Il cinema di arti marziali è di ampie vedute e non disdegna di fondersi con altri generi molto più famosi: è il caso del genere “carcerario”, film cioè in cui la storia si svolge completamente (o comunque in massima parte) all’interno di un carcere. Il filone “marzial carcerario” non ha avuto lunga vita, e può annoverare pochissimi titoli di una certa notorietà: tutti però interpretati da nomi di spicco. Si è qui scelto di presentare quattro titoli provenienti dagli Stati Uniti.
È d’obbligo iniziare con “Colpi proibiti” (Death Warrant, 1990), diretto da Deran Serafian (che dalla fine degli anni Novanta si è dedicato unicamente alla regia televisiva, associando il proprio nome alla fortunata serie del Dr. House) ed interpretato dal belga Jean-Claude Van Damme. Proprio in quel periodo la tribolata lavorazione del film “Senza esclusione di colpi!” (Bloodsport, 1988) era giunta alla fase distributiva e Van Damme cominciava a raccogliere consensi in tutto il mondo: “Colpi proibiti” rimane un film di transizione dalla gavetta alla fama.
Louis Burke (Van Damme) è un poliziotto che vede morire il proprio collega per mano dell’Uomo dei Sogni, feroce serial killer a cui sta dando la caccia da tempo. Dedicatosi ad un altro caso, si infiltra in un carcere spacciandosi per detenuto per indagare su un traffico illecito che lì avviene con il benestare di alcuni superiori. Quando si vede arrivare nel penitenziario proprio l’Uomo dei Sogni, la situazione si fa bollente.
La forza del film non sta certo nella sceneggiatura e nei dialoghi, entrambi forti debitori dei dettami del genere e disinteressati ad agigungere qualcosa di nuovo. La vera forza sta piuttosto in una sorprendentemente ben curata fotografia, a cura del bravo Russell Carpenter, il valido supporto di caratteristi consumati come Robert Guillaume e Art LaFleur e un cattivo d’eccezione come Patrick Kilpatrick nel ruolo dell’Uomo dei Sogni. Non mancano in piccoli ruoli volti noti del genere marziale come Al Leong, stuntman ed attore di un’infinità di film, e amici di Van Damme come Kamel Krifa e Paulo Tocha. La parte meno riuscita del film, dispiace dirlo, è forse proprio quella relativa ad un Van Damme ancora troppo rigido, troppo fuori posto per dare al personaggio il giusto risalto.
I combattimenti sono pochi ma bastano a considerare il film come primo titolo del genere “marzial carcerario” statunitense. La televisione italiana anni dopo propose “Colpi proibiti 2” in un discutibile tentativo di spacciare “Bloodsport 2” come sequel di “Colpi proibiti” invece che come quello dichiarato di “Senza esclusione di colpi!” (anche se, a dir la verità, il suddetto film pare fondere insieme le trame di entrambi i film di Van Damme).
Nel 1992, in piena esplosione statunitense di cinema marziale, abbiamo “La legge del Drago” (Forced to Fight), terzo episodio della lunga serie Bloodfist che vede il campione di kickboxing Don “The Dragon” Wilson conquistarsi un proprio spazio fra le star marziali statunitensi.
Jimmy Boland, il protagonista, è un detenuto accusato ingiustamente della morte del proprio compagno di cella: essendo quest’ultimo di colore, cresce nel carcere il fermento razziale. In realtà sono stati proprio alcuni esponenti della fazione di colore ad uccidere l’uomo, intenzionati ad esasperare gli animi. Jimmy dovrà a fatica mantenere in vita se stesso e i propri amici, nella speranza di risolvere la situazione.
Come nel titolo precedente il protagonista trovava un amico/maestro in Hawkins, interpretato da Robert Guillaume, in questo “La legge del Drago” il protagonista segue Stark, saggio esponente della fazione di colore interpretato da un altro grande nome del cinema di genere: Richard Roundtree, celebre interprete di molti film anni Settanta ma soprattutto per dato il volto al detective Shaft in una fortunata serie. Un simpatico omaggio alla blackspoitation (cinema anni Settata interpretato prevalentemente da attori di colore) lo si trova quando i detenuti sono riuniti nella sala cinema, dove stanno proiettando “TNT Jackson” (1974), pellicola con protagonista un’agguerrita quanto succintamente vestita Jeannie Bell.
Senza le particolarità tecniche del precedente titolo, questo film risulta un prodotto qualitativamente inferiore sotto tutti i punti di vista, pur rimanendo comunque un dignitoso esponente del genere. La bravura marziale che ha fatto guadagnare a Don Wilson tanti allori sul ring non gli serve sullo schermo, e quindi le scene di combattimento di questo film (come di ogni suo altro) lasciano insoddisfatti proprio per la mancanza di spettacolarità e di credibilità: proprio perché l’atleta esegue tecniche “reali”, sullo schermo queste non risultano convincenti!
Nel 1995 viene girato per il solo mercato dell’home video “Giustizia spietata” (Hard Justice) di Greg Yaitanes, dove ad entrare in galera è David Bradley, attore d’azione e marziale protagonista di molti film di genere negli anni ’90.
Ripercorrendo la via di “Colpi proibiti”, il protagonista Nick Adams è un poliziotto che si infiltra in un carcere per indagare sulla morte di un suo collega già infiltrato. Già che c’è, indaga anche su un traffigo di droga che lì avviene, ma la situazione peggiora quando viene trasferito un pericoloso criminale che conosce la vera identità del poliziotto.
Come si diceva, un film che pare ripercorrere le orme del film di Van Damme con la sola differenza di un’elevata presenza di combattimenti. Bradley forse ha una recitazione troppo marcata e caratterizzata, ma in scena non sfigura se affiancato ai suoi illustri colleghi. Delle ottime sequenze d’azione, dentro e fuori il carcere, danno forza vitale ad un film che altrimenti dimostrerebbe troppo la penuria di mezzi.
Per trovare un altro titolo degno di nota dobbiamo saltare fino al 2006, dove abbiamo l’ancora inedito in Italia “Undisputed 2: Last Man Standing”. Nato dal prolifico ed esplosivo sodalizio artistico tra il regista Isaac Florentine, l’attore marziale Scott Adkins ed il coreografo J.J. “Loco” Perry, il film si discosta dal primo “Undisputed” dando una visione tutta marziale di un carcere durissimo.
George Chambers (Michael Jay White) è un pugile di fama internazionale che si trova in Russia per girare degli spot locali. Viene incastrato da dei poliziotti corrotti ed arrestato per possesso di sostanze stupefacenti: il complotto è nato da alti vertici che vogliono il pugile americano sul ring per affrontare il campione di un carcere russo, Uri Boyka (Scott Adkins). Malgrado Chambers cerchi di evitare ogni tipo di provocazione, alla fine sarà costretto ad affrontare Boyka, ben conscio che dietro l’incontro girano scommesse da capogiro. Drogato perché perda l’incontro, Chambers avrà un’altra possibilità proprio grazie a Boyka, il quale si considera un lottatore eccezionale e non vuole vincere l’incontro con l’inganno: il match finale deciderà del destino dei due atleti.
Grazie all’agilità marziale e grande presenza scenica di Scott Adkins e alla granitica possanza e sguardo magnetico di Michael Jay White, il film diventa immediatamente un cult fra gli appassionati del genere, dando vita all’immancabile sequel, “Undisputed 3: Redention” (2010), con il ritorno del personaggio di Boyka.
Essendo due fenomenali atleti, i due attori possono creare sullo schermo sequenze marziali di grande effetto e spettacolarità, facendo dimenticare un film che in effetti non fa che riproporre invariati gli stilemi del genere carcerario. Inutile negarlo: “Undisputed 2” è un film che si svolge a bordo ring e che ha la sua forza nelle tecniche acrobatiche e nelle prese da mma (mixed martial art) di Adkins, contrapposti al muscolare pugilato di White.
Quattro film, come si è visto, con protagonisti quattro attori marziali di spessore che hanno dato vita a proprie variazioni sul tema comune carcerario, un tema che ha diversi dettami quando viene girato in Asia... ma questa è un’altra storia.
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