Hai viaggiato e vissuto molto all’estero, sei tradotto e conosciuto in diversi paesi. In che cosa, questo contatto col mondo, ti ha arricchito personalmente e professionalmente?

Non riesco a vivere senza viaggiare. Essere “altrove” mi permette di pensare alle mie storie con la giusta distanza e di riflettere con maggiore pacatezza sollecitato da stimoli di culture diverse. Inoltre confrontarmi con editori e lettori stranieri permette di ragionare sul proprio lavoro a partire da percezioni molto differenti delle storie e dei personaggi.

“L’amore del bandito”, appena uscito per Edizioni e/o, si può definire un noir di malavita e d’amore?

E d’inchiesta. Diversi piani narrativi che si fondono in un romanzo che vuole fare il punto sulle infiltrazioni mafiose nel Nordest italiano. Ma tutti, buoni e cattivi, amano e sono amati e per me è stata l’occasione per creare un intreccio dove tutti alla fine sono costretti a scegliere per “amore”.

Marco Buratti, l'Alligatore già presente in precedenti romanzi, è un detective illegittimo senza licenza. Pensi che contribuisca al fascino del personaggio questa irregolarità?

Certamente sì. E anche la sua fragilità. L’alcol, le donne… e i suoi errori lo rendono profondamente umano. Il punto di vista marginale di questo personaggio mi permette di raccontare ambienti e luoghi con disincanto e malinconia. In lui insomma tutto è in qualche modo irregolare e Marco non fa nulla per rientrare nei ranghi.

Ci racconti qualche segno particolare dell’Alligatore?

In sei romanzi e due racconti non ho mai descritto questo personaggio. Oltre al nome e alla professione e alla passione per blues e calvados non potrei aggiungere altro. Sto aspettando la storia giusta per scoprire e svelare il resto.

Sei uno scrittore che può annoverare molti romanzi. Solitamente come procedi nella scelta del titolo?

Prima la storia, poi il titolo che è sempre frutto di lunghe meditazioni. Lo annuncio e osservo le reazioni. Solo quando mi convince inizio a scrivere la trama.

Ne “L’amore del bandito” i passaggi temporali e biografici svelano indizi per comprendere anche quanto la criminalità si sia evoluta, globalizzata, istituzionalizzata. Cosa pensi di questo fenomeno, in quanto studioso del mondo delinquenziale?

Sono preoccupato. Non solo per l’entità della presenza criminale nei nostri territori ma soprattutto dell’assenza di informazione adeguata nell’opinione pubblica. Un paese che ignora quanto sta accadendo è debole e impreparato. La consapevolezza invece è un’arma temibile in grado di cambiare la realtà.

In merito alla vita vissuta e alla storia, hai dichiarato che “la memoria non deve essere culto”. Quali sono le coordinate per darle la giusta dimensione?

La memoria ha senso solo se coltiva la verità e non diventa culto, mito. In questo modo diventa un agile strumento per costruire presente e futuro. Questo Paese ha poca memoria perché ha perduto il senso della verità.

Il personaggio del bandito, alias Beniamino Rossini, è un antieroe cui il lettore tende ad affezionarsi maggiormente rispetto ad altri personaggi. Cos’ha lui, letterariamente parlando, che altri non hanno?

Beniamino da sempre è il personaggio preferito della serie. Saggio, deciso, “giusto”, con una sua etica e galante, simpatico, intrigante. Come mi hanno detto molti lettori è l’amico che uno vorrebbe avere al suo fianco nei momenti di difficoltà o di fronte a una profonda ingiustizia.

In molte tue opere è riscontrabile l’elemento autobiografico. Ci spieghi quali sono gli strumenti per passare dall’autobiografia alla finzione? É vero che è necessario prendere le distanze dalla propria vita per trasformarla in senso narrativo? Come si realizza il distacco dalle vicende vissute?

Si deve guardare al proprio vissuto dalla finestra di un albergo di una città sconosciuta. È la giusta distanza per analizzare il passato e fare i conti con il destino. Il trucco è non perdere troppo tempo e dosare saggiamente l’autobiografia nella narrazione.

Non c’è cosa più noiosa delle esagerazioni in questo campo.

Hai scritto con Francesco Abate, “L’albero dei microchip”(Verdenero). La storia si svolge intorno ad un reato ambientale molto nocivo: il sotterrare vecchi computer. Uno smacco alla legge e soprattutto all’ambiente: chi lo fa punta a risparmiare affidandosi a società fittizie che dirotteranno il pattume tecnologico in Africa. Risultato: questo pattume verrà bruciato grazie a un lavoro di manodopera svolto da bambini-schiavi. Che tipo di emozioni hai provato durante la fase di documentazione?

Sconvolto dalla sorte di questa infanzia africana destinata a vivere poco e in modo disumano ho pensato spesso a Richard, il ragazzino ruandese, orfano dello sterminio, che ho adottato a distanza. Ho sue notizie due volte l’anno (sembra impossibile nell’era di internet eppure è proprio così) quando volontari o religiosi si recano nel suo villaggio a 40 chilometri da Kigali. Avevo saputo che si era ammalato di malaria ed ero molto in pena. Per lui e per gli altri che respiravano i fumi letali del nostro consumismo e della nostra indifferenza.

Non è la prima volta che scrivi a 4 mani (cito, ad esempio i romanzi “Nordest” o “Mi fido di te”). Ci spieghi come vi organizzate durante la stesura del libro?

Il trucco per lavorare a più mani è di scrivere la trama come se fosse una sceneggiatura e dividere poi le scene tra gli autori. Alla fine qualcuno deve omogeneizzare la scrittura con un unico stile ma è un sistema che funziona molto bene.

Ci dai una definizione di noir, in seno anche alle sue attuali diramazioni? Perché piace tanto al pubblico, credi che vi sia un collegamento col periodo storico o è solo una questione di casualità del gusto?

Le definizioni del noir oggi sono numerose, frutto di elaborazioni personali degli autori. La mia è che il noir è una scusa per raccontare “altro” e cioè la realtà che circonda l’intreccio della trama. Piace al pubblico perché fruga e stana storie che ormai il giornalismo racconta sempre meno.

Il genere è sempre stato letteratura sociale nel senso che ha sempre descritto la società in cui ambientava le storie e questa caratteristica continua a essere il tratto dominante.

Ci anticipi i tuoi prossimi progetti? Siamo sicuri che ne hai almeno due in cantiere...

Giusto. I prossimi due romanzi della serie dell’Alligatore che completeranno la trilogia iniziata con l’amore del bandito.

 

Bibliografia

Romanzi  

Il fuggiasco, Roma, Edizioni e/o, 1995.  

La verità dell'Alligatore, Roma, Edizioni e/o, 1995.  

Il mistero di Mangiabarche, Roma, Edizioni e/o, 1997.  

Le irregolari. Buenos Aires horror tour, Roma, Edizioni e/o, 1998.  

Nessuna cortesia all'uscita, Roma, Edizioni e/o, 1999.  

Il corriere colombiano, Roma, Edizioni e/o, Roma, 2000.  

Arrivederci amore, ciao, Roma, Edizioni e/o, 2001.  

Il maestro di nodi, Roma, Edizioni e/o, 2002.  

L'oscura immensità della morte, Roma, Edizioni e/o, 2004.  

Niente, più niente al mondo, Roma, Edizioni e/o, 2004.  

con Marco Videtta, Nordest, Roma, Edizioni e/o, 2005.  

La terra della mia anima, Roma, Edizioni e/o, 2006.  

con Francesco Abate, Mi fido di te, Torino, Einaudi, 2007.  

L'alligatore, Roma, Edizioni e/o (I super e/o), 2007.  

Cristiani di Allah, Roma, Edizioni e/o, 2008.  

con i Mama Sabot, Perdas de Fogu, Roma, Edizioni e/o, 2008.  

con Francesco Abate, L'albero dei microchip, VerdeNero, 2009.  

L'amore del bandito, Roma, Edizioni e/o, 2009.  

Racconti  

Il confronto, in Tecla Dozio (a cura di), Delitti sotto l'albero. Todaro editore, 1999.  

Champagne per due, in Tecla Dozio (a cura di), Capodanno nero. Todaro editore, 2000.  

Il viaggio di Stefano, in Tutta un'altra vita. Roma, Minumum Fax, 2001.  

Malavita albanese in Laura Lepri (a cura di), Albania, questa sconosciuta. In viaggio con il Premio Grinzane Cavour. Editori Riuniti, 2002.

Carlo Marx e l'impresario, in Nel Grembo del mondo, Ed. Angolo Manzoni, 2003.  

Sassi, bottiglie e candelotti, in Paola Staccioli (a cura di), Piazza bella piazza. Roma, Nuova Iniziativa Editoriale, 2004.  

Gaia, in Laurent Lombard (a cura di), À table!. Métailié, 2004.

San Basilio, 8 settembre 1974, in Paola Staccioli (a cura di), In ordine pubblico.  

Morte di un confidente, in Crimini, Einaudi, 2005.  

Il piccolo patriota padovano, in Giosuè Calaciura et al, Ricuore. Nuoro, Edizioni Il Maestrale, 2005.  

Il traghetto in Le finestre sul cortile. Frammenti d'Italia in 49 racconti. Quiritta, 2005.  

Sangue che va sangue che viene, in Marco Bariletti et al, Lama e trama Vol. 3. Bologna, Editrice Zona, 2006.  

Storia di Gabriella vedova di mala, in Serge Quadruppani (a cura di), 14 colpi al cuore. Racconti inediti dei migliori giallisti italiani. Milano, Mondadori, 2002. Collana: Il Giallo Mondadori, n. 2789.

Cuori rossi, in (a cura di) Marco Vichi. Città in nero, 1 ed. Parma, Ugo Guanda, 2006.  

Jasmine in Francesco Abate e Massimo Carlotto. Catfish. Reggio Emilia, Aliberti editore, 2006.  

Nessun dubbio: omicidio-suicidio, in Mauro Zola (a cura di), Ti amo, ti ammazzo. Storie vere di amanti e assassini, Cairo Editore, 2007

Little dream, in Giancarlo De Cataldo (a cura di) Crimini italiani. Torino, Einaudi, 2008.  

Cortonese station, in Nero perugino. Perugia, Futura soc. coop., 2008 (edizione fuori commercio).

 

Saggi  

Come un rito collettivo in Almanacco Guanda a cura di Ranieri Polese. Parma, Guanda, 2005.

Patotas in Nessuna Pietà a cura di Luca Scarlini. Adriano Salani editore, Milano 2009

 

Graphic novel  

Massimo Carlotto e Giuseppe Palumbo. L'ultimo treno. Edizioni BD, 2004.  

Massimo Carlotto, Luca Crovi & Andrea "Red" Mutti. Arrivederci amore, ciao, in Eraldo Baldini et al. Alta criminalità. Mondadori, 2005.  

Massimo Carlotto e Igort. Dimmi che non vuoi morire. Milano, Mondadori, 2007.  

Massimo Carlotto e Giuseppe Palumbo. Tomka. Il gitano di Guernica. Rizzoli, 2007.  

 

Racconti per ragazzi 

Massimo Carlotto. Il giorno in cui Gabriel scoprì di chiamarsi Muguel Angel. Trieste, Edizioni EL, 2001.  

Massimo Carlotto. Jimmy della Collina. Trieste, Edizioni EL, 2002.