Nel 1956 muore settantacinquenne a Firenze uno degli scrittori italiani più “dimenticati” del ’900: Giovanni Papini. Stimato, apprezzato, criticato fortemente, disprezzato: tutto questo è stato Papini, il che dovrebbe renderlo molto più famoso di quanto non sia. Invece è stato molto più pubblicato “su” di lui che “di” lui: perché i suoi racconti brevi e folgoranti godessero di un minimo di notorietà, si è dovuto aspettare il 1975 quando finiranno nella “Biblioteca di Babele”, la prestigiosissima collana del parmense Franco Maria Ricci diretta da Jorge Luis Borges; quest’ultimo avrà a dire che Papini è stato «ingiustamente dimenticato».
«Avrò avuto undici o dodici anni quando lessi, in un quartiere periferico di Buenos Aires, “Il tragico quotidiano” e “Il pilota cieco”, in una cattiva traduzione spagnola. A quell’età si gode della lettura, si gode e non si giudica - così racconta il maestro di Buenos Aires il proprio incontro con il fiorentino. - Lessi Papini e lo dimenticai. Senza sospettarlo, mi comportai nella maniera più sagace; l’oblio può ben essere una forma profonda della memoria.»
Che Borges ami Papini riesce naturale da capire, visto che lo stile dei due autori è molto simile. «Rileggendo quelle pagine così remote, - continua Borges - scopro in esse, attonito e grato, favole che ho creduto di inventare e che ho rielaborato a modo mio in altri punti dello spazio e del tempo». Alberto Manguel, nel suo “Una storia della lettura” (1997), suggerisce che il racconto “Due immagini in una vasca” di Papini abbia ispirato a Borges il suo racconto “Venticinque agosto 1983”. Entrambi i racconti partono dallo stesso presupposto: incontrare se stessi a vari anni di distanza!
I racconti di Papini vivono di paradossi e di idee fantastiche, quindi non poteva mancare uno pseudobiblion! Lo incontriamo nel racconto “Storia completamente assurda” (racconto «infedele al proprio titolo», nelle parole sempre di Borges), il cui incipit è talmente strepitoso da meritare di essere citato per intero: «Quattro giorni or sono, mentre stavo scrivendo con una leggera irritazione, alcune fra le più false pagine delle mie memorie, udii picchiare lievemente alla porta ma non mi alzai né risposi. I colpi erano troppo deboli ed io non voglio aver che fare coi timidi». Già qui potremmo parlare di pseudobiblion, visto che le memorie del protagonista sono false in ben due sensi: sia perché il protagonista non esiste (è inventato da Papini), sia perché sta scrivendo, per propria ammissione, delle “memorie false”, delle pseudomemorie! Ma andiamo avanti.
Il visitatore inopportuno è uno scrittore principiante, che ha scritto un solo libro nella sua vita, ed è ansioso di sottoporlo all’attenzione del protagonista, che invece è un rinomato scrittore. Questi accetta di ascoltare la lettura dell’opera prima dello sconosciuto quando quest’ultimo gli propone un patto: se il libro risulterà meritevole di essere pubblicato, il protagonista si impegnerà a promuoverlo e a renderlo famoso; se invece risulterà scarso e improponibile, allora il suo autore (lo sconosciuto) si toglierà la vita!
«L’uomo cominciò la lettura. Le prime parole mi sfuggirono; alle altre fui più attento. Ad un tratto tesi l’orecchio e sentii un piccolo brivido per le spalle». La lettura del romanzo risulterà decisamente sorprendente per il protagonista, e più lo sconosciuto andrà avanti a leggere la propria opera, più l’inquietudine e lo stupore cresceranno. La storia infatti che il visitatore sta leggendo «sul ben legato volume» risulta essere, alla fine, «la narrazione precisa e completa di tutta la mia vita intima ed esteriore. In tutto quel tempo io avevo ascoltato il rapporto minuto, fedele, inesorabile di tutto ciò che avevo sentito, sognato e fatto da quando ero apparso nel mondo». Il protagonista è allibito: «Costui affermava di aver inventata quella storia e presentava, a me, la mia vita, tutta la mia vita, come una storia immaginaria!»
Il libro, che rimane senza titolo, non può vedere la luce, decide il protagonista, e quindi il suo giudizio sarà spietato: «la vostra storia è stupida, noiosa, incoerente e abominevole. Quello che chiamate vostro eroe non è che un malandrino annoiato che disgusterebbe tutti i lettori delicati. Non voglio esser troppo crudele e dirvi ancora di più». Va notato che l’eroe del libro scritto dallo sconosciuto è in realtà il protagonista, eroe della storia scritta da Papini in un delizioso circolo vizioso letterario.
La conseguenza di questo giudizio non tarda ad arrivare, e lo sconosciuto mantiene fede alla promessa togliendosi la vita. Il protagonista non sembra rimanerne colpito più di tanto: si sente sicuramente meglio che se il libro dello sconosciuto fosse stato pubblicato! Eppure addosso gli rimane una sensazione strana: la sensazione di aver perso una parte di sé... una parte “vitale” di sé...
Riguardo a questo racconto, nelle note della citata antologia Borges così si eprime: «Un uomo che meravigliosamente recuperasse tutto ciò che dobbiamo dimenticare per continuare a vivere correrebbe la sorte del suo eroe.» In barba a biografi ed apologisti, non si può permettere che qualcuno metta nero su bianco tutto ciò che abbiamo dovuto dimenticare «per continuare a vivere»: si dovrebbe distruggere quel libro... quand’anche fosse uno pseudobiblion!
Il racconto di Papini esce originariamente nella rivista “La Riviera Ligure”, per poi apparire nell’antologia “Il pilota cieco” (Napoli, 1907), anche se conosce la notorietà (come si è detto) solo nel 1975, quando entra a far parte della prestigiosa collana parmense “La Biblioteca di Babele”, curata da Borges: il secondo numero della collana si intitola “Lo specchio che fugge” e raccoglie il meglio dei racconti di Papini.
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