«Il signor Merritt era impallidito quando, dopo aver estratto un bel volume con una vistosa stampigliatura che lo proclamava per il “Qanoon-e-Islam”, aveva scoperto che si trattava in realtà del proibito “Necronomicon” dell’arabo pazzo Abdul Alhazred, di cui anni prima aveva sentito sussurrare cose mostruose in relazione a un culto sconosciuto che veniva praticato nel piccolo villaggio di pescatori di Kingsport, nella Provincia di Massachusetts-Bay». Con queste parole, tratte da “Il caso di Charles Dexter Ward” (1927), lo scrittore statunitense Howard Phillips Lovecraft introduceva una fra le sue creature letterarie più apprezzate: il “Necronomicon”, senz’altro il più famoso degli pseudobiblia.
Parlare di questo libro immaginario è molto difficile, perché la sua grande fama ha fatto sì che divenisse morbida creta in mano agli amanti (non sempre in buona fede) dell’occultismo. Più di una fonte, al giorno d’oggi, dà per sicura l’esistenza di questo testo, anche se tenuto segreto, imputando il fatto che Lovecraft abbia ammesso di aver inventato il libro al fatto che non poteva rivelare verità ben più scomode. George Hay lo diede alle stampe in inglese, dicendo di avere ottenuto l’opera traducendo le carte dell’astrologo John Dee. (In Italia quest’edizione è stata tradotta nel 1979 per la Fanucci) Insomma, il “Necronomicon”, che letterariamente apriva le porte a dimensioni e realtà diaboliche, ha in realtà aperto le porte ad una famelica creduloneria!
Qui, però, ci occuperemo solamente dell’esistenza letteraria di questo pseudobiblion, lasciando la sua fantasiosa esistenza reale a persone ben più informate...
In una lettera del 27 novembre 1927 indirizzata all’amico scrittore Clark Ashton Smith, Lovecraft scrive: «Quest’autunno non ho avuto la possibilità di scrivere altri racconti, ma ho preso appunti e schedato trame che mi serviranno per future mostruosità. In particolare ho messo insieme qualche notizia sul famoso e indicibile “Necronomicon” dell’arabo pazzo Abdul Alhazred!». Le “notizie” scritte dall’autore diventeranno intorno al 1929 il racconto/saggio “Storia del Necronomicon” (History and Chronology of the «Necronomicon», pubblicato come opuscolo della Rebel Press, Alabama, solo nel 1938), dove si crea una biografia letteraria di quest’opera che già era stata citata in racconti precedenti e che verrà ancor di più citata in quelli futuri.
Il racconto ha la veste della scheda libraria: «Titolo originale “Al Azif”: questa è la parola usata in arabo per indicare il rumore notturno prodotto da certi insetti, e che si crede sia anche il verso dei demoni. Il testo fu composto da Abdul Alhazred, poeta pazzo di Sanaa nello Yemen, forse fiorito all’epoca dei califfi Omiadi intorno al 700 d.C.». Dopo la morte misteriosa del suo autore, segue una gustosa ricostruzione dei movimenti del testo nel corso dei secoli, fino ad arrivare ad un anno prima della data di scrittura del racconto. «Una voce ancora più vaga attribuisce la conservazione di una copia del testo greco (XVI secolo) alla famiglia Pickman di Salem: ma se anche così fosse, è probabile che sia scomparsa con l’artista R.U. Pickman all’inizio del 1926». In chiusura dello scritto, Lovecraft paga il suo tributo ad un suo illustre predecessore: «Pare che voci riguardanti quest’opera (pressoché sconosciuta al grande pubblico) abbiano ispirato a R.W. Chambers l’idea centrale di uno fra i suoi primi libri, “Il Re in Giallo”.» (di quest’ultimo titolo si è trattato precedentemente in un articolo di questa rubrica)
È un gioco, un divertissement letterario che sa di paradossale: nel 1895 Chambers inventa uno pseudobiblion, “Il Re in Giallo”, che è da ispirazione a Lovecraft il quale a sua volta inventa nel 1927 un proprio pseudobiblion, il “Necronomicon”, a cui però attribuisce la qualità d’esser stato ispiratore de “Il Re in Giallo”... E il cerchio si chiude in una striscia di Mœbius, senza inizio e senza fine!
Lovecraft racconta, in una lettera, che il titolo del libro gli è apparso in sogno, con il significato “La descrizione delle Leggi dei Morti”. “Necronomicon”, infatti, è l’unione delle parole greche “nekros” (morto), “nomos” (legge) ed “eikon” (descrizione). Nel corso degli anni, però, sono state proposte altre varianti, a seconda dell’interpretazione delle parole greche usate. C’è chi dice che significhi “Le usanze dei morti” e chi (come il citato George Hay) dice “Il Libro dei Nomi dei Morti”, forzando l’etimologia ed usando “onoma” (nomi) invece di “nomos”. Trattandosi di una parola inventata (per di più apparsa in sogno!) è difficile scrivere la parola fine a queste diatribe: non si può far altro che rimettersi alla volontà dell’autore che, dichiaratamente, ha inteso la propria creazione con il significato di “La descrizione delle Leggi dei Morti”.
Come si è detto, Lovecraft cita spesso e volentieri la sua creatura all’interno dei propri racconti. «Quest’essere deforme, bruno e caprino, comparve un giorno ad Arkham cercando il temuto volume custodito sotto chiave nella biblioteca dell’università: l’abominevole “Necronomicon” del folle arabo Abdul Alhazred, nella versione latina di Olaus Wormius, stampato in Spagna nel XVII secolo». (“L’orrore di Dunwich”, 1928); «Nel paesaggio c’era qualcosa che ricordava [...] le descrizioni ancora più strane e inquietanti del favoloso, malvagio altipiano di Leng che ricorrono nel temuto “Necronomicon” dell’arabo pazzo Abdul Alhazred. In seguito mi sarei pentito di aver esaminato quel testo d’infamia nella biblioteca dell’università» (“Le montagne della follia”, 1931); «Chiese poi di vedere tutti i libri che avevano a che fare con l’argomento delle culture primitive e dei continenti sommersi; per tre ore rimase seduto a prender note e se ne andò solo per potersi affrettare a Cambridge, dove (se gliene avessero dato il permesso) intendeva dare un’occhiata al temuto e proibito “Necronomicon” custodito nella Widener Library» (“Dall’abisso del tempo”, 1933), e via dicendo.
Ma il successo riscosso dallo pseudobiblion si deve anche ai vari colleghi e successori di Lovecraft, che lo accolsero nei propri scritti, dandogli fama futura. Fra i tanti esempi, ci piace ricordare “La pergamena terribile” (The Terrible Parchment, 1937) di Manly Wade Wellman, in cui il protagonista si vede recapitare a casa una strana pergamena, che altro non è che una pagina del “Necronomicon”, la quale vive di vita propria e soprattutto ambisce ad annettersi le vite del protagonista e di sua moglie. Lo stesso anno appare “Il custode del libro” (The Guardian of the Book) di Harry Hasse, in cui un bibliofilo si azzarda ad acquistare una copia del “Necronomicon” in una libreria, scoprendo poi con orrore di esserne diventato il custode: la sua pena durerà fintanto che non riuscirà a vendere a qualcun altro quella copia!
Col passare degli anni il numero di citazione è andato scemando, ma non si è mai fermato! Nel thriller “L’anima del male” (L’âme du mal, 2002), Maxime Chattam scrive: «Al-Azif. Viene chiamato “la Bibbia nera”. È un libro antichissimo, scritto con il sangue su pagine fatte di pelle umana. Vi sono riportati tutti i sortilegi, tutte le invocazioni demoniache. E la leggenda vuole che questo libro sia in realtà un palinsesto [...], un manoscritto il cui contenuto originale è stato cancellato, per poterci scrivere sopra un altro testo. Si racconta che anticamente l’Al-Azif contenesse segreti che nessun uomo doveva conoscere, e che leggerlo conduceva alla follia. Per questa ragione fu cancellato e diventò una bibbia demoniaca. L’egiziano Abd Al-Azred avrebbe nascosto sotto una nuova stesura il testo originale, risalente all’anno 700.»
Lo stesso anno viene anche “rigirato” per diventare il “Nocimonorcen”, magico libro di incantesimi di cui parla Elekim di Numalia nel racconto “Il Leone e la Tigre” di Michele Tetro. I più svariati autori sono entrati a far parte del gioco dello pseudobiblion, citando il “Necronomicon” nelle biblioteche esoteriche più esclusive, a fianco i illustri “colleghi” come “Il Libro di Eibon” o gli “Unaussprechlichen Kulten” di Von Juntz (di cui si parlerà in seguito).
Fa d’uopo citare un estratto da una lettera che Lovecraft scrisse al giovane amico Willis Conover il 29 luglio 1936: «E veniamo ai “terribili tomi proibiti”, dei quali sono costretto a dire che si tratta in gran parte di opere immaginarie. Abdul Alhazred e il “Necronomicon” non sono mai esistiti, perché io stesso ho inventato i nomi». Tanto per ribadire che è di pseudobiblia che stiamo parlando...
Al contrario di tutti i suoi illustri colleghi letterari, il “Necronomicon” ha avuto anche una discreta fortuna cinematografica.
La sua prima fugace apparizione è del 1963 nel film “La città dei mostri” che, malgrado nei titoli di testa si indichi esser tratto da Edgar Allan Poe e sia intitolato in originale “The Haunted Palace” (il nome della poesia di Poe citata ne “Il crollo della Casa degli Usher”), è la trasposizione cinematografica de “Il caso di Charles Dexter Ward” di Lovecraft: è appena citato, ma serve da trampolino di lancio allo pseudobiblion per conquistare un’altra forma di comunicazione, oltre a quella letteraria!
Nel 1968 ha l’onore del titolo nel film “Necronomicon” (in Italia, “Delirium”) dell’argentino Jesús Franco, ma è solo da richiamo per una storia dai toni forti incentrata su una ballerina di nightclub e sulle visioni provocatele da un oscuro personaggio in platea. Del 1970 è “Le vergini di Dunwich” (The Dunwich Horror), film di Daniel Haller in cui un nobile dedito all’occultismo si approfitta dell’amore di una giovane bibliotecaria della Miskanotic University per avere libero accesso al “Necronomicon”: la stessa trama, tratta liberamente dal racconto “L’orrore di Dunwich” di Lovecraft, verrà affrontata dal cortometraggio “The Book” (2008) di James Raynor.
Il lancio cinematografico del “Necronomicon”, con relativa identità propria in questa forma di comunicazione, avviene sul finire degli anni ’80 quando entra prepotentemente a far parte dell’immaginario fantastico della trilogia di Evil Dead firmata da Sam Raimi. Il primo episodio del 1981 vedeva quattro amici prendere in prestito uno chalet di montagna e risvegliare per caso antichi demoni del bosco; il lungometraggio è un rifacimento di Within the Woods, opera giovanile del regista, e il mezzo per risvegliare i demoni è costituito da un libro sumero: il “Naturom Demonto”. «Si intitola, traducendo letteralmente, “Il libro della morte” - spiega, attraverso un nastro registrato, il professor Raymond Knowby, lo scopritore del testo - è rilegato in pelle umana e scritto con sangue umano. Tratta argomenti demoniaci, spiriti, morti viventi e tutte quelle forze oscure che regnano negli infimi recessi della natura umana. Le prime pagine ci svelano che queste creature eterne sono solo apparentemente morte e che possono essere richiamate in vita con gli incantesimi contenuti in questo libro. Attraverso la lettura di queste formule, ai demoni è concesso di tornare in vita». Ecco un esempio di sortilegio contenuto nel testo: «Kanda... Estradta... Mantos... Bemilas... Nat... Nos Veratos... Kanda... Mantos... Kanda».
In realtà il soggetto è fin troppo simile ad un film del 1970, “Equinox”, in cui sempre quattro amici in gita in un bosco fanno conoscenza del libro diabolico: qui un vecchio scienziato sta interpretando gli strani simboli del Necronomicon (anche qui rilegato in pelle umana) e quando ci riesce mostri e spettri invadono i boschi. Nel 1987 Sam Raimi non possiede più i diritti di Evil Dead (distribuito in Italia col titolo “La Casa”), così nel girare Evil Dead 2 (“La Casa 2”) deve modificare le premesse: gli amici diventano due, da quattro che erano, e il “Naturom Demonto” diventa “Necronomicon Ex Mortis”, indigesto ed illogico neologismo greco-latino che per fortuna verrà abbandonato nel terzo episodio della trilogia, Army of Darkness (in Italia, “L’armata delle tenebre”).
La trilogia di Sam Raimi si basa quasi esclusivamente su geniali trovate stilistico-visive e sulla totale predominanza scenica dell’attore Bruce Campbell: lo pseudobiblion lovecraftiano è poco più che una comparsa nella sceneggiatura, un escamotage per giustificare gli elementi sovrannaturali della storia. Eppure è all’opera raimiana che si dovrà la maggior parte della fama cinematografica del Libro!
Nel film televisivo del 1991, “Omicidi e incantesimi” (Cast a Deadly Spell), è invece protagonista assoluto. Il film, deliziosamente pseudo-hard boiled, racconta di una realtà parallela: degli anni ’40 statunitensi se questi fossero “lovecraftizzati”! L'investigatore privato Harry Philip Lovecraft (interpretato da un Fred Ward in stato di grazia) viene incaricato da un ricco eccentrico di ritrovare un libro di magie, il “Necronomicon”, entro la mezzanotte del giorno dopo, quando cioè alcuni congiunzioni astrali permetteranno al Libro di diventare la chiave fra due mondi; molti però vogliono metterci le mani sopra e l’investigatore, fra maghi e zombie, ne vedrà delle belle. L’opera è divertente e divertita, nonché piena di citazioni lovecraftiane in ogni dove.
Va ricordato infine che il “Necronomicon” è l’unico fra gli pseudobiblia letterari ad esser protagonista di un videogioco! Sia in solitaria in “Necronomicon: the Dawning of Darkness” (2001) sia come elemento di “Evil Dead: A Fistful of Boomstick” (2003), tratto dalla trilogia di Sam Raimi ed in cui il protagonista deve girare parecchio e raccogliere tutti i fogli del Libro smembrato fino a riportarlo alla sua forma originaria.
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