Appena uscito per Zona Editrice, Carenze di Futuro è il quarto romanzo di Roberto Saporito (dopo “Anche i lupi mannari fanno surf”, “Eccessi di realtà” e “Millenovecentosettantasette”), cui vanno aggiunte le raccolte di racconti degli esordi (“Harley Davidson” e “H-D”) e numerose partecipazioni a concorsi e antologie.
Si tratta di un romanzo breve, che fa propri i luoghi tematici e stilistici del genere noir (e in particolare del noir francese) declinandoli in una chiave esistenziale che ne è il vero tratto peculiare e informa le centoquattrodici pagine e i molti brevi capitoli in cui si articola.
Il primo dei quali si apre sul protagonista che dopo aver dissolto per colpa del gioco il consistente patrimonoio familiare ed essersi indebitato con un cravattaro, accetta l'aiuto di un amico, Bruno, il quale mette a sua disposizione un alloggio all'interno del resort che possiede a Grau du Roi, nel Sud della Francia, durante la stagione morta. In attesa che le acque, come si suol dire, si calmino.
Naturalmente non tutto andrà per il verso giusto, e ci sarà da scamparla per il rotto della cuffia parecchie volte, ci saranno rivoltellate e personaggi bizzarri (tutti segnati in qualche modo dalla vita) nella storia di questa fuga che proseguirà verso una Parigi dissolta in puro simbolo di riscatto.
Dalla provincia opprimente certo, da una vita spesa male contro ogni previsione, ma in fin dei conti e soprattutto da sé stessi. Allora, questa fuga si trasforma in un processo di spogliazione spinto alle massime conseguenze, in fondo al quale si rinviene il vero nodo tematico del romanzo – è lecito chiedersi quanto ci sia dell’autore in questo – ovvero il disagio tutto interiore del protagonista nei confronti della vita, raccontato attraverso un continuo disilluso volgersi indietro a registrare le tappe di un fallimento scritto fin da subito e così a fondo nella sua carne da non poter essere estirpato.
Ecco allora l'incedere lieve, sempre attento ma inesorabile della narrazione. Specie nella parte centrale e finale del romanzo, benissimo scritte, nelle quali gli intrecci vengono via via risolti e molto sangue viene versato senza che questo serva a saldare veramente i conti di alcuno. Il passato e il futuro del protagonista si abbracciano, si fondono insieme e mettono in scacco lo scorrere del tempo, allora non esiste più un solo istante sul quale lui possa intervenire con una decisione modificando gli eventi, è egli stesso un evento fra i molti di cui ormai non può essere altro che il cronista.
Ecco allora la scena conclusiva, il protagonista in sella al velosolex di una ragazza incontrata e persa per sempre lungo la strada, come l’auto scassata abbandonata senza rimorsi, come la moglie Francesca che ama inutilmente, come la figlia talmente piccola da non poter contare di sopravvivere neppure nel suo ricordo. Una scena nella quale gli non è più solo un uomo, ma è ormai diventato ogni uomo. L’intreccio narrativo si smembra, si disarticola svuotandosi di ogni significato, dimenticato lui stesso lungo il cammino. Spoglie, ognuna di esse, oltre le quali avanza da chiedersi se esista davvero qualcosa oltre tutto questo. Oltre il tratto di strada percorso ogni giorno e la fatica, accolta finalmente come un conforto, necessaria a colmarlo.
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