Un classico…

Quando siamo di fronte ad un classico, ad uno dei padri del romanzo poliziesco, seppur francese (un po’ di spocchia ce l’hanno),  tanto di cappello. Parlo di quell’Emile Gaboriau che nella seconda metà dell’800 ha dato vita ad un particolare tipo di poliziotto senza tanti grilli per la testa (leggi astrazioni varie) e con i piedi ben piantati per terra. Al poliziotto più posato e “scientifico” dell’eccentrico Dupin di Poe. A  M. Lecoq, dunque, che in Il dossier 113 di Emile Gaboriau, Nuovi Ritmi Costa&Nolan 2009, fa capolino per la prima volta a pagina quarantacinque come “un uomo di una certa età, distinto all’apparenza, che portava una cravatta bianca e occhiali con la montatura d’oro”. Un uomo di cui nessuno può vantare di conoscere il suo vero aspetto, come dichiara in seguito una guardia. Insieme a M. Fanfelort, detto lo Scoiattolo (ha una voglia matta di mettersi in mostra), guida le fila di una indagine particolare relativa al furto di 350.000 franchi perpetrato nei confronti della banca del signor Fauvel. Niente scasso, una scalfittura alla cassaforte, solo due hanno la chiave, proprio Fauvel e il cassiere Prosper Bertomy che viene ritenuto colpevole e incarcerato.

Attorno a questa vicenda gira tutto l’ambaradan del feuilleton del tempo con gli interrogatori del giudice Patrigent, gli amori ricambiati e respinti, il figlio segreto, lo scontro tra padre e figlio, i travestimenti, i patti, i pianti, le grida, i ricatti, il morto non morto e il vivo che ritorna, il denaro, le bugie, lo scandalo e insomma tutti i sentimenti dell’animo umano e la storia che si sviluppa e avviluppa all’infinito come era nel dna, si direbbe oggi, negli scrittori di allora.

Alla fine della lettura si arriva stremati, con gli occhi fissi nel vuoto e un bisogno incoercibile di qualche testo più snello. Ma la storia è la storia. E Il dossier 113 ci rimane, qualunque sia il giudizio del recensoruculo di turno.