Benvenuto Luca. Mi incuriosiscono molto i tuoi studi: sei laureato in Filosofia con una specializzazione in storia antica e una tesi sull’imperatore-filosofo Marco Aurelio: cosa ti ha appassionato di questo personaggio?

Tutto è partito per caso, avevo proposto originariamente per Antichità Romane una tesi sulla cultura alimentare nel mondo romano e mi ci ero anche buttato sotto nelle ricerche. Poi il professor Belloni che me l’aveva accettata è andato in pensione e il suo sostituto ha cominciato a cavillare su quello che stavo scrivendo. Così mi sono trovato a dover cercare una valida alternativa di tesi sostitutiva e ho scelto di bussare alla porta di Giovanni Reale, il grande maestro della filosofia antica che era stato in assoluta il docente che avevo più seguito all’Università, data la sua carica magnetica durante le lezioni. Così mi sono fiondato nel suo ufficio proponendogli una tesi su Seneca, convinto che essendo un autore latino avrei faticato meno. E invece mi sono scontrato con una mole di documentazione incredibile. Mentre stavo per sprofondare nello sconforto da ricerca bibliotecaria ho incontrato Reale nei corridoi dell’Università Cattolica che mi ha detto: “allora come va?”. Davanti alla mia titubanza mi ha detto a muso duro: “Ma lei lo ha mai letto Marco Aurelio?”. Io timidamente ho detto che no, l’avevo solo un pochino studiato sul manuale di filosofia antica. “Si regali una copia de ‘I pensieri’, la legga e poi mi dica cosa ne pensa”, ha ribattuto lui. Posso dirti che appena ho comprato il libro è stato come scoprire un universo che fino ad allora mi era rimasto sconosciuto. Ho conosciuto un uomo dalla grande sensibilità morale che è stato al contempo un romano, un imperatore e un filosofo. Un individuo capace di lottare al contempo con la malattia che lo minò fin agli ultimi giorni della sua vita, con gli intrighi di corte che combattè per tutta la vita e con il perenne mutare della realtà rispetto alla quale l’uomo non è nulla. Nella raccolta dei suoi pensieri che costituisce il suo personale diario interiore Marco Aurelio riesce a sconfiggere con il lume della sua morale qualsiasi avversità che possa attaccare l’uomo. Persino la morte e il dolore sono per lui sopportabili perché non riusciranno mai a scalfire la forza interiore di un uomo retto. Mi sono divertito e appassionato molto a studiarlo e tradurlo dal greco. Ho persino scritto una monografia su di lui che a causa della cancellazione editoriale di una collana di biografie letterarie non è mai uscita. A tutti gli effetti quello su Marco Aurelio è stato il mio primo libro, ne sono uscite solo alcune parti sulla rivista “Aevum” e su un paio di riviste universitarie americane. Nel tempo Marco Aurelio mi ha sempre portato fortuna e mi è piaciuto vederlo sullo schermo interpretato da Richard Harris ne “Il gladiatore” (la sua figura è fisicamente e filosoficamente credibile anche se storicamente quello che racconta il film è falso, non morì infatti assassinato dal figlio) e sono rimasto strabiliato quando al cinema Hannibal Lecter suggerisce a Clarice Sterling ne “Il silenzio degli innocenti”: “Semplicità agente Sterling, semplicità come sosteneva Marco Aurelio”. Marco Aurelio è stato nel tempo l’unico imperatore studiato e rispettato da principi, monarchi, pensatori e serial killer letterari. I suoi “Pensieri” (o “a se stesso”) sono ancora oggi una lettura illuminante per chiunque affronti con coraggio la vita.

Ci racconti un giallo irrisolto dell’antichità? Secondo te come andò veramente?

Mmm, in realtà questa domanda la dovresti fare a Danila Comastri Montanari o a Valerio Massimo Manfredi che sono sicuramente più preparati di me. Se dovessi scrivere però su qualcuno dei personaggi che ho studiato all’Università credo che mi divertirebbe parlarvi di Zenone di Elea. Prima che mi chiediate chi era posso solo dirvi che era un filosofo-matematico greco nato intorno al 490-500 a.C., discepolo di Parmenide e autore dei celeberrimi paradossi di Achille e la Tartaruga, della freccia, e dello stadio (capaci di negare la molteplicità e il movimento) e che Aristotele definisce come l’inventore della dialettica. Per tutta la vita Zenone si oppose alla tirannide presente nella sua isola e arrivò ad ordire una vera e propria congiura per abbattere il dittatore locale. Catturato dai suoi sgherri venne sottoposto a indicibili torture perché confessasse i nomi degli altri cospiratori. Allo stremo delle forze disse ai suoi carnefici che avrebbe rivelato l’identità dei suoi compagni solo al tiranno stesso. Questi scese nelle segrete e si avvicinò al prigioniero che cominciò a sussurrare qualcosa con voce flebile.

Il tiranno accostò l’orecchio alla bocca di Zenone e il filosofo in un impeto di forza cerco di staccarglielo a morsi. Le guardie riuscirono a separarli e Zenone riuscì a mozzarsi di netto la lingua con i denti sputandola in faccia al tiranno.  Il reggente, per tutta risposta, tenendosi l’orecchio sanguinante con una mano chiese che il pensatore venisse stritolato in un mortaio davanti ai suoi occhi.

Hai capito quanto splatter potessero essere i miei studi universitari quando leggevo storie del genere…

Hai collaborato (e collabori) a quotidiani come “Il Giornale” o a riviste come “Max” e “Suono” in qualità di critico musicale. Se tu dovessi spiegare a una persona priva di udito cos’è la musica, cosa diresti?

In realtà ho scoperto che anche le persone sorde hanno una percezione del suono estremamente forte. Toccando superfici in legno o certi oggetti ne percepiscono in maniera forte le sensazioni. Inoltre è facile abbinare il suono ai colori o a certi odori per cercare di spiegarne la grande forza emozionale. Credo che certe musiche e certi dischi in particolare si possano raccontare anche per immagini oppure usando la grande tavolozza della letteratura. Carlo Lucarelli in “Almost Blue” credo che sia riuscito a catturare molte di queste sensazioni creando un protagonista cieco che dà alla musica uno spazio speciale proprio nel mondo dei colori. Probabilmente se dovessi suggerire un libro che spiega bene il concetto di suono, suggerirei quello di Carlo assieme a “Miserere” di Jean Cristopher Grangè che spiega in particolare la pericolosità dell’uso di certe note acute.

E se dovessi proseguire la spiegazione specificando cos’è il rock, un genere musicale da te molto amato? 

I Rolling Stones ti risponderebbero “It’s only rock and roll, but I like it”. Il rock è energia, anticonformismo, coraggio, vita. Quando spesso uno mi chiede “come stai?” Io rispondo sempre “alive and kicking” citando i Simple Minds, perché credo che sia difficile trovare una definizione così calzante per descriverci vivi. Non riuscirei a vivere senza il rock, mi troverei scarico, staccato per sempre dalle mie emozioni. Forse è per questo che lo ascolto tutto il giorno e cerco di contagiare più persone possibili con certi dischi. Anche i miei  bimbi quando mi chiedono un cd da mettere nello stereo, spesso mi dicono: “adesso vogliamo che ne metti su uno vero, uno di quelli tuoi, uno rock”. E anche loro sanno istintivamente distinguere fra quelli che ti prendono allo stomaco e scatenano la voglia di saltare e ballare da quelli piatti che non riescono a farti volare con le ali della fantasia.

Hai editato diversi saggi tra cui “Stephen King: L’uomo vestito di incubi” (insieme a Stefano Priarone). Dal titolo si evince quanto stretta sia la compenetrazione, nelle sue opere, tra quotidiano e fantasia. É questa la tesi conclusiva del saggio?

Il fantastico irrompe nel quotidiano in tutti i libri di King, scrittore che ha saputo narrare ai suoi lettori quanto sia labile la separazione fra realtà e fantasia. Il babau è davvero sempre sotto il letto, pronto a trascinarci via con le sue mani se mettiamo male i piedi sul pavimento. É difficile spesso distinguere fra sogni ed incubi, solo chi è iperazionale crede di poter dominare il quotidiano, scontrandosi con l’impossibilità di farlo e spesso impazzendo proprio perché certi conti non tornano o qualcosa risulta anomalo, diverso, inspiegabile. L’idea mia e di Stefano Priarone, che ha scritto appassionatamente assieme a me quel saggio, era di raccontare King attraverso le sue passioni per il cinema, la letteratura, il fumetto, la musica, cercando di spiegare quanto si sia lasciato contaminare dagli altrui immaginari per poter creare il suo. Da “fedeli lettori” (come ci definirebbe lui) abbiamo tributato il nostro grazie a un amico che ci ha insegnato letteralmente a non dormire.

Credo che King sia in assoluto lo scrittore che meglio abbia trattato temi come quello del rapporto fra scrittura e scrittori, fra scrittori e lettori, fra letteratura immaginata e letteratura scritta, oltre al mondo della crescita adolescenziale e degli sviluppi possibili della dimensione della paura.

Sei il conduttore di una seguitissima trasmissione radiofonica per Radio Due, “Tutti i colori del giallo” (in onda il sabato e la domenica dalle 13 alle 13.30 su Radiodue). Hai visto alternarsi diversi ospiti sia internazionali (Ken Follett, James Ellroy, John Grisham, Michael Connely, Michael Crichton, Joe Lansdale, Jeffrey Deaver, Luis Sepulveda) che nostrani, da Lucarelli e Camilleri, e mi fermo qui perché la lista sarebbe lunghissima. C’è una differenza tra l’atteggiamento degli autori esteri nei confronti delle discussioni sui generi e i nostri? Cosa dicono i big internazionali, sulle distinzioni di genere, sulle contaminazioni, etc?

Diciamo che parole come giallo, noir, thriller, kriminal roman suonano in maniera diversa a seconda dei paesi in cui si pratica la letteratura di suspense. Negli ultimi anni continuo a trovare scrittori che amano leggere gli altri autori e ai quali piace essere contaminati, c’è poi chi si sente più vicino all’immaginario dei pulp e dei fumetti come Lansdale e chi preferisce invece lasciarsi contaminare dalle visioni cinematografiche come Deaver, chi fa tesoro del suo lavoro di ex cronista di nera con Connelly e chi trae ispirazione dal suo lavoro medico come Cook o la Reichs, chi predilige il jazz come John Harvey e chi il blues come Sallis. Tutti però sono consapevoli della forza del genere narrativo che usano ed amano leggere altri autori di genere. C’è chi ama sperimentare, chi invece preferisce i clichè. Chi usa scalette rigide, chi invece scrive la storia vivendola in prima persona come fa King. É impossibile generalizzare. L’unica cosa sulla quale tutti concordano è che da almeno una trentina d’anni giallo e noir hanno assunto una connotazione di romanzo sociale che ne fa una letteratura spesso d’inchiesta e non solo di pura evasione.

E tu cosa dici quando la gente ti rivolge la domanda trita, ritrita e usurata, ovvero ti chiede che differenza intercorra tra giallo e noir?

Io dico che trovare etichette è solo un rimedio dei critici per inscatolare i generi e classificare in qualche modo gli scrittori.

Il pubblico sa benissimo cosa legge e cosa assaggiare e non ha bisogno di definizioni che rischiano sempre di essere strette, soprattutto in un’epoca come la nostra dove la contaminazione è diffusa. Stare a cavillare su certe definizioni è sterile. In Italia per convenzione, dal 1929, dopo la creazione della collana Giallo Mondadori, si usa più spesso la parola giallo, mi sembra bella, colorata e capace di contenere un po’ tutti i colori di una letteratura estremamente variegata.

C’è mai stato qualche momento di suspense durante la tua trasmissione “Tutti i colori del giallo”? Ci racconti un aneddoto?

Beh, quando ci hanno staccato la linea da Courmayeur al Noir in Festival proprio 5 minuti prima della messa in onda; quando un punk a bestia ha cercato di caricare il questore di Bologna sotto i portici della questura durante una diretta dal Premio Fedeli; quando il regista Roger Corman non si è presentato a una diretta e siamo stati salvati al volo da Valerio Varesi e dal suo Commissario Soneri; quando hanno tagliato il collegamento a Corrado Augias e l’abbiamo recuperato sul telefonino che mai e poi mai va acceso in studio a causa delle scosse elettriche; insomma ogni volta che siamo in diretta può succedere di tutto.

Un ospite che ti ha sorpreso

Ruth Rendell, è stato difficilissimo intervistarla, perché rispondeva solo a monosillabi.

Un ospite che ti ha incuriosito

Lorella Cuccarini che ci ha raccontato le sue paure da bambina con un’innocenza e una disponibilità incredibili.

Un ospite che ti ha divertito

Beh, in assoluta lo scrittore più divertente e magnetico che abbiamo avuto spesso ai nostri microfoni è stato Andrea Camilleri. É capace di farti cappottare dalle risate quando racconta i suoi aneddoti ed è una vera e propria miniera di storie, un grande affabulatore, un uomo di una generosità umana incredibile.

Sei redattore presso la Sergio Bonelli Editore per la Collana Almanacchi ma sei anche scrittore (racconti tra cui uno per l’antologia Misteri, 1992, Camunia. Diversi saggi tra cui “Delitti di carta nostra”, per le edizioni Puntozero e l’antologia del brivido “L’assassino è il chitarrista”, curata assieme al musicista Franz Campi. Nel 2002 è uscita la monografia sul thriller italiano “Tutti i colori del giallo”, Marsilio Editori, e il saggio “Mr Fantasy - Il mondo segreto di Tolkien” scritto a 4 mani con Stefano Priarone, Passigli). Qual è lo shining del giallo?

Il giallo ha la capacità di tenerti letteralmente incollato a una seggiola con il fiato sospeso. Amo essere spaventato e non accorgermi che ho già letto 350 pagine di un libro e continuare ad andare ad avanti finché non l’ho finito. Spesso non mi accorgo di quello che mi succede intorno, tanto sono preso da certe storie.

Ricolleghiamoci alla monografia sul thriller italiano, “Tutti i colori del giallo” (che ha dato il nome alla trasmissione radiofonica dall’omonimo titolo). Semplificando, come ti sembra che stia mutando, il giallo in Italia? 

Il fenomeno del giallo italiano è iniziato sul finire dell’Ottocento e non ha ancora finito di riservarci sorprese e ribollire, difficile dire quali percorsi intraprenderà perché per fortuna i nostri autori sono sempre stati al passo con i tempi. Posso dirti che adesso più che in passato sono una sorta di grande famiglia che si conosce, si contamina, viaggia insieme o separata, avendo il coraggio di sperimentare. Io mi sono ritagliato una bella seggiola sulla quale mi siedo sempre a leggere meravigliato da quello che ci viene proposto.

Tre fumetti, tre libri, tre film e tre CD musicali che ti porteresti sulla Luna. (fingiamo che ci sia l’attrezzatura per ascoltarli; -))

In realtà avrei bisogno di un tir, ma dovendo usare solo uno zainetto inserirei questi classici:

Watchmen

Maus

Sin City

E per i cd:

Back In Black degli AC/Dc

Joshua Tree degli U2

Permanent Vacation degli Aerosmith

Cos’altro ti porteresti? (Massimo 5 cose)

Il dvd di “The Blues Brothers”

“L’Isola del Tesoro” di Robert Louis Stevenson

Un coltello multi uso

Una borraccia

E la mia tribù (ovvero mia moglie e i miei 4 bimbi), che considero una cosa sola visto la nostra attitudine a fare tutto insieme.

 

Hai sceneggiato la versione a fumetti del romanzo di Massimo Carlotto “Arrivederci amore, ciao”, disegnata da Andrea Mutti e colorata da Angelo Bussacchini. (ristampata da Oscar Mondadori, collana Alta Criminalità). Cosa acquista, l’arte, nel passaggio dal romanzo al fumetto?

Quella di “Arrivederci amore, ciao” a fumetti è stata una bella sfida.

Massimo ci chiese di adattare in piena libertà la sua storia e noi abbiamo cercato di mantenerci dove possibile fedelissimi sia ai dialoghi sia agli sviluppi narrativi del suo noir. Ovviamente trasformare un romanzo in una graphic novel vuol dire regalargli un nuovo ritmo visivo, reinventarla e per certi versi riscriverla. Pensa che la morte dell’Alligatore, che apre il volume nel romanzo di Carlotto e occupa solo 3 righe, nel fumetto l’abbiamo sviluppata in 6 pagine. Ci siamo poi divertiti molto a ripristinare, su richiesta di Carlotto, il finale originario della storia che venne tagliato su suggerimento della sua editor. L’adattamento secondo noi è riuscito proprio per il fatto che abbiamo lavorato tutti come una squadra affiatata in cui ognuno ha dato consigli e ha messo cuore e anima, da Mutti al colorista Busacchini, da Carlotto al nostro editore francese Glenat, da quello italiano BD alle Edizioni E/O che ci hanno concesso questa splendida occasione. Sono orgoglioso che il nostro progetto sia stato poi usato come story board per il film che ha realizzato Michele Soavi e che siamo riusciti in così breve tempo ad essere pubblicati in Francia, Italia, Spagna, Brasile. Anzi ti do un’anticipazione: fra quale settimana il “Corriere della Sera” ripubblicherà un’edizione speciale del nostro fumetto in un volume tutto dedicato al noir dove saremo in compagnia dello Sconosciuto di Magnus e del Commissario Spada di De Luca.

Ti rivolgo una domanda che amo fare a chi in qualche modo si è occupato di fumetto: cosa rispondi a coloro che lo considerano un genere di seconda categoria?

Mmmm, direi che basterebbe consigliare loro di recuperare quello che hanno scritto e disegnato autori come Alex Raymond, Wil Eisner, Alan Moore, Frank Miller, Neil Gaiman, Dave McKean, De Luca, Hugo Pratt, Winsor MCCay, Art Spiegelman, Sergio Toppi, Alex Toth, Faoy Goffredson, e tanti altri. Credo che dopo averli assaggiati cambieranno opinione.

Progetti per il futuro?

Ovviamente continuo a superlavorare a “Tutti i colori del giallo” che occupa veramente uno spazio enorme nella mia creatività. Inoltre sto per realizzare l’adattamento a fumetti di alcune storie di Lucarelli (con la complicità di Mauro Smocovich), e una mega storia di pirati tratta da Bjorn Larsson. Poi, come molti sanno, sto lavorando da tempo assieme a Cecilia Scerbanenco alla biografia ufficiale di suo padre per Garzanti.