Sulla Breccia, edito dalla casa editrice ravennate Fernandel, è il romanzo d’esordio di un’autrice di Teramo, Caterina Falconi, classe 1963, già segnalatasi per i suoi racconti (è stata vincitrice del premio Teramo 1999 e del concorso Fernandel Fiocco Rosa, 2008).
Oltre una trama in apparenza semplice, quella stagliata su una vita un po’ opaca in un paesuncolo gretto, su un matrimonio stretto avventatamente e per cause di forza maggiore, si stempera una seconda trama, quella esistenziale e complessa di una donna, Silvia Mancini, che sposa Marco pur amando Angelo, che si eleva nell’amore –o nel sogno di esso- oltre le meschinità e le infime battaglie che scandagliano i gesti quotidiani, le distanze relazionali, le rinunce.
Il suo abbandono alla vita si schianta contro le frustrazioni del quotidiano, del luogo comune, del conformismo, delle aspettative che intrappolano in logoranti ma tenaci meccanismi familiari. La sua ansia di vita si risolve dunque in un “lasciarsi vivere”, in un’inerzia languida che è punto debole ma per assurdo è anche la forza che incammina verso il finale e sorprende.
Emblematici sono i personaggi, tutti descritti con intensità, e tra questi ne cito solo alcuni: la madre di Silvia, un tritacarne, l’amica Cinzia, disinibita rossa ossigenata, Rirì che appare e scompare solo con le struggenti sembianze fantasmatiche del ricordo. Nella galleria, resta scolpita l’immagine del tossico Roberto, preludio funereo che lascia, al passaggio tra le pagine, la tristezza della sua storia e un sapore acerbo di morte.
La scrittura è limpida ma potente, a tratti poetica, e non solo negli scorci paesaggistici: «Osservava l’ombra dei cipressi fremere addosso alle pietre brune. Gli alberi nerastri sul ciglio della strada. Il cielo era un risucchio turchino e le rondini lo attraversavano come schegge», ma anche nei momenti intimistici: «In quel periodo i discorsi ringhiati davanti alla televisione, nella fioca luce ballerina dello schermo, assediati dal silenzio della casa che si svuotava, erano monologhi amari».
Un romanzo sia di donne sia di uomini tra le donne, scritto da un’acuta annotatrice dell’animo umano –e dei suoi sbalzi-, con una componente autobiografica come combustibile -come l’autrice ha dichiarato in un’intervista-, e soprattutto uno spaccato letterario molto interessante perché si può affiancare a quella storia delle donne, in anni non troppo lontani e in un'Italia arretrata, di cui questa vicenda può assurgere a paradigma.
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