“Buongiorno, sono la professoressa Angelica Descartes.”, disse con tono solenne la supplente, porgendo una mano snervata alla collega responsabile di plesso. Lo sguardo della Sturbi cadde ipnotizzato sulla sequenza di anelli scintillanti e s’intorcigliò in un dedalo di supposizioni sul loro essere o non essere buona bigiotteria o autentici preziosi. Anche nel primo caso, comunque, roba da centinaia di euro a dito.

“Bene.”, rispose la Sturbi più seccamente possibile, con una faccia che suggeriva l’avverbio opposto: “Male. Malissimo. Ma da dove sbuca questa? Chi ce l’ha mandata?”

“Ora ti presento subito Augusto – aggiunse – prima vi conoscete e meglio è.” La speranza era che, conoscendo Augusto, la supplente si rendesse latitante già il giorno dopo e lasciasse il posto alla prossima in graduatoria d’istituto, che oltretutto era nipote della figlia della fornaia della Sturbi.

“Luana, chiamami Augusto per favore.”

La bidella, anzi personale ATA (e che personale…) Luana rimase a sua volta preda della visione di un’insegnante precaria 6 ore settimanali di sostegno, appesa alla borsa Tod’s modello Julia Roberts sull’ultimo numero di “Chi”, in pendant con le décolleté Dior bicolori. Infine si riscosse e andò a chiamare Augusto.

In piedi, nel corridoio spoglio e scrostato, sovrastata di un buon 20 cm dalla pivella fanatica, la Sturbi cominciava a sentirsi dannatamente a disagio pensandosi nella tuta di pile color grigio topo con la zip, infilata di corsa dopo il caffellatte, sopra un paio di mocassini rasoterra color terra. Mentre la De– qualcosa aveva osato un tacco 12 senza colpo ferire. Le si fosse incastrato nella grata del parcheggio, a quell’esibizionista. E da quando ci si presenta a scuola come nel film “Colazione da Tiffany”? Questo pensava la Sturbi in attesa di vedere su Angelica l’effetto del suo alunno “da sostenere”.

Augusto aveva 12 anni e mezzo, pantaloni calati ben sotto il limite della decenza, cappellino rovesciato in testa, chewing–gum in movimento, pelle color ocra rossa e sembrava il protagonista di un film non a lieto fine sulle baby–gang sudamericane. Augusto era l’aspirante membro di una baby–gang ecuadoriana, dedita agli scippi e allo spaccio di droghe da quattro soldi (dal tubetto di colla Pritt in su). Piccolo particolare: la brava famiglia italiana che lo aveva adottato viveva in un paesotto pedemontano, dove non esisteva alcuna baby–gang degna di questo nome, tanto meno di ecuadoriani meticci, con occhi a mandorla e pelle rosso ocra da indios.

Con l’istinto infallibile del cacciatore nato, intanto, un bulletto che perseguitava abitualmente Augusto si era affacciato dalla porta della classe, aveva squadrato la supplente pensando che gli toccava dello straordinario nei prossimi giorni per far ammattire la nuova prof, e aveva salutato Augusto gridando; “Ciao, Mongolino!!”

Augusto guardò la supplente da sotto in su con un’aria un po’ smarrita; Angelica lo guardò dall’alto in basso, poi sentenziò:

“Augusto, ti chiami come un grande imperatore: bisognerà insegnarti come tenere i servi al loro posto.”

Augusto non capì alla lettera il senso di quella frase, ma vide che la prof gli schiacciava l’occhio e sentì di aver trovato finalmente un alleato.

                                                        ***

La professoressa Descartes nell’Istituto Comprensivo era una sorvegliata speciale, eppure sembrava possedere un vero talento nello sgusciare ovunque inosservata. Ostentava l’aria più innocente e serafica del mondo, ma si materializzava d’improvviso in sala insegnanti, senza che nessuno l’avesse vista entrare, oppure nella stanza delle bidelle con il blackberry in una mano e il bicchierino di plastica del caffè nell’altra. A volte la scia del suo profumo Famoso n 5 veniva ravvisata in segreteria, accanto agli armadi e agli scaffali dei documenti riservati.

“Un tipo, ma di certo non una bellezza.” Era il commento acido delle colleghe, esasperate dal suo presentarsi ogni giorno con un ciondolo, borsa, foulard, camicia, tailleur, bracciale, orecchino, orologio da polso, penna da taschino nuova e preziosa.

La Sturbi la criticava pesantemente, ma non indossò mai più la tuta di pile color topo e, piano piano, forse senza esserne consapevole, cominciò a cambiare. Si presentava, ad esempio, con balzane gonne a balze e l’ombretto verde pisello o il pantalone damascato. Era sempre più assorta, delusa da tutto e tutti, svogliata. Avrebbe voluto sapere come accidenti riusciva la Descartes a pagarsi tutto quello sfarzo e soprattutto, se era straricca di famiglia, chi glielo faceva fare di sopportare Augusto e le riunioni degli Organi Collegiali.

                                                        ***

 “Sentiamo, mio piccolo imperatore, hai studiato il Teorema di Pitagora?”

“No.”

“Bene. Hai portato il libro?”

“No, l’ho venduto?”

“Quanto ci hai fatto?”

“Il prezzo di copertina, con lo sconto del 50%.”

“Che miseria! Potevi chiedere almeno il 60%. Comunque farai meglio la prossima volta. Quanto ti manca per la polo Ralph Lauren?”

“Ancora almeno 80 sacchi.”

“Venderemo le copie per l’insegnante, senza talloncino, che ho grattato in sala professori e no problem.”

“Veramente un problema c’è: a me non mi piacciono le polo di Ralf Loràn, preferivo prendermi una maglietta con Cristina del Grande Fratello.”

“Augusto, insomma! Non hai ancora capito che devi lasciare perdere la robaccia e puntare direttamente in alto!? Grazie ai miei consigli qualcuno ti ha mai più chiamato “puzzone d’un indios”?

“Be' … No …”

“Allora vedi che ho ragione.”

“E con il Teorema di Pitagora come faccio?”

“Ma sei proprio indietro!!! Quando ti interroga, dici che non l’hai capito e tutto finisce lì, tanto la Sturbi non se lo ricorda neanche lei.”

                                                        ***

Dopo le vacanze di Pasqua la supplente di sostegno rientrò con una splendida abbronzatura ambrata e la chioma biondo platino. Il tepore primaverile giustificava scollature moderate da cui facevano capolino due rotondità sode e perfette, inoltre gli sguardi dei colleghi uomini verso il suo fondo schiena ondeggiante si facevano sempre più diseducativi.

“Allora, come sono andate la vacanze?”, chiese la Sturbi che le aveva passate a raschiare con spazzole, spatole e unghie i vetri delle finestre di casa. In effetti, sembrava l’ombra di se stessa, anche la Luana e le altre lo avevano notato. Quel giorno era particolarmente strana, camminava barcollando e a molti era sfuggito il motivo: sfidando i terribili occhi di pernice, si era messa ai piedi delle scarpe a punta, con tacco a rocchetto appena appena rialzato.

“Molto bene, a parte un dolorosissimo incontro con una medusa.”

“Ah.”

“E dire che posso considerarmi fortunata: alle Maldive ne esistono specie dal veleno addirittura mortale!”

“Che ti si attorcigliassero alle orecchie”, pensò la Sturbi, ma restando in silenzio, con le labbra paralizzate in un sorriso finto.

“Al resort però sono stati tutti davvero molto carini. Il medico, poi, eccezionale. Mi hanno coccolato in tutti i modi. Un posto da favola, comunque. Se vuoi ti do l’indirizzo.”

La Sturbi pensò che non era mai stata offesa tanto in vita sua e s’allontanò senza salutare, precipitando dai tacchi a rocchetto pochi secondi dopo.

* * *

La fine dell’anno scolastico era sempre più vicina, la Descartes aveva svolto il suo lavoro senza figurare male e Augusto, felicemente ignorante come tutti gli altri coetanei d’Italia, era divenuto il trend setter dell’Istituto Comprensivo, suggellando la riscossa sociale con la conquista della seconda ragazza più carina della scuola. Appurato con la consulenza di un gioielliere (convocato sotto le mentite spoglie di venditore di patatine all’intervallo) che i gioielli dorati della supplente erano d’oro, le pietruzze azzurre turchesi e quelle rosse coralli antichi, la Sturbi vinse la repulsione che provava per Angelica e cominciò a cercarne la conversazione per scoprire qualcosa della sua vita.

Apprese così che era figlia di una pianista italiana e un diplomatico francese, che era cresciuta in una grande villa secentesca sul lago di Bracciano, dove restava spesso sola a causa dei frequenti viaggi del padre e della madre, desiderosa di non abbandonare del tutto la carriera di solista. Nei lunghi pomeriggi vuoti, passati sotto l’occhio vigile della tata svizzera, con l’unica compagnia dei libri e dei suoi due barboncini, Castore e Polluce, aveva promesso a se stessa che da grande avrebbe scelto un mestiere che le consentisse di stare vicina ai ragazzi in difficoltà, che forse provavano la sua stessa incolmabile solitudine. Così, nonostante i genitori sognassero per lei un Diploma al Conservatorio, ma soprattutto un bel matrimonio con l’erede della villa vicina, lei aveva preferito laurearsi in Lettere e specializzarsi nel sostegno, scelta di cui, nonostante la sua giovane età, non si era pentita mai e poi mai. Saputa la storia, la Sturbi si era anche sentita un po’ in colpa per averla odiata fin dal primo momento. Ora, oltre alla ricchezza e allo charme, le invidiava anche il fatto che amasse il suo lavoro, quello stesso sporco lavoro di insegnare le regole a un branco di maleducati, che alla Sturbi procurava un vero voltastomaco.

 ***

Il mese di giugno per gli insegnanti è una specie di limbo: ci sono impegni fino alla fine, ma diluiti in modo che si creino dei buchi, che i più abili e anziani sanno sfruttare per ricavarsi piacevoli soggiorni marini in bassa stagione. La Sturbi questa volta aveva voglia di una vera botta di vita. Altro che quattro giorni a Zoagli col marito! Erano almeno dieci anni che non faceva un viaggio all’estero, che non acquistava due costumi da bagno dignitosi (ovvero da spenderci almeno uno stipendio), che non mollava a casa il marito, che non si divertiva neppure un secondo. La prima avvisaglia fu la tradizionale cena di fine anno scolastico con il preside e i colleghi. Quando la responsabile di plesso entrò nella sala, tutti trattennero il fiato: abitino aderente in lamé con ampia scollatura, calze a rete, tacchi, labbra e unghie rosso lacca. Andò a sedersi vicino, anzi, in spalla, al professore di musica e cominciò a bere come un muratore assetato. Finì a ballare (prima sul tavolo, poi sotto) con un neo–pensionato brillo pure lui e prima di svenire fece in tempo a salutare tutti, dicendo che partiva per la più pazza vacanza della sua vita. La supplente, invece, non aveva bevuto troppo, né scoperto troppo le gambe, né flirtato con nessuno: alla fine molti avevano dovuto ricredersi sul suo conto e ammettere che era una gran brava ragazza.

* * *

Per la sua mitica vacanza, la Sturbi si era informata dalla Descartes e aveva visto che in effetti le Maldive proprio non poteva permettersele. In compenso, Angelica le aveva consigliato un’alternativa, che alla Sturbi era sembrata sufficientemente all’altezza: le Azzorre, 1500 km al largo di Lisbona nell’Oceano Atlantico. Un posto un po’ selvaggio, ma che avrebbe potuto facilmente essere confuso dai distratti con una delle mete più “in”. Mariella Sturbi non volle sentire ragioni: sarebbe partita da sola e, per essere sicura che il marito non le rompesse le palle, non aveva detto neppure la destinazione, tanto entro una settimana sarebbe stata nuovamente a casa a spezzarsi la schiena e le unghie. Il marito la minacciò di divorzio con addebito, ma la prof sapeva che era una delle sue solite sparate.

Così, un giorno di metà giugno, si persero le tracce della professoressa Mariella Sturbi, che non rientrò dopo una settimana, come promesso, e neppure in seguito. Aveva con sé i suoi abiti migliori, i documenti, il denaro per il viaggio e il soggiorno, i vecchi gioielli di famiglia che aveva messo personalmente in valigia alla presenza di testimoni. Non mandò mai una cartolina, ma, circa un mese dopo la sua partenza, prelevò tutto quanto aveva sul conto personale. La polizia e il marito si convinsero che fosse vittima di una crisi di mezz’età e avesse voluto cambiare vita. D’altra parte, negli ultimi tempi tutti l’avevano sentita lamentarsi di non farcela più, di essere stufa marcia del lavoro e di tutto quanto il resto.

* * *

Angelica Descartes sollevò la flute appannata per via dello champagne, freddo al punto giusto, e brindò al suo futuro incarico annuale. Non c’è niente da fare: il suo lavoro le piaceva veramente. Le piaceva la curiosità dei ragazzi di fronte alle sue battute surreali e lo sconcerto nell’accorgersi che lei amava la scuola fino in fondo. Le piaceva seminare dubbi nel loro presente, perché capissero che il futuro avrebbero anche potuto costruirselo e non farselo cucire addosso. Soprattutto le piacevano i ragazzi che restavano indietro, per un qualsiasi motivo, e avrebbe fatto di tutto per fargli recuperare terreno sui loro coetanei, spesso spietati.

Si era resa conto, però, che per aiutarli occorreva molta fantasia e ricette speciali per ognuno. Inoltre, che gli altri insegnanti non sempre desideravano aiutarli con la sua stessa forza. Allora bisognava essere molto astuti, specie se non si era figli di un diplomatico e una pianista e non si erano trascorsi pomeriggi vuoti al suono di orologi Luigi XV in grandi saloni affrescati. Come aveva abboccato la Sturbi! Ma davvero poteva pensare che un’ereditiera straricca avesse scelto la scuola per vocazione? Lei doveva lavorare per mantenersi, però aveva la fortuna di farlo divertendosi. Peccato lo stipendio non fosse per nulla adeguato a una vita comoda e piacevole.

Sentì il bzzz di un messaggino: era l’appuntamento della serata. Rispose con allegria e si rimise a sorseggiare lo champagne senza fretta. Allacciò una collana di perle naturali, acquistata grazie ai risparmi della Sturbi. Non era stata la prima contribuente involontaria al suo tenore di vita, forse non sarebbe stata l’ultima. Pensò a lei con gratitudine, e prima di uscire soffiò un bacio con le dita verso la foto di Augusto, al mare con la sua ragazza. “Devo regalargli un blackberry.” pensò mentre indossava il giacchino Chanel.

© Loredana Squeri

Loredana Squeri è nata a Borgo Val di Taro (PR) ed è laureata in lettere classiche. Appartiene alla Scuola bolognese del Giallo e nel 1991 è stata premiata al Mystfest di Cattolica. Ha scritto il romanzo La volpe e la luna. Un thriller appenninico (Editrice Zona, 2000) e la raccolta di racconti Una storia d'annata (Editrice Zona, 2007). Ha pubblicato poesie e racconti in antologie (l'ultimo in Crimini di regime, Editrice Laurum, 2008), riviste e quotidiani. Ha vinto il Premio Internazionale di poesia "Genovantasette".