Ci fa una brevissima presentazione biografica di Sergio Paoli?
Sono nato vicino al mare e ci tengo tantissimo a dirlo. Vivo in campagna e ne sono felice. Amo la musica, la pizza e considero le donne la salvezza dell’umanità. Come scrittore non ho fatto granché per più di 40 anni, poi ho pubblicato dei racconti brevi (Rumori di fondo – MEF), ben accolti dai pochi che li hanno letti. Dopo “Ladro di sogni” ho cominciato seriamente a pensare, a cosa non lo so.
Se ti chiedessi di dirci qualcosa del tuo rapporto con la scrittura? (quando hai cominciato, etc...)
La scrittura è una sorta di ossessione. Non si tratta di girare con il taccuino in mano, ma di storie, idee e personaggi che girano continuamente in testa in attesa di avere una forma compiuta. Prima o poi succede. Scrivere romanzi rende migliore la mia vita. Spero che non peggiori quella di chi li legge. Di certo non fa male a nessuno, per adesso.
Come nasce l’idea di “Ladro di sogni”? Chi sono i ladri di sogni?
Il clima di razzismo diffuso e neanche tanto strisciante che si è diffuso nel nostro Paese da un paio d’anni a questa parte, e che sta producendo i suoi frutti legislativi in questi mesi. Volevo raccontare una storia che ne parlasse, che facesse riflettere sulla faccenda. I ladri di sogni, quelli veri, sono coloro che ci portano via le cose belle, con la scusa di farci stare meglio. In realtà vogliono solo stare meglio loro.
Il vice-commissario Marini è un idealista, in fondo. Ci parli di questo poliziotto dal nome che evoca il mare?
Marini legge, fuma e fa lo sbirro. Crede nella giustizia (con la g minuscola), quella che si realizza se ognuno fa la sua parte (per quanto piccola). Lui cerca di fare la sua. Non si può sempre stare a guardare, d’altro canto, ti direbbe lui.
Si può parlare di letture a più livelli del tuo romanzo?
Si può darne una lettura politica, o sociale se vuoi. A me interessava scrivere una storia di quelle che non ti stanchi mai di girare pagina, utilizzando però temi che stimolino le cellule cerebrali. Avvicente e profonda. Alla Grisham, per esempio. Il livello politico-sociale del romanzo è importante, però lo è di più quello narrativo. Sennò non è un romanzo, ma un trattato di sociologia.
In “Ladro di sogni” hai descritto e fatto parlare personaggi Rom. Come ti sei documentato?
Ho visitato un campo Rom della periferia milanese, ho giocato a pallone con questi ragazzi e ci ho fatto merenda insieme, un bel sabato pomeriggio. M’hanno rubato un cellulare. Poi ricerche d’archivio e tanto Internet.
La tua è una poetica che lascia in disparte l’elemento serenità: «Un romanzo deve cercare di essere perturbante, sollevare domande, dubbi e sforzarsi di non fornire risposte. Ne abbiamo già troppe di certezze di risposte, di pressioni, di alimenti preconfezionati. Credo che molti lettori non vogliano limitarsi a digerire qualcosa, ma vogliano sentire di esserne parte.» Spiegaci meglio questo concetto.
Non è un concetto originale: cito una cosa detta da Wu Ming (la nota band di scrittori).
Per spiegarlo posso dirti questo: guardiamoci intorno. Per il 99% le richieste che ci arrivano, dai media, dalla tv, consistono in: consuma. Per il 99% siamo consumatori, non dobbiamo pensare, solo spendere, e possibilmente, sorridere perché va tutto bene. C’è un fatto: le certezze addormentano, i cibi precotti uccidono. Facciamoci domande e creiamoci dei dubbi. Staremo meglio, perché collegheremo qualche neurone e attiveremo qualche sinapsi che stava atrofizzandosi. Anche se oggi non è facile essere perturbanti: la realtà supera la fantasia. E purtroppo anche di fronte a questo continuiamo a dormire.
Sarà sicuramente successo, a qualche presentazione, che ti abbiano chiesto delucidazioni in merito a giallo e noir. Tu cosa hai risposto?
Che si può semplificare dicendo che il giallo è il CHI o il COME, il noir il PERCHE’. Simenon e Izzo. Agata Christie e Ellroy. Ma si tratta di semplificazioni, appunto.
Non pensi che la suddivisione dei generi – pur senza esasperare troppo – sia comunque un argine di orientamento per il lettore?
Senza dubbio. Il lettore spende soldi, ed è giusto che abbia un’idea di quel che c’è nel libro che sta acquistando. Diventano stucchevoli le discussioni sul genere, tra esperti o addetti ai lavori. Un buon romanzo è un buon romanzo: grandi storie, grandi personaggi. E poi lasciamo al lettore la libertà di trovarci qualcosa di sé.
Qual è lo shining del noir?
Credo sia l’addentrarsi nel lato oscuro, il mostrarci il male, le deviazioni. Il male ha un grande fascino. Raccontarlo (bene) offre la possibilità di scrivere storie che calamitano l’attenzione.
Hai dichiarato che «La presenza della morte è un espediente letterario potentissimo». Perché al lettore piace la morte?
Perché prima o poi tutti scapperemo a Samarcanda, convinti di avercela fatta, e lei sarà lì ad aspettarci. Non può non riguardarci.
Questa domanda è d’obbligo: quali sono i tuoi riferimenti letterari, i tuoi maestri?
Vonnegut, Camilleri, Grisham, Calvino, Pavese. Tanti altri, perché non si smette mai di imparare.
Ci anticipi i tuoi prossimi progetti?
Tra qualche mese uscirà un prequel di “Ladro di sogni”, sempre per Frilli. Marini alle prese con il Potere. In generale Marini si sta prendendo molto spazio nella mia mente e sto ultimando la sua terza avventura. Se e quando uscirà, dipende dal pubblico. Un romanzo storico sull’8 settembre. Tanti racconti. E poi anche mettere un po’ da parte Marini e scrivere altri thriller, con altri personaggi. Il mio principale progetto è di inventare il giorno di 48 ore, però: dici che ce la faccio?
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