Qual è la vera natura del crimine più antico e feroce? Quali profonde e ancestrali radici lo legano all’animo umano? E se fosse una forma d’arte? Se potesse essere valutato, considerato, apprezzato e ammirato come un quadro o una scultura? Se meritasse un posto in un museo o di essere tramandato ai posteri?
Questo è il quesito e l’assunto di base di L’assassinio come una delle belle arti di Thomas de Quincey, da poco edito dalla Robin edizioni nella collana La Biblioteca.
De Quincey, autore fra l’altro de Confessioni di un mangiatore d’oppio (1821), fu uno fra i più originali e dissacranti giornalisti e scrittori inglesi del XIX secolo, tormentato e tossicomane, ironico e profondo conoscitore dei processi criminali del suo tempo, in questo suo saggio con grande umorismo e spregiudicata fantasia, cita, racconta, collega, spiega grandi autori a lui precedenti o contemporanei (da Milton, a Hobbes, a Kant), intrecciandoli con il resoconto di celebri casi giudiziari dei suoi tempi il tutto per dimostrare che l’uomo può esprimere il suo genio anche con la più turpe delle azioni… l’omicidio!
Tutta la narrazione di De Quincey si dipana veloce e articolata, sorretta da uno stile impeccabile, spigliato e colto, profondamente erudito nei suoi rimandi, ma sempre ironico nel tono (con un misto di falsa seriosità e pungenti frecciate). L’autore gioca con il lettore, con la sua morale, con i suoi preconcetti, li ribalta, li capovolge, li scruta curioso ed enigmatico come un animale in gabbia, il tutto senza mai perdere dal filo della propria scrittura quel sorriso ironico e sardonico, quello sguardo smaliziato e divertito che sicuramente il buon de Quincey avrà avuto nello scrivere questa sua opera e nel prendersi gioco di tutto e di tutti, in un perfetto esempio del più feroce umorismo nero britannico.
L’assassinio come una delle belle arti è un libro originale e curioso, una vera e propria perla per un lettore capace, una piccole gemma sepolta che una volta venuta alla luce brilla di una luce sinistra… ma pur sempre brilla!
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