Mi spiace, ragazzi...
Stavolta, contrariamente alle abitudini di questa rubrica dedicata alla spy fiction, non procederò a “declassificare” l’alias del soggetto di turno.
Perché?
Per un ottimo motivo: in realtà, lo pseudonimo “James C. Copertino” non è un nom de plume elaborato a scopi editoriali, bensì il riscontro ad una reale esigenza di copertura. L’autore intervistato infatti, attualmente opera come consulente per la sicurezza; in precedenza, dopo essere stato ufficiale di complemento in Marina, è passato ai corpi scelti, specializzandosi in paracadutismo, subacquea e trattamento degli esplosivi. Ha partecipato a numerose missioni a livello internazionali, in vari paesi, tra cui Libano, Iraq e Afghanistan. Ha preso congedo dopo la seconda guerra del Golfo.
Colpito dal curriculum, ho ritenuto che fosse il caso procedere all’interrogatorio assieme ad un collega...; ) Abbiamo così condiviso l’intervista con l’amico Angelo Benuzzi, che da qualche mese sta curando per ThrillerMagazine le recensioni alle uscite della collana Segretissimo.
OK, mates. State contenti. A quanto pare, abbiamo un altro specialista italiano nella squadra nazionale dello spy & action thriller: James C. Copertino, aka Jaco, o anche semplicemente JC, per gli amici. Siamo lieti di presentarlo ai lettori di ThrillerMagazine con questa intervista.
Benvenuto JC!
Bentrovati a voi e a tutti i lettori di Thrillermagazine. E’ per me un piacere oltre che un motivo d’orgoglio essere qui oggi. Seguo il vostro magazine e le vostre rubriche da tempo.
Partiamo in discesa, con una domanda canonica: come ti sei scoperto narratore?
E’ una passione prima di tutto. Sono sempre stato un accanito divoratore di un certo genere di romanzi, allo stesso tempo con il pallino fin da giovane di mettere su carta le proprie idee. Il mio lavoro mi ha portato poi a dover immaginare spesso gli sviluppi di determinate situazioni. Scrivere un romanzo è stato il naturale passo successivo. E’ anche un hobby perché il mio vero lavoro è un altro, ma un hobby che affronto in maniera professionale. Nel mio caso scrivere e lavorare sono due processi che si sostengono a vicenda.
Come premesso nel cappello introduttivo, quello di James C. Copertino è uno pseudonimo utilizzato per ottimi e seri motivi. Non ci soffermiamo quindi sulla tua reale identità, ma riteniamo però tu possa invece rispondere ad un’altra domanda, pur se inerente: è davvero questo l’unico alias che hai utilizzato come scrittore? O piuttosto il tuo esordio nel romanzo professionale è avvenuto in precedenza rispetto alla pubblicazion, nel 2008, di “La coda del diavolo”?
Nel trascorso millennio ho gia pubblicato un thriller con un altro pseudonimo. Fu un’esperienza certamente positiva e ricca di soddisfazione. In passato ho scritto anche fiction di altro tipo. Nulla a che vedere con azione e spionaggio, è stato un esperimento divertente, ma si tratta di un settore che al momento non suscita in me particolari ispirazioni di sorta.
Il tuo legame di autore con il thriller d’azione e spionistico pare logico. Qual è il fascino maggiore di questa narrativa? Quali le grandi qualità?
Il thriller spionistico, seppur nato come una costola del giallo, non ha tardato a trovare una identità propria caratterizzandosi a sua volta attraverso diversi sottogeneri.
La qualità principale di un buon romanzo di spionaggio è un’ambientazione curata e uno scenario credibile e dettagliato, all’interno dei quali muovere gli sviluppi di un intrigo che deve sempre sorprendere, eppure essere convincente nella sua apparente non linearità. Un buon romanzo di questo genere è quello che va oltre la storia, mettendo il lettore in condizione di riflettere e aprendogli nuove prospettive sulla realtà narrata contrapposta a quella del mondo che lo circonda.
Gli scrittori e i titoli più rappresentativi?
Questo argomento meriterebbe un intero saggio dedicato. Pertanto, rimanendo in tema di poliziesco, a domanda rispondo:
Ian Fleming con Casino Royale in particolare, il primo della serie, con un James Bond più umano. Jean Bruce Il creatore di Oss 117, e tutta la fortunata serie di un meno fortunato scrittore. Len Deighton e il suo romanzo d’esordio La pratica Ipcress, un caposaldo di genere. John le carrè con la spia venuta dal freddo e La Talpa. Ken follet con Triplo. Il grande Forsyth con il giorno dello sciacallo, l’alternativa del diavolo e il pugno di Dio. Tom Clancy con Senza Rimorso, Robert Ludlum dalla preistoria ai romanzi post-mortem, Grady e i Sei Giorni del Condor.
Devo continuare? J
Se nominiamo Segretissimo, cosa ci dici?
E’ un buon prodotto che negli anni ha saputo rinnovarsi mantenendo uno standard qualitativo sempre elevato ed avendo il pregio di proporre i principali pilastri di genere e anzi, di creare un genere con il coraggio di sperimentare nuove proposte. Ha intrattenuto italiani per generazioni tanto che io ne sono tutt’ora un lettore cosi come mio padre lo era prima di me. Grazie a Segretissimo abbiamo letto Gerard De Villers e Marcinko, mai usciti in libreria in Italia, e abbiamo potuto apprezzare la cosiddetta Foreing Legion: un manipolo di scrittori italiani tutti bravissimi e nel complesso superiori di almeno una spanna alla media degli stranieri. In questo senso devo rivolgere un analogo apprezzamento alla Collana BM-Noir della Armando Curcio Editore, tra le poche con il coraggio di assumersi i rischi dell’affrontare una edicola – peggio che un lancio con il paracadute da alta quota - con titoli che hanno avuto una eccellente risposta in termini di pubblico e che spaziano dal noir puro al giallo storico, passando per i romanzi d’azione, il mistery e perfino un accenno di sci-fi. Fino ad ora anche loro stanno riuscendo a sondare stuzzicare e appagare i gusti di un pubblico sempre più esigente.
Invece, uscendo dal campo narrativo di cui sopra, che influenze ritieni di avere avuto, sempre che ce ne siano di rilevanti? Quali sono gli autori che ritieni imprescindibili?
Ci sono molti scrittori che ammiro per le loro qualità e che certamente mi hanno influenzato direttamente e indirettamente, come modelli ispirativi. Certamente tutti quelli che ho citato in precedenza. Il primo fra tutti è Forsyth che ritengo tra i più rappresentativi del genere spionaggio e action militare.
Di Tom Clancy, invece, ammiro la cura del dettaglio e l’estremo realismo, al punto da rendere alcune delle sue opere dei veri e propri saggi raccontati. Analogamente Patrick Robinson mi affascina per le tematiche trattate e per la sua capacità di comporre le opere muovendo le pedine come uno stratega militare su un campo di battaglia. Tra gli italiani – secondi a nessuno - Stefano di Marino è un vero campione del ritmo serrato, in grado di collegare un numero inimmaginabile di situazioni diverse, e questa è forse la caratteristica che ammiro di più in un autore.
Alan d. Altieri infine è più un negromante che un narratore, le sue parole sono pregne di una mostruosa potenza evocativa, impareggiabile, che trasuda da ogni carattere stampato su carta.
C’è invece qualche lettura, o qualche autore, che proprio detesti?
Non credo che esistano letture del tutto inutili. Uno scrittore in particolare può acquisire un livello di crescita riuscendo curiosamente a imparare più dalla lettura di un testo problematico che da uno perfetto. Se poi un libro è proprio brutto, terminato di leggerlo, almeno ho la soddisfazione di pensare “Posso fare meglio di cosi…”
L’aspetto tecnico: quanto tempo ci dedichi? Come ti documenti?
Dipende, una prima stesura di un romanzo complesso come La Coda del Diavolo può richiedermi anche cinque - sei mesi, calcolando che devo fare i conti con un altro lavoro e una famiglia dalla quale in passato sono stato troppo tempo lontano e che ho fatto preoccupare non poco. Non è comunque un tempo lungo. Angeli Neri me ne ha richiesti circa tre, che è nella mia media di massima. Se la lavorazione richiede troppo tempo i personaggi e le situazioni cominciano ad ingiallirti nella testa e tutto sembra troppo freddo e calcolato. Quanto alla documentazione, conosco le dinamiche di base di quello che scrivo, avendole sperimentate sulla mia pelle. Direi che mi “aggiorno” molto, anche per lavoro, perlopiù con saggi tecnici o attraverso ex-colleghi che ancora trattano certe materie. Al giorno d’oggi la tecnologia, anche in campo militare, e talmente tanta e talmente vasta rispetto al passato che il principale dilemma non è dove trovare fonti, ma selezionare accuratamente cosa presentare e in che modo farlo. Un romanzo action però, non può essere scevro della scintilla di vita data dell’esperienza vissuta in prima persona.
La conoscenza della geopolitica è fondamentale, per un buon autore di thriller di intrigo internazionale e/o narrativa spionistica. Anche qui, la preparazione impone serietà e impegno...
E’ vero, ma va anche oltre, per ricollegarmi a quanto detto all’inizio bisogna essere in grado di prevedere gli sviluppi cercando di intuire che piega prenderanno gli eventi seguendo la freccia del tempo. Non siamo più ai tempi della guerra fredda in cui era tutto troppo segreto e ogni congettura poteva essere verosimile. Nel 2009 lo sviluppo di una storia concepita oggi può essere smentita dai fatti tra un mese, magari qualche giorno prima dell’uscita del libro. La scommessa di alcuni autori è stata poi proprio l’anticipo di fatti inimmaginabili, dimostrando che la realtà può essere incredibile quanto la fiction.
Nei romanzi action / thriller si tende spesso a privilegiare l’azione rispetto all’approfondimento dei personaggi o dei motivi per cui si sviluppa la vicenda. Come riesci a equilibrare questi due aspetti?
L’azione non è altro che un parametro, un ingrediente della ricetta finale di un buon thriller. Non deve essere un riempitivo per coprire una trama debole. Se non si vuole rischiare di ridursi ad allungare un brodo si dovrebbe giocare la carta dell’azione con la medesima cura dell’intrigo. L’azione se ben orchestrata può costituire di per se stessa un approfondimento che ti racconta molti retroscena e contribuisce alla compilazione dei character che animano le vicende narrate.
Uno dei “tuoi” segreti nell’arte dello scrivere?..
Sono uno che pensa di avere qualcosa da raccontare e ha tanta voglia di farlo. Questo, credo, è il segreto di tutti. Scrivere, pur non essendo per me un lavoro, richiede molta applicazione e sacrificio. Io sono un metodico, mi piace conoscere a monte le principali sorprese che tengo in serbo per il lettore, ma mantengo una struttura aperta, fino alla parola fine e oltre, anche in fase di revisione, perché la prima persona che devo sorprendere deve essere me stesso.
Procedo visualizzando e poi mettendo su carta un concetto principale che mi stimola, la cosiddetta “ispirazione”. Lo sviluppo con una serie di interminabili “e se”, documentandomi e caratterizzando i personaggi fino alla fase condotta –tanto per dirla in termini militari- in cui redigo i punti principali delle trame separate che rimontate alla fine mi daranno l’intreccio finale. La fase di revisione è per smussare gli angoli e rendere l’insieme uniforme.
Veniamo a “La coda del diavolo”. Come/quando nasce il romanzo e di cosa parla?
Il romanzo narra le vicende di una squadra di forze speciali italiane che conduce operazioni di tipo “Cover” e “Black” ed opera in difesa degli interessi nazionali con tecniche di intervento ed equipaggiamenti tecnologicamente avanzati. Contrapposta c’e’ un’organizzazione radicale con ramificazioni in Europa e Africa che sta sviluppando una nuova arma che se messa a punto potrebbe dare a terroristi e stati canaglia un vantaggio improbabile da contrastare almeno con i mezzi attuali.
La rivelazione, a mio avviso sorprendente, circa la coda del diavolo è che è stato scritto nel 2001 e ben prima dell’11 settembre. E’ stato certamente attualizzato prima della pubblicazione ma senza cambiare molto, quasi nulla del concept di base e della struttura originale dell’intrigo. In questo senso mi dispiace di non averlo pubblicato a quei tempi, dal momento che si parlava di quello che fa oggi la Blackwater o la Aegis ben prima che l’argomento delle compagnie di sicurezza fosse noto ai più. Anche il concetto di un esplosivo con un effetto collaterale gassificante è stato messo realmente a punto dall’insorgenza irachena non prima del 2004. Le tecnologie più futuristiche nelle mani dei buoni, stanno entrando ora in servizio o saranno di prossimo impiego e rendono il testo un po’ più attuale e meno visionario di come lo ero un tempo, ma ugualmente interessante.
Il nick del protagonista de “La coda del diavolo” è... Jaco. Quanto ti identifichi con lui (ovviamente tenendo conto che nella fiction la realtà “deve” concedersi ad altre esigenze)?
Io e Jaco abbiamo un passato simile, anche se la nostra vita adesso procede su binari differenti. E’ coraggioso, cocciuto e determinato, alle volte sembra un tipo poco responsabile ma sa assumersi i rischi giusti per conseguire un risultato. E’ un amante dell’avventura e delle forti emozioni. Jaco non sono io. Jaco è il soldato italiano del 2000. Uno qualsiasi dei nostri ragazzi che rischia la vita per tenere alto l’onore del tricolore.
Come scoprirete dalla lettura del libro, non è l’unico personaggio su cui ho investito della squadra, Guzman e Prometeo per esempio, ovvero il cosiddetto “coppio” di Jaco e il tecnico del team sono personaggi simili nel carattere e nelle azioni a miei ex-colleghi che avevano dei ruoli del tutto simili… Se dovessi riconoscermi davvero in un personaggio però, molto più di me c’e’ in Rosco Duncan, l’ex marine protagonista di Angeli neri.
Nel romanzo sei molto preciso sulla parte tecnica / logistica; a tuo parere quanto è importante questo fattore per i lettori?
Credo che ogni buon libro soddisfi le esigenze di un determinato tipo di lettore, e debba essere in grado di lasciargli qualcosa. L’accuratezza tecnica è sempre una caratteristica positiva perché stimola il curioso e rende più credibili le situazioni agli occhi degli esperti. Abusare di tecnicismi per il solo gusto di farlo è invece una inutile esibizione di conoscenza che certamente può stancare. Il mio lettore ideale è però molto esigente da questo punto di vista, e in particolare focalizza l’attenzione sulla coerenza nell’impiego di determinati equipaggiamenti nelle situazioni corrette.
Proprio in questi giorni, i lettori possono trovare in edicola l’inedito “Angeli neri”. Ce ne riassumi brevemente i contenuti e le caratteristiche salienti?
Angeli neri è soprattutto un romanzo denso di azione ma possiede tratti netti del giallo classico. E’ ambientato a Los Angeles e il protagonista è il comandante dell’unità locale della SWAT (teste di cuoio della polizia) che si trova alle prese con un complesso caso di omicidio. Come nel più classico dei gialli c’e’ un cadavere e un pool di possibili sospettati, c’e’ un coroner ed elementi di medicina legale. Ci sono poi moltissime armi e dettagli sul LAPD e sulla SWAT. Inoltre, la prima parte del romanzo descrive l’inizio della battaglia di Fallujah del 2004 in Iraq, quando il protagonista era ancora un comandante di plotone del MARSOF (forze speciali dei Marine americani) ed era impegnato in una delicata missione di cattura del terrorista di Al-Qaeda Al Zarkawi. A differenza della Coda del Diavolo è scritto in prima persona, anche per questo, come dicevo prima, c’e’ molto di me nei pensieri di Duncan.
Si tratta dunque di una storia a metà tra il bellico e il police procedural; stai cercando una tua contaminazione tra generi?
Volevo spingere il limite di azione di un classico Police Procedural in pieno fuori giri. La parte bellica oltre ad avere un ritorno nella storia caratterizza Duncan ed è abbastanza realistica nello sviluppo perché ispirata ad azioni reali. Quanto alla contaminazione… Duncan è un tipo che sa fare il suo lavoro, tenere un MAC-11 in mano lo aiuta meglio a riflettere…
Potresti suggerire una sorta di colonna sonora alla lettura di un tuo romanzo?
Prima di mettermi a lavorare visualizzo anche grazie a della buona musica, quando scrivo non sempre ne faccio ricorso, almeno non tanto quanto in fase di revisione. La mia colonna sonora preferita è un IPOD pieno zeppo di tracce che spaziano dal Pop all’Undeground, passando per la lounge se è il caso, per ispirare le rarissime scene di eventuale tranquillità. Un gruppo di cui ascolto gran parte della produzione e che ritengo significative di quello che succede nei miei libri sono le bellissime Bond (il gruppo musicale, non i soundtrack dei film di 007).
Il rapporto tra cinema e narrativa d’azione: una situazione win-win, oppure no?
Cinema e narrativa d’azione vanno a braccetto, soprattutto perché un buon romanzo d’azione dovrebbe essere scritto seguendo format narrativo simile a quello della scrittura per il cinema che porta allo stremo rapporti umani e situazioni per tenere alto il ritmo nello sviluppo della storia.
Dopo l’esordio dell’anno scorso in libreria, La coda del diavolo è stato ristampato nel 2009 anche in edicola, nei BM Noir della Curcio. Anche “Angeli neri” viene pubblicato nella stessa collana. Che ne pensi del ruolo dell’edicola nell’ambito del mercato editoriale italiano?
L’edicola è un sistema di vendita complesso, per certi versi attraente per altri rischioso più di un campo minato. In libreria il lettore ha una scelta vastissima, e seppur tentato dai trucchetti del marketing e dal pushing pubblicitario, alla fine è lui che si deve districare tra le proposte alla ricerca di un buon romanzo da leggere. Il lettore da edicola è invece seriale: si getta tra le braccia della sua collana preferita e non necessariamente è sempre consapevole di cosa lo aspetta. E’ come andare a casa di un amico e fidarsi di un titolo che ti consiglia. Se il prodotto è buono gli si continuerà a dare retta, altrimenti si perderà fiducia in lui. In questo senso la BM-Noir della Armando Curcio Editore si pone proprio nella posizione del vecchio amico che cerca di scovare i titoli più godibili per incontrare il desiderio del pubblico e fino ad ora, con quasi tutta la selezione proposta sembra esserci riuscita. Tra gli autori che propone, Gioia Hooper e Gian Stefano Spoto, ad esempio, sono stati molto apprezzati da un vastissimo numero di lettori. Nel 2010 sono in arrivo novità di autori stranieri mai tradotti in Italia. Una nuova sfida per la BM-Noir.
Quali progetti narrativi hai per il futuro? Puoi anticiparci qualcosa? Inoltre: hai intenzione di scrivere qualcosa ambientato prettamente in Italia?
Ho ultimato un’altra avventura dell’Oscar One, la squadra di forze speciali de La coda del diavolo. Vi posso anticipare che sarà ambientata in teatro bellico, con tanta azione e una innumerevole tipizzazione di situazioni reali e di supporti di fuoco.
Inoltre, insieme ad Angelo Benuzzi e Alessio Lazzati stiamo curando una Antologia di racconti, per la collana BM-Noir della Curcio, che speriamo veda la luce prima della fine dell’anno o nei primi mesi del successivo. E’ un progetto interessante e sfidante. Gli scrittori che presenteremo sono semiprofessionisti, in qualche caso inediti, ma con la stoffa e gli attributi giusti per regalare al lettore 500 pagine esplosive!
Altri progetti personali è ancora presto per presentarli. Vi dico solo che rincontreremo Duncan e ci sarà da divertirsi ad alta quota.
Quanto all’Italia… credo che al giorno d’oggi la realtà abbia superato di gran lunga l’immaginabile. Non c’e’ spazio per ulteriori stigmatizzazioni dell’inviluppo catastrofico del nostro povero stivale. Eppure come ho detto prima a proposito di Jaco, La coda del diavolo parla ANCHE dell’Italia, non l’itaglietta alla deriva che ci disgusta, ma quella coraggiosa dei nostri militari per i quali nutro una stima irriducibile e un affetto profondo.
Bene, JC. E’ tutto. Come vedi, anche se eravamo in due, non abbiamo inscenato il solito brutale teatrino del “poliziotto buono & poliziotto kattivo”. Quindi, siamo sicuri di poter salutarti con un... alla prossima!; )
Vai con la frase di chiusura...
In questo caso non vi chiamerò “Matt & Jeff”, come nel manuale Kubark di interrogatori della CIA, piuttosto saluterò gli amici Fabio e Angelo ringraziandoli per questa opportunità di presentarmi ai lettori di Thriller Magazine. A presto.
Le recensioni (a cura di Angelo Benuzzi) ai romanzi di James C. Copertino
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