Una lunga esperienza di cronaca nera e giudiziaria ed una visione d’insieme in piena maturità, si fondono nelle parole di Piero Colaprico che descrive i processi di trasformazione che stanno accadendo in tutte le metropoli del mondo. Incontri di persone dal passato diverso danno luogo a società nuove, e le nuove modalità criminali costituiscono semplicemente uno strumento per poterle raccontare.
La realtà è complessa e sfuggente, ma il noir offre tre principali direttrici lungo le quali dipanare le storie che permettono di arrivare al cuore del problema: l'uso sapiente di detection (ovvero la capacità di ricostruire sequenze di eventi, partendo dai particolari rinvenuti in una data situazione) e suspense, le descrizioni psicologiche dei personaggi ed i classici momenti di caccia (investigatori che inseguono criminali, criminali che inseguono soldi e vittime in fuga). Con questi ingredienti il noir è in grado di disegnare mondi ben più grandi di quelli della trama di un libro.
Alla platea più attenta sono risuonate forti le parole con cui Piero Colaprico racconta la Quinta Stagione del maresciallo Binda, in cui l’invecchiamento ed il pensionamento del protagonista offrono l’occasione di riflessioni esistenziali sulla nostra società. “Questi capannoni diroccati erano le vestigia di una civiltà sepolta, che credeva nella produzione e aveva infine prodotto la civiltà del consumo, e ne veniva a sua volta consumata: masticata e sputata. E questa volta non erano i padri che divoravano i figli, non erano i figli che ammazzavano metaforicamente i padri. In pochi decenni un mondo di regole che avevano retto per secoli s’era lasciato abbrutire dalla frenesia del denaro e dell’accumulo. Di un avere senza più essere. E chissà se i ricchi e i politici, i signori arroccati nelle ville blindate e protetti da legioni di guardie del corpo, ridevano nel vedere gli effetti di quanto avevano contribuito a creare. Il massificato –sei quello che spendi, dopo qualche decennio di vacche grasse, s’era trasformato nell’altrettanto massificato sei quello che temi. E cosa siamo diventati, noi cittadini? Inermi folle di gente che, dopo aver pensato agli sconti dei detersivi e sognato modelli di auto a due posti costosi quanto una villa a dieci stanze, scopriamo - in ogni metropoli del mondo, nello stesso momento- che una nuova guerra, non scritta, non dichiarata è già cominciata”.
Secondo Giancarlo De Cataldo, invece, sono tre i grandi temi con cui si confrontano tutte le democrazie mature: corruzione, immigrazione, successo. La classica lotta del bene contro il male è resa oggi più complessa e ricca di sfumature diverse, dall democrazia e le sue dinamiche più contemporanee. Di conseguenza gli scrittori non raccontano più delitti singoli, ma delitti contro la società. Pratica intellettualmente più interessante e gratificante per capirne e descriverne l'impatto sulla società piuttosto che, semplicemente, risolvere l'intrigo di un singolo omicidio. Dovere dello scrittore è saper scriverne in modo appassionante, costruendo quello che De Cataldo definisce il Mito. C'è necessità del Mito, poiché esso si fonda sul saper raccontare vari fatti già noti, accertati e diffusi. Il saperli raccontare nuovamente con una struttura avvincente è ciò che ha fatto con il celebre Romanzo Criminale, creando una mitopoiesi in oscillazione costante tra presente e passato.
E De Cataldo lo ha fatto, anticipando anche la magistratura, con Nelle Mani Giuste, mai così attuale come in questi giorni in cui si discute di mafia e stato, di mafia e accordi con lo stato. Basti pensare alle pagine in cui si si tratteggia "l'uso della sapiente della violenza” come uno dei capisaldi dell'organizzazione mafiosa protagonista. “La violenza serviva a rimettere le cose in ordine, e restava il modo più semplice ed immediato per farsi intendere dai tanti profeti del disordine”. Così anche Il Vecchio, rappresentante oscuro delle istituzioni è pienamente consapevole che “molte brave persone si sono sforzate invano di migliorare il mondo, ignorando una verità elementare: il mondo non sopporta di essere migliorato. Per questo lui si propone di assecondare il mondo, rendendolo peggiore”.
Capacità di raccontare la società: il filo conduttore e' stato ripreso dal genovese Bruno Morchio. La città è la protagonista dei suoi romanzi, Genova con il suo passato importante da realtà industriale e la trasformazione avvenuta a fine degli '80 con la chiusura di molte industrie e la contemporanea ondata di immigrazione.
La presenza di persone provenienti da tutto il mondo si è concentrata nel centro storico della città, nel labirinto dei carruggi, la suburra genovese, da sempre al centro della vita più sincera della città, nel bene e nel male.
Lì, dopo le celebrazioni delle Colombiane del 1992, si è incentrato l'intervento urbanistico della città, riabilitando il centro storico, secondo il più puro fenomeno della gentrification: espulsione dei vecchi e nuovi abitanti (leggi immigrati) per dare il cuore pulsante della città in mano ad una classe media genovese che, secondo Morchio, grazie al buon livella di cultura è in grado da fungere da collante con l'immigrazione.
L'autore genovese ha scoperto in Cina anche le sue analogie con Qiu Xiaolong, di cui ha apprezzato il saper raccontare Shanghai, soprattutto attraverso le memorie e i residui del passato che affiorano, in modo che l'attuale modernità cinese sappia ricordare anche il suo tempo lointano. Un confronto, quello proposto dal convegno a Pechino, in grado di fare emergere caratteristiche comuni alle culture mondiali in questa fase attuale di globalizzazione: esaltare le differenze locali, per poterle diffondere riconoscendo ad ogni realtà la propria specifica caratterizzazione, in un continuo rimbalzo di civiltà, in nome di un meticciato culturale visto come una ricchezza, anziché un freno.
L'articolo è pubblicato anche sul sito China Files
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