"Se la vita fosse un film, sarebbe un thriller", dissi una volta ad una mia amica, commentando una brutta vicenda che le stava capitando.
Quello che stava vivendo lei, però, era un thriller vivo, palpitante, che riguardava il suo presente! Niente di straordinario, s'intende!, niente a cui il tradizionale cinema hollywoodiano avrebbe potuto ispirarsi; solo la normale efferatezza della vita quotidiana, a cui, ogni tanto, dobbiamo sottoporci. Un thriller domestico, in cui il presente, per quanto drammatico e doloroso, ci dà la forza di proiettarci verso un futuro migliore.
Esiste invece un dolore maggiore, più subdolo, che parte dai recessi della nostra memoria e si insidia nel nostro animo, condannandoci ad un'esistenza nichilista, priva di vita. Un dolore enorme, che affonda le proprie radici nell'ineluttabilità degli eventi passati e soffoca il presente.
È in queste condizioni che si ritrova Ellen, la protagonista del romanzo Album di famiglia di Renate Dorrestein, alle soglie dei quarant'anni.
Ellen decide di sfogliare il suo album di famiglia, un album più mentale che fisico, e di ritornare nella sua casa natale per affrontare i fantasmi del suo passato, là dove si erano formati.
Ellen vive la sua vita presente abbarbicata ai ricordi. Ogni immagine, ogni gesto, ogni sensazione, la rituffa nel periodo della sua infanzia e della sua adolescenza. Il periodo in cui i timori e le piccole ripicche, a volte buffe, di una bambina si fondono a riflessioni e paure ancestrali degne di una persona adulta.
Lei sfoglia l'album, le immagini si rianimano; lei vi si catapulta dentro, e il mondo di allora si allarga e prende forma. I personaggi prendono vita, attraverso i ricordi di Ellen. Ricordi arricchiti da una forte immedesimazione nei propri cari, con la quale riesce a ricostruire i loro stati d'animo e le vicende di cui sono stati protagonisti, a cui lei non ha assistito. Un mondo d'affetti chiaro solo a lei e ai suoi fratelli, nel quale gli adulti non possono o non vogliono entrarci. Un mondo d'affetti correlato da sogni, vividi e concreti come fatti reali.
La protagonista resta così prigioniera della propria psiche, rifiutando ogni contatto umano che non ritiene indispensabile, incatenata ad un passato tragico che deve cercare di ricostruire, per poterlo accettare e superare.
Ma il passato è morto. Come si fa a combattere un morto?
Un romanzo intimista, sviluppato su due livelli; un mondo visto attraverso lo sguardo profondo di una bambina, e rivissuto attraverso lo sguardo disincantato di una giovane donna.
Sì, il passato è morto, non ci si può aggrappare nella speranza di modificarlo. Ma la vita è un thriller, e, nascosto da qualche parte, può sempre esserci un piccolo tassello, un tronchesino, capace di spezzare le catene con il passato e proiettarci verso il futuro.
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