Ventisettesimo episodio della saga di Chance Renard (alias Il Professionista) è appena uscito per la collana di Segretissimo l’ultimo lavoro di Stephen Gunn, pseudonimo del produttivo autore Stefano di Marino: Campi di morte.
Un prologo dal sapore epico e subito l’azione parte nella Nigeria petrolifera (si estenderà successivamente in Europa, per chiudere infine il cerchio dov’era cominciata), in paesaggi vastissimi fatti di montagne, paludi, boscaglie, in territori dilaniati da una guerra mercenaria, senza ideali né bandiere, soldati selvaggi che hanno perso lo scopo della battaglia e, sullo sfondo di frontiere sorte dalla globalizzazione, i soliti giochi sporchi di denaro e potere.
Qui la squadra del Professionista -a sua volta composta di professionisti- è alle prese con una missione che sembra impossibile e che ha a che vedere con una febbre emorragica dieci volte più letale di Ebola, una pandemia che non risparmia né uomini né animali. La missione confluisce in un terrifico luogo di non- ritorno, la Città desertica di Cobra Verde, sospesa nel tempo come era centinaia di anni prima. Attorno al Professionista e alla sua Task Force ruotano islamici fondamentalisti, eserciti voodoo composti per la maggior parte da impressionanti bambini-soldato imbottiti di droga, crudelissimi e impietosi.
Affiancano il protagonista personaggi memorabili: donne dai capelli di fuoco programmate per uccidere, ucraini dalle sembianze slave di Frankenstein, una venere nera che guida gli aerei meglio di qualsiasi pilota maschio.
Una spy-story intensa e scritta da un autore che dimostra di conoscere l’attualità e gli eventi geopolitici e che si destreggia in ogni frangente. É uno di quegli autori che danno l’idea di saperla lunga altrimenti non si spiegherebbe come mai il Professionista si muove sempre in situazioni che dimostra di possedere, sia che si lanci con un paracadute (e allora scopriamo trucchi, movimenti, tempistiche) sia che maneggi armi. Concluderei, come sempre, lasciando la parola a Stefano di Marino: «‘Campi di morte’, programmaticamente, non fa sconti a nessuno. Non è una storia buonista o consolatoria. Lo stesso Chance, se vogliamo, è uno psicopatico poco incline al perdono, con un suo rigido codice di comportamento che non pretende di far capire ma che applica con brutalità quando occorre. Perché la missione non è una faccenda per velleitari. L’esitazione, l’ingenuità possono costare la pelle. A chiunque. Per cui Chance e tutti i suoi compagni si trovano proiettati in un mondo violento dove le difficoltà dell’azione bellica, gli intrighi sono solo parte del pericolo. Il terreno di fuoco è tra i più desolati e ostili della terra, infestato da malattie, animali feroci, bambini soldati più feroci degli adulti. Il ritmo della marcia è massacrante.»
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