Incontri alla fine del mondo, Conversazioni tra cinema e vita, è un’opera edita da Minimum Fax e curata con passione e competenza da due studiosi del cinema, Paul Cronin e, per l’edizione italiana, Francesco Cattaneo. Chiuse tra l’introduzione di Paul Cronin e l’appendice di Francesco Cattaneo, le Conversazioni con Werner Herzog partono da domande dipanate in una lunghissima ed esauriente intervista che punta a sondare ogni aspetto del cinema e del pensiero di questo grande regista, esploratore, antropologo, poeta, visionario.
I dati biografici ripercorsi sono piccoli intarsi di saggezza e di storia del novecento, ma anche gioielli di ironia, (e ciò sembra un paradosso se si pensa che provengono da un uomo che sostiene di avere difficoltà a comprendere l’ironia!). Quando, ad esempio, viene chiesto ad Herzog di offrire al lettore un’intuizione filosofica per fargli dormire sonni più tranquilli, lui cita, come consiglio, le testuali parole di Hilton, il magnate degli hotel: «Ogni volta che vi fate una doccia assicuratevi che la tenda sia all’interno della vasca.» Oltre a ciò l’intervista diventa pretesto per grandi riflessioni teoriche che trascendono dallo schermo all’intelletto, dal cinema alla vita e viceversa. L’estetica, la sperimentazione sull’immagine, il film-documentario non nel senso più scontato, ma come ripresa volta a documentare una realtà, la concezione della sacralità del pubblico, i significati dell’esistenza, la genesi delle idee, momenti preziosi di storia del cinema e confluenze nella televisione. Molte altre rivelazioni accanto a piccoli dettagli tecnici sui costumi, sugli oggetti di scena, sulle ambientazioni, sulle reazioni degli attori. Scopriamo ad esempio che Klaus Kinski, durante le riprese nella giungla del film “Aguirre, furore di Dio”, fu un attore di difficile gestione: «Nella sua giungla non erano ammesse le zanzare e neppure la pioggia. La prima notte, dopo che la sua tenda era stata montata, ha cominciato a piovere e naturalmente lui si è bagnato. [...] Il giorno successivo abbiamo costruito un tetto di palme sotto la sua tenda. Sentendosi ancora scomodo, Kinski si è trasferito nell’unico hotel di Machu Picchu.»
Un libro esteso ed estendibile, che spazia dal particolare (l’uomo) al generale (l’umanità), che parte biograficamente da Monaco (la città bavarese natìa) ma si dilata al mondo intero, che ripercorre spazi cronologici con la malleabilità e l’intensità del ricordo. Un ricordo che è pellicola e vita vissuta, che spazia dalla base antartica di McMurdo -dove vivono mille persone e solamente durante l’estate australe, un posto inospitale visitato solo da tempeste di vento e ghiaccio e in cui il sole non tramonta mai- all’Africa, esplorazioni tra la natura, gli uomini, gli animali, i paesaggi, i rumori. Un’intervista-saggio di estremo interesse, consigliata sia a chi si accosta per la prima volta alla produzione di Herzog sia a chi già la conosce e desidera approfondirla, sia infine a chi, come spiegano le parole del curatore Francesco Cattaneo, ha colto la grande attenzione dell’artista per l’alterità: «Il cinema di Herzog ci richiede – e con un’intensità davvero unica – di lasciarci condurre in una diversa disposizione: quella per cui il compito di comprendere non è già stato assolto, ma si distende di fronte a noi, in risposta a quell’ignoto che ci chiama in causa, che ci riguarda sempre di nuovo, per quanto noi abitualmente (o meglio: nel modo dell’abitualità) non ne siamo consapevoli. La responsabilità cui siamo chiamati sta nell’imparare a metterci in ascolto, ad aprire le orecchie (de-ostruendole) per riuscire ad accogliere, a ospitare il diverso. Il diverso, l’altro: di questo ne va nel cinema di Herzog – e nel modo più concreto e «fisico» possibile.»
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