Un autore olandese ultrasettantenne (è nato nel 1931), Janwillem van de Wetering, dai molteplici interessi culturali e dalla vita errabonda; una quindicina di mystery tra il 1975 e 1997 scritti durante il suo soggiorno negli Stati Uniti, pubblicati in inglese ma ambientati per lo più ad Amsterdam; una coppia di poliziotti, il sergente maggiore Henk Grijpstra e il sergente Rinus de Gier, che risolvono i loro casi con l’aiuto e/o la supervisione del loro anonimo superiore, il sovrintendente; una collana italiana, “TeaDue”, che decide, a distanza di quasi trent’anni dalla sua prima comparsa sul mercato internazionale, di offrire al pubblico italiano l’intera serie che solo qualche appassionato ricorderà in una velocissima comparsa nei benemeriti (e defunti) “Gialli Garzanti” degli anni Settanta: miscelate il tutto e avrete una delle novità più interessanti del nostro panorama editoriale degli ultimi mesi.
Il terzetto di investigatori, non c’è che dire, è ben assortito: Grijpstra è un uomo corpulento di mezza età, con un matrimonio infelice sulle spalle (ma rimane con la moglie e i figli nella sua casetta nel centro di Amsterdam) e con un segreto amore per la batteria; de Gier è un single giovane, atletico, affascinante che vive in periferia con un gatto e suona il flauto (col collega improvvisa delle jam session non precisamente apprezzate dai loro colleghi della Polizia Municipale); il sovrintendente, che ha combattutto nella Resistenza, è un concentrato di saggezza ed eleganza, temprato dal dolore fisico (lancinanti dolori alle gambe) che gli tiene quotidianamente compagnia.
Sullo sfondo la metropoli olandese di cui si preferisce narrare l’utopia multietnica e la liberalità dei costumi (quando già all’orizzonte appaiono le prime inquietanti crepe, quelle che, ormai lo sappiamo, porteranno, decenni più tardi, all’assassinio del regista Theo Van Gogh) piuttosto che il fascino da cartolina dei suoi canali e delle sue bellezze architettoniche.
Certo, nei romanzi della serie, e anche questo non fa eccezione, le forze dell’ordine si muovono in un’atmosfera un po’ rarefatta, da serra: abituati come siamo a misurarci con gli incubi metropolitani del nuovo secolo, i furfanti (ma anche assassini) che si celano sotto soprannomi da cartoni animati come il Gatto, il Topo, la Mosca, sembrano reperti fossili di un mondo che non esiste più.
Tra un bicchierino di buon jenever (l’antenato meno nobile del gin) e un bel boccale di birra, sfila sotto i nostri occhi quell’Olanda che avremmo cominciato a conoscere (e taluni a sognare) qualche anno più tardi: i quartieri a luci rosse, le prostitute in vetrina, gli immigrati dal Medio Oriente e dalle ex colonie, la droga venduta in pieno centro, la tolleranza nei confronti degli omosessuali.
E questo fascino un po’ datato, letterario se vogliamo, compensa, almeno in questo romanzo, indagini non esaltanti sotto il profilo della supense (la morte di un eccentrico e depresso abitante del quartiere degradato dell’Argine), la mancanza di colpi di scena finali (l’omicidio matura in un contesto di sgarri tra ricettatori), la ricercata complementarità di Grijpstra e de Gier, abilmente orchestrati (è il caso di dirlo, vista la loro passione per la musica) dal loro sovrintendente, e la loro propensione a esternare una filosofia di vita un po’ troppo spicciola.
In ogni caso, come si direbbe di uno spettacolo teatrale o cinematografico, l’opera vale il prezzo del biglietto: artigianale, dignitosa, non priva di una tensione letteraria messa però al servizio dell’intreccio. Romanzi così, verrebbe voglia di “filosofeggiare” alla Grijpstra & de Gier, non se ne scrivono più molti. Godiamocelo.
Voto 6.5
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