L’arrivo sugli schermi italiani del kolossal storico “La battaglia dei Tre Regni” ha riportato l’attenzione del pubblico occidentale su un genere che in realtà nella cinematografia cinese è sempre stato importante: la ricostruzione romanzata di veri eventi storici. Di solito è stato prerogativa del wuxiapian che, partendo da eventi storici o personaggi realmente esistiti, ha creato film molto fantasiosi e pieni di magie e di personaggi che volano. Sin dalla sua nascita il gongfupian, il cinema basato su combattimenti a mani nude, non ha potuto esimersi dall’affrontare trame basate su eventi storici.
Uno dei primi esempi è un film diretto da Chang Cheh (1923-2002), fra i più celebri, talentuosi ed apprezzati registi di Hong Kong: si intitola “Ci Ma”, e può essere tradotto come “L’assassinio di Ma”. Esce nei cinema in patria il 24 febbraio 1973 già con l’aggiunta del titolo internazionale “The Blood Brothers”: non si è potuto risalire al titolo con cui venne distribuito in Italia (è assai improbabile che abbia mantenuto il titolo inglese, vista la moda dell’epoca), ma con lo stesso titolo viene distribuito in un’ottima edizione DVD della AVO Film nel 2007 (edizione basata sulle rimasterizzazioni della Celestial Pictures).
Scritto da Cheh stesso, insieme a Ni Kuang, il film si basa su un “giallo storico”. «Durante la Dinastia Qing - viene spiegato all’inizio del film - il famoso generale Ma Hsing-yi venne assassinato da Chang Wen Hsiang: fu uno degli avvenimenti più drammatici [in realtà l’originale è “controversi”] accaduti sotto la Dinastia Qing. Chang Wen-hsiang è menzionato negli scritti di Sun Yat-sen [celebre politico considerato il fondatore della Cina moderna], e i dettagli di questa vicenda sono riportati in molti libri di storia». Certo i più di 300 anni della Dinastia Qing sono un indizio cronologico piuttosto vago, ma sappiamo che gli eventi si riferiscono alla seconda metà dell’Ottocento.
Con un filo così esile e sottile come l’assassinio di un generale nel secolo precedente, Chang Cheh riesce a tessere una trama avvincente e ricca. Malgrado questo film non sia fra i suoi più celebri, lo stesso rappresenta a pieno tutti i valori e la concezione visiva dell’autore.
Con la classica tecnica del flashback (molto comune in questo genere di film) la storia del film viene raccontata da Chang Wen-hsiang, con le mani ancora sporche del sangue di Ma Hsing-yi. Racconta che lui e Huang Chung erano stati due ladruncoli fino al giorno in cui non incontrarono Ma Hsing-yi: insieme siglarono un patto d’amicizia intenso divenendo fratelli di sangue (il blood brothers del titolo). Grazie all’ambizione di Ma, prima formarono una grande e temuta banda di malviventi, poi si arruolarono nell’esercito. Mentre però Chang e Huang rimangono in fondo gli stessi di sempre, anche se in divisa, Ma Hsing-yi subisce una profonda trasformazione a causa della propria sconfinata ambizione. Divenuto generale, sente sempre più forte l’amore per Mi-lan, la moglie di Huang: per sbarazzarsi del rivale, ordina a quest’ultimo una missione che in realtà è una trappola dove morirà. Quando Chang lo scopre, sfiderà ed ucciderà Ma Hsing-yi, il fratello di sangue che ha tradito, accettando poi il feroce supplizio impostogli dall’esercito.
Il film è un tipico esempio dell’epica di Chang Cheh: personaggi all’apparenza scapestrati, perditempo e approfittatori, che in realtà nascondono un cuore d’eroe e che sanno votarsi anima e corpo a valori superiori. L’amicizia virile è elemento fondamentale di ogni film del regista: le donne sono sempre marginali, arrivando a film come questo in cui c’è un solo personaggio femminile! L’amicizia, il patto che si instaura fra uomini (tra “fratelli”, come usano chiamarsi i cinesi fra di loro... almeno nei film!) è sacro ed inviolabile: chi lo infrange, paga con la morte! La scena topica del film, ma anche di tutta la cinematografia di Cheh, è quando Chang si tuffa in mezzo a un centinaio di soldati per colpire il generale Ma: è impossibile che esca indenne da questo gesto, ma deve punire il fratello traditore, e se deve morire nel farlo, non c’è problema. Affronterà l’orribile morte col sorriso sul volto, perché sa di aver adempiuto a valori più alti.
I tre blood brothers sono interpretati da grandi attori dell’epoca, oltre che presenza quasi fissa dei film di Cheh. David Chiang è l’assassino che racconta la storia, mentre Chen Kuan Tai è l’amico che cade nell’imboscata; su tutti però svetta il bravissimo Ti Lung nel ruolo del generale Ma Hsing-yi, che mostra con grande bravura e credibilità la profonda trasformazione dovuta all’ambizione.
Malgrado nessuno dei tre attori sia un “vero” artista marziale, tutti danno grande prova d’abilità a mani nude e con armi (anche se David Chiang non sfrutta le potenzialità del nunchaku a tre sezioni, usandolo più come una frusta!). I combattimenti sono molti e lunghi, secondo i canoni dell’epoca, preceduti da allenamenti in solitaria. I combattimenti “importanti” si svolgono tutti all’aperto, sugli scenari montani usati spessissimo in questo genere di film e che consentono il dispiegamento di un gran numero di comparse “inutili”: alla fin fine, infatti, sono solo pochissimi gli attori che combattono nell’inquadratura, mentre il resto delle comparse serve solo a fare numero!
Malgrado il regista Peter Chan l’abbia negato, è impossibile non considerare il suo film del 2007 “Warlords” (Tau ming chong) un remake di “The Blood Brothers”.
Il film è una grande co-produzione di Cina ed Hong Kong, con dispendio di mezzi che Chang Cheh non avrebbe mai potuto immaginare. Alle scarne ma colorate scenografie degli anni ’70 si sostituiscono imponenti ma scure scenografie moderne.
Il risultato però è indiscutibile: un grande film interpretato da grandi attori che porta in scena l’evoluzione moderna dell’epica di Cheh: meno plateale ma lo stesso fortissima.
L’attore sino-nipponico Takeshi Kaneshiro prende il posto di David Chiang nel ruolo dell’assassino (ma in realtà la sua parte è molto meno centrale che nell’originale), mentre un intenso Andy Lau interpreta il fratello tradito. I due avevano già lavorato insieme in una grande produzione del 2004: “La foresta dei pugnali volanti” (Shi mian mai fu / House of the Flying Daggers) di Zhang Yimou. Nel ruolo del generale Ma Hsing-yi (che però viene ribattezzato Pang Qingyun) c’è un titanico Jet Li che, svestiti gli stretti panni commerciali statunitensi, mostra la sua grande bravura recitativa in un ruolo che sembra non adattarglisi ma che invece ricopre alla perfezione. Il suo monologo all’amico tradito, mentre questi altrove viene ucciso a tradimento, è il momento più alto di tutto il film, e non ce lo si aspettava da un attore che, sinceramente, ha sempre ricoperto ruoli d’azione che poco lasciavano alla recitazione.
I due film sono ovviamente differenti: lo scarno, essenziale ed economico lavoro di Cheh si basava interamente sulla fisicità dei tre attori e sul loro interagire; il sontuoso, spettacolare e costosissmo film di Chan riesce a dosare un eccellente tris d’assi di attori con scene di grande impatto visivo. Lo spirito però è lo stesso: l’epica allo stato puro, l’amicizia che è più importante di qualsiasi altra cosa e la “fratellanza”... anche se è basata sul sangue.
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