Con la caduta del Muro, il crollo dell’URSS e, a seguire, la fine delle ostilità aperte tra IRA e governo britannico lo scenario internazionale cambiava e anche lo spionaggio doveva fare di nuovo i conti. Soprattutto chi scriveva di spie doveva confrontarsi con un cambiamento epocale. All’inizio non è stata cosa facile. Si diceva che il genere fosse morto, si cercavano nuove formule, nuovi nemici. Il terrorismo islamista sembrava in qualche modo perdere di mordente(senza poter prevedere cosa sarebbe accaduto da lì a dieci anni), la Russia non aveva assunto ancora la configurazione politica attuale, molti conflitti in nuce erano ancora poco noti. La spy story ha cominciato a ospitare - assieme a rimasugli dell’epoca passata, per fare un esempio i romanzi di Evelyn Anthony e di Kenneth Royce, basati sulla Guerra fredda- storie di lotta al narcotraffico vagamente ispirate da motivazioni politiche. Diciamocelo sinceramente, agli inizi degli anni ‘90 non era facile trovare spunti per delle buone storie di spionaggio. C’erano formule come quella di Ludlum sul complotto planetario e la cospirazione totale che parevano inossidabili ma quella era una via già tracciata in passato. La prima guerra del Golfo riporta Saddam Hussein, il mondo arabo e l’islamismo alla ribalta. Si moltiplicano le storie sul ‘ Cannone di Saddam’ e dopo il fallito attentato a Manhattan di Al-Qaeda timidamente cominciano le prime trame sulla nuova ondata di terrorismo. È un’epoca in cui, quelli che tra i vecchi agenti segreti rimasti ancora in servizio... brancolano un po’ nel buio. Il terrorismo fondamentalista non è ancora bene inquadrato. Nei decenni precedenti i bombaroli e i sequestratori mediorientali sembravano burattini di manovre del KGB e, di colpo,si viene a definire una situazione in cui i russi per gli islamisti sono nemici quanto gli occidentali, almeno nella zona caucasica. Lentamente affiora l’immagine della mafia russa che, per gli autori di spy story, è forse la più bella invenzione dalla caduta del Muro. Si potevano ancora scrivere le storie con i russi cattivi senza apparire politicamente scorretti. Sì, perché gli anni Novanta sono, al cinema soprattutto, gli anni di una insopportabile correttezza politica che è la tomba di ogni narrativa d’avventura. Un po’ come quando nel West gli indiani(i nativi americani) non potevano più essere assetati selvaggi delle pianure.

Senza capire che, per creare un eroe, ci vogliono nemici degni di questo nome. E che la fiction traccia sempre un confine netto con la realtà e ha bisogno di cattivi. Di fatto le tendenze della spy story negli ultimi anni sono fondamentalmente due. Una vede l’emergere della spia-soldato. Non so se sia stato il primo Andy McNab(nome di comodo di un personaggio misterioso) esordisce con due ‘faction’ ossia con romanzi che raccontano in chiave romanzesca delle storie vere. McNab è un ex SAS che ci racconta dapprima tutto il suo addestramento e relative missioni con ‘Azione Immediata’, poi passa a trasferire sulla pagina la sua vicenda di prigioniero durante la prima guerra del Golfo con ‘Pattuglia Bravo Two Zero’ che costituiscono due casi letterari. E in seguito crea il personaggio di Nick Stone che è un po’ il suo alter ego, un operatore del SAS fuori servizio costretto a lavorare quasi sempre dietro pressioni ricattatorie per i servizi coinvolto in operazioni nere o negabili. Rispetto al modello precendete dell’agente d’assalto questo nuovo eroe è più orientato all’azione, alla descrizione del dettaglio realistico nell’equipaggiamento quanto nella proceduta. A volte sino a diventare vagamente pedante. Richard Marchinko crea la sua serie riciclando prima le sue memorie di berretto verde e poi di Spec Warrior, figurando persino in copertina con tanto di mitra. Tra tutte queste serie devo dire che quella che ai tempi mi piacque di più(siamo ancora negli anni ‘80) fu quella scritta da Gayle Rivers che da ex SAS raccontava le sue avventure di controterrorista in un volume che, si intitolava ‘Lo specialista’. Nasce la definizione technothriller, generata dall’attenzione per il dettagli tecnico e militare che, un po’, hanno la prevalenza sull’intreccio e la caratterizzazione dei personaggi. Le opere più famose di Tom Clancy (da ‘La grande caccia all’ Ottobre Rosso a ‘Pericolo imminente’) rientrano in questo filone che a sua volta darà origine a lunghi cicli dove aviazione e sommergibili diventano quasi più importanti dei personaggi. Curiosamente la spy story italiana che nasce su Segretissimo negli anni ‘80 con i personaggi di Andrea Santini e Remo gGuerini (Falco Rubens eWalfrido Pardi di Vignolo) declinano il filone enfatizzando la non appartenenza dei loro eroi a un servizio particolare e prediligendo (forse per influsso cinematografico) azione e situazioni combat. A questa tendenza di certo appartiene lo Sniper di Altieri ma lo stesso Professionista quanto Mercy Contreras di Kappy mescolano il gusto dell’avventura spionistica con una buona dose di dettagli tecnici, sesso e una vena anarchica, totalmente assente nelle storie scritte in ambiente anglosassone prima della caduta del Muro. Sul fatto che la spy story avventurosa comincia a parlare italiano avremo modo di discutere in altra occasione. Per quel che riguarda l’intero genere la seconda caratteristica emergente è la sostituzione dei grandi servizi. Forse per influenza di società come la Blackwater cui il governo americano in realtà ha appaltato buona parte delle sue operazioni di protezione in medio oriente, o forse perché sempre di più politica e affari privati di grandi magnati si intrecciano, le vecchie divisione finiscono per non avere più senso. La guerra delle spie è diventata più violenta, combattuta sul campo, tra i civili, spesso senza preoccupazione perle vite dei passanti da terroristi kamikaze e agenti corporativi privi di regole di ingaggio. Il potere e il guadagno fine a se stessi diventano i motori della narrativa. E qui la spy story con i suoi meccanismi classici finisce per fondarsi con il nero criminale in maniera spesso indistinguibile.