Stephen King è un autore di thriller-horror che di solito non viene accomunato al grande gioco degli pseudobiblia. Ha citato di sfuggita il “Necronomicon” (nel racconto “So di cosa hai bisogno”) e il “De Vermis Mysteriis” (nel racconto “Jerusalem’s Lot”, entrambi nell’antologia “A volte ritornano”), ma quando si cita il “re” dell’orrore non si pensa certo a libri inesistenti... eppure anche lui ha ceduto al grande fascino di questo gioco letterario.
Lo scrittore del Maine ha spesso creato personaggi alter ego, scrittori di più o meno successo alle prese con romanzi o personaggi inopportuni e problematici. Fra i primi migliori esempi abbiamo il povero Paul Sheldon di “Misery” (1987), nauseato dal personaggio da lui creato (Misery Chastain): gli ha fatto sì guadagnare un mucchio di soldi e gli ha donato la celebrità, ma ne è veramente stufo! A fianco della serie ufficiale, con titoli come “L’amore di Misery”, sappiamo che Sheldon ha fatto uscire a proprie spese un libricino dal titolo “L’hobby di Misery”: un fuori collana in cui si raccontano le avventure di sesso perverso della donna! È sicuro che l’autore non la sopporti proprio più...
Sappiamo che “Il figlio di Misery” è l’ultimo libro della serie dedicato al personaggio: in questo, infatti, Sheldon fa morire il personaggio a cinque pagine dalla fine. «Non un solo paio d’occhi era rimasto asciutto davanti a un simile accadimento inclusi per gli occhi di Paul... salvo che il pianto scaturito da sotto le sue palpebre era stato la conseguenza di risa isteriche.» Chiuso il periodo di Misery Chastain, lo scrittore può dedicarsi ad un romanzo che gli sta a cuore: “Bolidi” il titolo, e ne è molto soddisfatto.
Non sa il povero sventurato che un incidente stradale lo porterà inerme fra le braccia di una squilibrata che ha un solo scopo nella vita: leggere i romanzi di Misery Chastain! Non reagirà bene alla scoperta della dipartita della propria eroina, e la farà pagare cara al povero scrittore.
Per lui però la brutta avventura sarà catartica: ne uscirà con un nuovo romanzo... “Il ritorno di Misery”.
Il suo romanzo “La metà oscura” (The Dark Half, 1989) si apre con una nota dell’autore: «Devo molto allo scomparso Richard Bachman per l’aiuto e l’ispirazione che mi ha dato. Senza di lui questo romanzo non sarebbe stato scritto». Già con queste poche parole lo scrittore del Maine fa capire al lettore che sta per assistere ad un gioco di ruolo, che gli verranno dette cose false ma vere, e vere benché false!
Tutti i lettori di Stephen King, infatti, sanno che all’inizio della sua carriera (ma anche in seguito) egli usò lo pseudonimo Richard Bachman per alcuni romanzi (In Italia la collana “Urania” stette al gioco e ne pubblicò due, “La lunga marcia” e “L’uomo in fuga”, non svelando chi ci fosse dietro Bachman!). Ringraziare quindi una persona inesistente, ancor più inesistente in quanto poi data per “scomparsa", e che tutti sanno essere un proprio alter ego, fa capire che anche King vuole dare il proprio tributo ad un divertissement letterario che incantò il fior fiore dei suoi illustri predecessori.
Ma perché uno scrittore inizia un romanzo ringraziando il proprio pseudonimo e dandolo per morto? Semplice, perché è proprio la trama del romanzo! Il protagonista della storia, Thad Beaumont, è uno scrittore di successo che però ha pubblicato per anni i propri romanzi dietro la firma di George Stark, finché un bel giorno non decide di uscire allo scoperto e, fomentato dai giornalisti, far “morire” il proprio pseudonimo. Viene creata addirittura una finta lapide, per un servizio fotografico, con su inciso: «GEORGE STARK - 1975-1988 - Un tipo poco raccomandabile». L’età di Stark corrisponde ai 13 anni di successi editoriali goduti da Beaumont.
Ma non si può tagliare i ponti con la propria “metà oscura”, come Beaumont definisce Stark: e la storia horror che ne seguirà, in pieno stile kinghiano, lo dimostrerà. George Stark, infatti, “infuriato” a causa della finta morte, tornerà a vera vita per vendicarsi di chi l’ha voluto distruggere!
In questa sede non è strettamente la trama del romanzo ad interessarci: la si potrebbe definire legata al classico genere del “Doppelgänger", del doppio, del conflitto del sé col sé-altro. Quello che merita di essere citato è l’uso di pseudobiblia... che al tempo stesso sono anche pseudoepigrapha!
I libri scritti da Thad Beaumont sono ovviamente pseudobiblia: non esistono, se li è inventati Stephen King! Però nel romanzo questi non vengono presentati come scritti da Beaumont, bensì scritti da George Stark... quindi sono anche pseudoepigrapha, cioè affibbiati ad una persona diversa dall’autore... che per giunta neanche esiste! Libri inesistenti che vengono attribuiti ad un autore inesistente, inventato da un personaggio inesistente, inventato a sua volta... Eh sì, King ci si è messo d’impegno, non c’è che dire!
Fra i libri di George Stark abbiamo “La macchina di Machine”, un cui estratto fa da epigrafe al prologo: «“Affettalo”, disse Machine. “Affettalo già che sono qui a guardare. Voglio vedere scorrere il sangue. Non fartelo ripetere due volte.”». Non ci va per nulla tenero, il buon Stark!
Abbiamo poi “In viaggio per Babilonia”, dove troviamo una frase profetica ai fini della storia: «Sono tornato dal mondo dei morti e tu non mi sembri affatto contento di rivedermi, ingrato figlio di puttana». Per finire, c’è il libro che lo Stark redivivo costringe il povero Beaumont ad iniziare: “Machine da guerra”, un altro libro col personaggio di Alexis Machine, ricorrente nei romanzi di Stark.
Una menzione speciale, però, merita “I danzatori improvvisi", romanzo che Beaumont pubblica col proprio nome e che nel 1972 gli fa guadagnare il grande consenso della critica. In realtà è un romanzo che regala una cocente delusione all’autore: un premio mancato e il voltafaccia della critica spingono Beaumont sull’orlo del suicidio. I risultati saranno invece diversi: la decisione di cambiare genere e soprattutto quella di non firmarsi mai più col proprio nome... È nato George Stark!
Nel 1993 George A. Romero porta sullo schermo il romanzo di King, occupandosi anche della sceneggiatura. Oltre al già citato brano da un libro di Stark, ne viene creato uno appositamente il film: «Austin chiuse gli occhi, ma non servì a niente. Il rasoio si insinuò nella palpebra destra con facilità e bucò il globo oculare con un rumore soffocato di melma gelatinosa.» Una chiara esagerazione per dare l’idea del tipo di scrittura di Stark.
«Lei ha rubato la mia storia»: questa è l’accusa che si sente rivolgere Morton Rainey nel romanzo breve “Finestra segreta, giardino segreto”, raccolto in “Quattro dopo mezzanotte” (Four Past Midnight, 1990). È un’accusa grave, che farebbe tremare ogni scrittore: ma Rainey non trema, perché ha la coscienza a posto. Il tizio strano che gli ha lanciato l’accusa, John Shooter, gli lascia un proprio manoscritto non pubblicato che, non si sa bene come, Rainey avrebbe plagiato per un suo racconto: il testo in questione si intitola “Finestra segreta, giardino segreto”.
Rainey inizia a leggere il manoscritto a cuor leggero: non ha mai sentito nominare né l’autore né l’opera, quindi ancora di più è sicuro di non aver copiato neanche per sbaglio quel testo.
Ma la sicurezza però dura poco, fino all’arrivo di un paragrafo particolare: «Todd Downey pensava che una donna che ti rubava l’amore quando l’amore era in realtà l’unica cosa che possedevi non fosse un granché di donna. Decise pertanto di ucciderla. Lo avrebbe fatto in quell'angolo profondo che c'era dove la casa e la rimessa si avvicinavano formando un angolo acuto. Lo avrebbe fatto dove sua moglie teneva il suo giardino.» In sé il testo non ha nulla di strano, ma lo diventa se paragonato ad un vecchio racconto di Rainey, “Stagione di semina”, raccolto in “Chi non dice la sua?”: «Una donna che ruba il tuo amore quando l'amore è tutto ciò che hai non è un granché di donna... tale era almeno l'opinione di Tommy Havelock. Decise di ucciderla. Sapeva anche dove l'avrebbe fatto, il luogo preciso: quel pezzetto di giardino che teneva nell'angolo acuto che veniva a formarsi dove la casa si avvicinava alla rimessa.» È troppo simile perché possa essere solo una coincidenza.
Rainey è però sicuro che quel suo racconto è stato pubblicato molto prima di quando Shooter afferma di aver scritto il suo: da quando ha pubblicato il best-seller “Il figlio del suonatore di organetto”, Rainey è divenuto molto famoso, e sicuramente Shooter è un mitomane che, scopiazzato un racconto già pubblicato, si presenta all’autore di successo battendo cassa per un fantomatico plagio. L’unico problema è che il numero della prestigiosa “Ellery Queen’s Mystery Magazine” dove Rainey ricorda di aver pubblicato il racconto in realtà non lo contiene... e questo non è certo l’unico mistero della storia di King, che riserva ben altre sorprese!
Nel 2004 David Koepp scrive e dirige l’adattamento cinematografico di questo romanzo breve. “Secret Window” ricrea fedelmente le atmosfere del testo kinghiano, con Johnny Depp nel ruolo protagonista ed un eccezionale John Turturro nei panni di Shooter.
Nel romanzo “Desperation” (1996) Stephen King delinea il personaggio di John Edward Marinville («l’unico fra gli scrittori americani viventi a essere all’altezza di John Steinbeck») che riceve una proposta particolare dalla sua agente letteraria. «Potresti andare in giro sulla tua moto e raccogliere materiale per una nuova serie di articoli [...] Includendo i pezzi migliori tra quelli che hai già scritto, come Parte Prima, per esempio, potresti mettere insieme un libro di buone dimensioni. “Cuore americano, 1966-1996”, appunti di viaggio di John Edward Marinville.»
L’idea piace allo scrittore, ma non il titolo: troppo uguale ad un film con Jeff Bridges, fa notare. Visto che la sua moto è una Harley-Davidson Softail 1340 cc, decide di intitolare questo futuro libro “In viaggio con Harley”, un titolo decisamente più stuzzicante. «Un libro di impressioni che avrebbe potuto spingere i critici a rivedere completamente l’immagine che si erano fatti di lui, un libro di appunti che, chissà, avrebbe potuto far riapparire il suo nome nella lista dei best-seller.»
Durante il viaggio Marinville incontra un poliziotto che si scopre essere un suo grandissimo fan, occasione che ci permette di conoscere altri romanzi dell’autore: «Lei è... John Edward Marinville! [...] Cioè, lei è lui, vero? Ha scritto “Godimento”! Oh, merdaccia, e “Il tam-tam d’Oriente”! Sono qui davanti all’uomo che ha scritto “Il tam-tam d’Oriente”! So che ai critici non è piaciuto, ma che ci capiscono quelli? [...] “Il tam-tam d’Oriente” è il miglior libro sul Vietnam che abbia mai letto. Altro che Tim O’Brien, Robert Stone...»
Nel 2006 Mick Garris dirige un film televisivo sceneggiato dallo stesso King. Marinville viene interpretato dal famoso attore Tom Skerritt ma i titoli dei suoi romanzi vengono snocciolati dal poliziotto in modo talmente frenetico e confuso (non tradotti poi nel doppiaggio italiano!) da risultare incomprensibili!
Un altro autore fantastico di Stephen King è Mike Enslin, scrittore sui generis in quanto autore di libri a metà fra cronaca, saggistica fantastica e autoparodia, dai titoli più che eloquenti come “Dieci notti in dieci case infestate”, “Dieci notti in dieci cimiteri infestati”, “Dieci notti in dieci castelli infestati”. «È riuscito ad andare in Scozia per questo libro. - gli fa notare un suo interlocutore - Per non parlare dei boschi di Vienna. Ed è tutto detraibile dalle tasse, giusto? In fin dei conti, esplorare i luoghi infestati dai fantasmi è il suo lavoro».
Conosciamo questo scrittore nel racconto “1408”, raccolto nell’antologia “Tutto è fatidico” (Everything’s Eventual, 2002). Dal racconto nel 2007 è stato tratto il film omonimo di Mikael Håfström; Matt Greenberg e Scott Alexander, che hanno sceneggiato il film, hanno aggiunto moltissimo al testo kinghiano, compreso una precedente attività letteraria di Enslin. Solo nel film infatti conosciamo il titolo “The Long Road Home” (La lunga strada verso casa), scritto durante un periodo molto difficile della sua vita, quando cioè la figlioletta stava morendo di cancro. «E questo sotto quale pietra l’hai trovato?» chiede lo scrittore alla fan che gli mostra il libro consunto. «Su eBay» gli risponde lei «È un libro pazzesco, così unico e d’ispirazione. Sincero. [...] Ne scriverai un altro come questo?». Ma, per sua stessa ammissione, Enslin non potrà mai più scrivere cose del genere.
Ora, si diceva, scrive di luoghi infestati, e per il libro che sta scrivendo, “Dieci camere d’albergo infestate dai fantasmi”, decide di passare una notte nella camera n. 1408 del Dolphin Hotel di New York: l’esperienza gli sarà fatale, perché la stanza è veramente infestata e sarà la notte più orribile della sua vita.
A noi però interessa la sua attività di scrittore. «Mi piace il suo stile. - gli dice Olin, il direttore del Dorphin Hotel. - Mi sono sorpreso a ridere di fronte alle sue avventure ben poco soprannaturali nel castello di Gartsby, e sono rimasto stupito dalla sua bravura. Dalla sua sottigliezza. Mi aspettavo qualcosa di più truculento. [...] Tuttavia questi libri sono inquietanti. [...] Quello che mi ha turbato, “spaventato” direi, è l'essermi trovato a leggere il lavoro di un uomo intelligente e pieno di talento che non crede a “una sola parola” di quanto ha scritto.» Enslin, è vero, è scettico di fronte ai fantasmi o alle entità spiritiche in genere, ma è rimasto troppo deluso dall’aver scritto cose in cui credeva. «Nei primi diciotto mesi trascorsi a New York, quando moriva di fame lavorando per il “Village Voice”, aveva scritto una tonnellata di poesie in cui credeva. Ma credeva davvero che il fantasma senza testa di Eugene Rilsby vagasse per la casa colonica ormai vuota del Kansas, al chiar di luna? No.»
Dopo la notte passata nella camera 1408 Mike Enslin decide fermamente di non scrivere più una sola parola... ma si sa, scrive King, «a volte gli autori dicono cose del genere, tutto qui. Questi capricci occasionali da primadonna sono atteggiamenti comuni a tutti gli scrittori.» E lo sa bene lui, che non si sa più quante volte ha dato l’addio alla letteratura per poi tornare più prolifico di prima!
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