Dieci storie di uomini strappati alla vita dalla violenza della mafia, del terrorismo, della criminlaità comune, della 'ndrangheta o anche dalle fatiche di un mestiere che mette a dura prova. Racconti amari ed affettuosi, drammatici e teneri, duri e commoventi, tratti dai ricordi di chi resta - i figli, le mogli, gli amici, i colleghi - e dedicati da dieci scrittori alla memoria di chi non c'è più. Affinché chi se n'è andato sia sempre vivo come esempio di valore e chi rimane impari dalle esistenze di questi uomini che il loro coraggio e la loro dedizione possono aiutare tutti a crescere.
La presentazione del libro Bersagli innocenti a cura di Assovittime ed edito da Dario Flaccovio Editore si svolgerà mercoledì 18 novembre 2009 alle ore 11,00 presso la Sala delle conferenze del Palazzo Marini a Roma in via Del Pozzetto, 158. Saranno presenti gli autori.
I racconti presenti nell'antologia sono di Giorgio Bona, Giacomo Cacciatore, Daniele Cambiaso, Igor De Amicis, Marco De Franchi, Mariangela Giacomarra, Simona Mammano, Angelo Marenzana, Nicola Verde, Cristina Zagaria. Il libro ha l'introduzione di Giuseppe D'Anna e la prefazione di Luciano Violante.
L'introduzione al volume firmata da Giuseppe D’Anna (Presidente AssoVittime):
L’associazione AssoVittime – Vittime del Dovere, da me presieduta, rappresenta e unisce i familiari e le Vittime della Criminalità e del Dovere, ovvero di coloro che, in
quanto rappresentanti dello Stato, civili o militari, sono stati colpiti dalla criminalità proprio per il ruolo che rivestivano. Riconoscendo quale priorità sociale la promozione della legalità e dell’impegno antimafia, l’associazione è impegnata, in via prioritaria, in attività in favore delle vittime del dovere e delle vittime della mafia, ferma restando la possibilità di promuovere e gestire servizi in favore di altri soggetti riconosciuti dalla società in stato di emarginazione e/o di disagio sociale.
Lo status di vittima non è riscontrabile oggettivamente, o almeno non sempre, e spesso, anche quando questo è acclarato dalla consapevolezza dell’interessato, dal riconoscimento dell’opinione pubblica, anziché valorizzarlo si tende a ridimensionarlo o addirittura a dimenticarlo, a cancellarlo in modo radicale e rapido dalla mente, quasi come se l’episodio che ha reso tale una vittima possa pregiudicare le carriere o il quieto vivere. Mi riferisco alle vittime cosiddette di serie b, definite tali per la mancanza di clamore del loro sacrificio, per la mancanza di attenzioni ricevute e probabilmente per non avere avuto un cognome già noto o magari per la matrice non di spessore del loro carnefice.
L’antologia, promossa da questa associazione e patrocinata dal presidente della Camera dei Deputati, on. Gianfranco Fini, vuole essere un riconoscimento rivolto a tutte le vittime del dovere, a coloro che sacrificando la loro vita o restando menomati hanno contribuito alla tutela della democrazia di questo paese, e anche alle loro famiglie, che con sacrificio non inferiore hanno trovato il coraggio di vivere, di lottare e di testimoniare nella completa e triste solitudine. È da queste testimonianze che l’associazione, grazie all’opera di dieci scrittori, alla partecipazione del presidente Luciano Violante e alla ferma e convinta volontà del presidente della Camera, Gianfranco Fini, vuole partire per lanciare e promuovere messaggi di legalità.
La drammaticità degli argomenti affrontati non vuole avere lo scopo di marchiare pateticamente le vittime e i loro familiari, ma essere strumento valido per onorare il ricordo di eroi dimenticati e di tenerne viva la memoria.
Ogni discorso relativo alla legalità risulterebbe indeterminato e privo di un autentico significato se non si precisasse l’obiettivo culturale, sociale e politico principale. Esso è riscontrabile nel processo di partecipazione attiva degli appartenenti alla categoria e di tutte le parti sociali per porre le basi di un progetto partecipativo dell’intera collettività. Così operando, gli obiettivi di democrazia e legalità potranno trasformarsi da ideali in fatti concreti, superando ogni crisi di credibilità, vanificando ogni forma di ambiguità e sensibilizzando le coscienze a programmi di rispetto e solidarietà, rifacendoci a principi etici e raccogliendo il messaggio di Benedetto xvi che pone attenzione alla vita dell’uomo, considerandola come centro di vero progresso e ravvisando la necessità di avere uomini retti sia nella politica quanto nell’economia, sinceramente attenti al bene comune.
I racconti scelti per la pubblicazione non sono stati selezionati in relazione a criteri o regole, ma in virtù della loro provenienza geografica, perché le vittime non sono un problema esclusivo di un territorio, ma riguardano tutta l’Italia. Alcune delle vittime, per scelta, sono anonime, in modo da consentire a chiunque di identificarsi in loro, o per motivi di opportunità in quanto sono ancora in corso indagini e processi.
La prefazione al volume, firmata da Luciano Violante:
Serie B
Avrei voluto che questo libro si intitolasse, provocatoriamente, Serie b. Tutti gli italiani conoscono i nomi di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. È giusto che sia così. Ma pochi al di fuori della cerchia dei familiari ricordano i nomi delle migliaia, ripeto migliaia, di uomini e donne comuni che hanno perso la vita perché difendevano i valori della Repubblica, la sicurezza dei cittadini, il primato delle regole. Le donne e gli uomini di serie b, appunto. Assistiamo da tempo a interviste giornalistiche, radiofoniche e televisive a pluriomicidi, ex terroristi, mafiosi convertiti, corruttori e corrotti redenti. Caino parla in continuazione. Le vittime invece sono confinate in un recinto di silenzio e di disinteresse, quasi di fastidio. Sono vittime del fascino che il male esercita anche dopo che è stato commesso.
Mentre leggevo i racconti pensavo a un paradosso.
Se la vedova o l’orfano di una delle persone di cui parlano questi racconti si presentasse nella redazione di un grande giornale o di una trasmissione tv per chiedere di essere intervistata e raccontare la sua storia, di come la sua vita è cambiata dopo l’omicidio, di come bisogna inventarsi un’altra vita, diversa da quella programmata insieme fino al giorno prima della morte, credo che il redattore la ascolterebbe con educazione, direbbe «Terribile, terribile» e concluderebbe dicendo: «Signora (Signore), stia certa (certo) che la richiameremo senz’altro; devo parlarne con il direttore e in questo momento siamo un po’ pressati… ma appena un po’ più liberi la cercheremo senz’altro. Le manderò anzi uno dei nostri migliori giornalisti e facciamo una bella intervista di una pagina intera». Poi, uscito l’interlocutore dalla stanza, penserebbe: poveretta (poveretto), ma queste storie non interessano a nessuno.
Che cosa accadrebbe invece se alla stessa redazione si presentasse uno degli assassini per raccontare come è andato l’omicidio, come è stato preparato, che tipo di arma è stata usata, che cosa ha provato prima, durante e dopo? Temo che l’intervista sarebbe pubblicata il giorno dopo con titoli di scatola, e richiamo in prima pagina. E forse sarebbe anche ricompensata.
È il sistema dell’informazione. Gli assassini sono tutti in serie a. Le vittime sono quasi tutte in serie b. Credo che ciascun colpevole, scontata la pena, abbia diritto di tentare di reinserirsi e credo che la società debba cercare di avere un buon cittadino in più e un delinquente in meno. Ma è davvero sorprendente il silenzio che è riservato alle vittime e il palcoscenico di cui godono ex terroristi, persone condannate per omicidio, mafiosi più o meno contriti. Questa inversione di valori è frutto di scelte che si misurano tutte sull’istante, su quello che in quel determinato momento conta, che è importante in quel momento, che attira l’attenzione in quel momento.
È l’etica del tempo breve che ispira la maggior parte dei nostri comportamenti. È la dittatura del quotidiano, per la quale la coerenza non è più una virtù. Ciò che vale oggi non vale domani e non valeva ieri. Spariscono le gerarchie dei valori. Sopravviene la società leggera, volatile, spumeggiante che lascia sul fondo il dolore degli umili, che trascura l’esistenza delle vittime, interessata a chi vibra il colpo, perchè ha espresso un segno di forza, dimentica di chi il colpo lo subisce perchè la sua vicenda è sintomo di una fragilità. La società leggera cerca esempi di forza per avere contezza di sé e disdegna i valori duraturi che la porrebbero di fronte alle proprie contraddizioni e alle proprie fragilità.
Perciò è bene che Abele parli, dopo le lunghe orazioni di Caino. È bene che Abele parli per farci riacquisire le dimensioni realistiche dell’esistenza. È bene che Abele parli per farci riacquisire il senso vero della dolorosa storia della legalità nella vita della Repubblica. È bene che Abele parli perché abbiamo bisogno di riprendere il filo dei valori civili.
È bene che Abele parli, perché Caino taccia.
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