una serie di porte, miniappartamenti. Lo scatto di una serratura li fece sobbalzare. Un altro travestito con una pessima plastica facciale e capelli color stoppa li incrociò riservando alla ragazza uno sguardo malevolo. Mercedes si strinse nelle spalle. La convivenza condominiale non doveva essere facile. Finalmente arrivarono alla porta in fondo al corridoio. Mercedes non suonò il campanello ma premette un tasto sul cellulare inviando un unico squillo. Pochi attimo dopo il battente si schiuse di qualche centimetro. Bruno riconobbe il viso affilato, i baffi spioventi di Cocchi. Il pappone assentì e lo esortò a entrare.

“Adìos, chico”, belò Mercedes ritraendosi nel corridoio. Era solo un contatto.

Il monolocale era ancora più angoscioso del resto del palazzo. Odore di fumo e aria stantia. Un bagno, un grande letto con un telo di spugna. Intorno al televisore che trasmetteva una cassetta porno senza audio si ammucchiavano pupazzi di peluche, forse messi lì a posta per suggerire una tenerezza inesistente, forse, invece, erano davvero di Mercedes.

“Temevo che non saresti venuto”, bofonchiò Cocchi andando a prendere una bottiglia posata vicino a una pistola, sul comodino. “Ce li hai i soldi?”

“Piacere di ritrovarti, Cocchi… vedo che l’educazione è sempre il tuo forte. Sì, ho i soldi e sono pronto a portarti via di qui, se vuoi… ma tu, hai le informazioni?”

Cocchi ingollò una sorsata di liquore dal collo della bottiglia e assentì. Nei suoi occhi una luce disperata.

L’ascensore non arrivava. Mercedes si mordicchiò il labbro, nervosa. Tutta quella storia non le piaceva. Aveva accettato solo perché a Cocchi non si poteva dire di no, ma aveva l’impressione che dietro a tutte quelle precauzioni, appuntamenti e frasi di riconoscimento ci fosse un pericolo. Sentiva puzza di regolamenti di conti nella mala e di storie di quel tipo finite nel sangue ne aveva già viste troppe al suo paese. L’Italia le piaceva, malgrado tutto, ma non voleva essere coinvolta in qualche vendetta. Lo sapeva bene come andavano certe faccende…

Seconda puntata

“Hai già finito, bambina?” Il travestito biondo le apparve di fronte all’improvviso, con la voce roca fortemente accentata. Era alto più di Mercedes di almeno dieci centimetri e, al riflesso del neon l’espressione appariva ancora più brutale.

“Io… sì, ma…” avrebbe voluto rispondere che non erano fatti di quel maricòn, che lei nessuno la controllava ma non ne ebbe né la forza né il tempo. Il travestito la spinse con violenza nell’angolo buio di fronte agli ascensori, stringendole le dita nodose intorno alla gola. “Da chi l’hai portato?”

Mercedes annaspò, travolta dal terrore. Non impiegò molto a capire di non aver scelta. “Cocchi… doveva incontrare Cocchi…” balbettò. Uno scatto. Il travestito non perse un istante. Le affondò il serramanico nel fegato rigirando la lama, senza curarsi dal fiotto di sangue nero che gli schizzava addosso. Ritrasse la lama mentre la prostituta scivolava a terra con un rantolo. Il suo assassino aveva già estratto il cellulare richiamando un numero in memoria. “È qui”, disse appena ebbe la linea.

Il segnalatore indicava che Bruno era al quinto piano. Linda salì per la scala che correva dal cortile interno toccando i ballatoi delle case di ringhiera. Sembrava un percorso di guerra, di certo nessuno si curava di fare le pulizie o eliminare i rifiuti. Meglio così, Linda scivolava da un’ombra all’altra, la Glock in pugno in presa bassa. Occhi e orecchie tesi. Se lo sentiva che qualcosa sarebbe andato storto.

Bruno agitò la busta con i soldi davanti agli occhi arrossati di Cocchi poi tornò a infilarla nella giacca. Il malavitoso si fece coraggio con un’altra sorsata poi si alzò. “Andiamo via di qui, non è sicuro.”

“Certo, ma prima vorrei che tu mi dicessi almeno qualcosa… sai come garanzia…”

“Cazzo, Bruno… vabbe’, Dragan s’è inserito nel giro qui a Milano come un brutto accidente. Ha fatto un accordo con quelli della Sacra Corona per il controllo delle ragazze e certi altri traffici. In città sono arrivati i suoi soldati.”

“Ma, tu, lo sai dov’è?” domandò Bruno.

Cocchi stava sulle spine. Si tormentò i baffi come se volesse strapparsi i peli per l’agitazione. Lo sguardo vagò senza una direzione definita poi assentì con un sospiro. “Di preciso no, so come prendere i contatti giusti per arrivarci. Ma mi devi portare fuori di qui prima.”

Bruno decise che era venuto il momento di mantenere almeno in parte la promessa. Quel caseggiato metteva angoscia anche a lui. Con la destra sotto la giacca aprì la porta. Nel corridoio il neon ammiccava creando un alternarsi di ombra e luce poco incoraggiante. “Sbrighiamoci, scendiamo per le scale, lì siamo coperti.”

Cocchi non aspettava altro. Sgusciò nel corridoio riservando uno sguardo diffidente all’illuminazione che, di colpo, aveva cominciato a fare i capricci. Anche lui era pronto a impugnare la pistola. Si avviò verso il disimpegno dell’ascensore. Là c’era una porta che si affacciava sulla scala. Una risata, passi, voci lontane, qualche piano di sotto. Bruno fece per fermare Cocchi, voleva ispezionare la zona ma non ne ebbe il tempo. Il malavitoso si bloccò di colpo con una bestemmia. La luce intermittente decise di stabilizzarsi, almeno per qualche istante e Bruno vide il sangue sul pavimento e Mercedes accartocciata davanti alla cabina.

Poi dalla zona buia emerse una figura. Il travestito, la parrucca bionda sugli occhi e il serramanico impugnato a scalpello. Lo piantò in gola al malavitoso. Cocchi emise un verso osceno, dalla gola eruttò un getto di sangue.

Bruno si tuffò a terra. Appena in tempo. Il travestito -che all’anagrafe si chiamava Giuliano Serato e a Tirana aveva una solida reputazione di “meccanico” - era venuto preparato alla festa. Mollato il coltello impugnò una Taurus a tamburo. Canna corta ma proiettili esplosivi. Sparò scatenando un tuono fragoroso tra le pareti. L’intonaco della pare volò in mille schegge.

Due. Linda ne era certa, salivano su per la scala, erano a un piano sotto di lei. Non erano prostitute né clienti. Si muovevano in fretta e in pugno tenevano qualcosa che produceva leggere vibrazioni metalliche. “Puxa vida”, pensò lei. Si sporse dalla ringhiera. Niente intimazioni, lei non era lì per fare regali. E neanche gli altri. Per un istante s’incrociarono; lei con la Glock puntata, i due sicari armati di mitragliette MAB. Linda premette il grilletto due volte. Centrò il primo ma l’altro esplose una raffica rabbiosa che la costrinse a ritirarsi al riparo della ringhiera.

Mentre scivolava sul pavimento tra luci e ombre Bruno annaspò cercando di estrarre la Beretta. Serra aveva superato il cadavere di Cocchi e tendeva le braccia come fosse al poligono. Sparò ancora riempiendo l’aria di fumo azzurro. Bruno serrò le mascella. “Basta prendere calci”, pensò. Rotolò sul ventre, puntellò i gomiti e sparò cinque colpi di fila. A quella distanza l’effetto fu devastante. Centrato al bersaglio grosso, Giuliano Serato fu scaraventato indietro con un movimento sconnesso. Questa volta il sangue che imbrattò i muri era il suo.

Un’altra sibilante scarica di pallottole tatuò il muro, rimbalzando tra scintille e fragori sulla ringhiera di metallo. Poi lo “scatto dell’uomo morto”, il sicario aveva terminato il caricatore. Linda riuscì udirlo mentre cercava con frenesia di imbracciare l’arma del compagno morto. Via! Si appoggiò sulla ringhiera e saltò di sotto. Il genere di follia che era abituata a fare sin da ragazzina. Atterrò malamente sui gradini, rischiando si scivolare ma non rimase sull’appoggio per più di un istante. Le suole di gomma si spostarono rapidamente e Linda lasciò partire un calcio circolare. Col collo del piede percosse il sicario alla gola. Udì distintamente il collo che si spezzava. Peggio per lui.

Correvano. Nel buio, nelle stradine buie verso via Edolo. Prima che arrivasse la polizia. Di rispondere alle domande dell’autorità non ne avevano davvero il tempo. Si fermarono solo quando raggiunsero via Melchiorre Gioia. Bruno, ansante trasse di tasca una fiaschetta di vodka, bevve un sorso e la passò a Linda. Poi si accese un sigaro. Alla seconda boccata cercò il viso della sua compagna.

“Cocchi?” domandò lei trafelata. Bruno scosse la testa.

“Almeno una cosa la sappiamo…”

Lei bevve ancora invitandolo a spiegarsi.

“Caspar Dragan ha degli informatori all’interno del Distaccamento Speciale Sicurezza…non può aver saputo in altro modo di questa notte.”

Linda sollevò la fiaschetta in un brindisi silenzioso. “Allora sarà meglio che Bruckner trovi in fretta un modo di localizzare il suo covo.”

Bruno sorrise, aspirando un’altra boccata. Linda era fatta così, una drogata dell’azione. Per questo gli piaceva. “E indovina chi dovrà andare a prendere il diavolo per la coda?”

continua....