“Si piazzano sempre nello stesso posto in mezzo alle baracche sulla collina e sparano in questo cono di luce che arriva fino in piazza...”
E piegarono tutti e due la testa. Era arrivata l’onda di un’esplosione. Schegge di sassi e ferro, mattoni e terra scagliati ovunque. E come l’aria smise di tremare per il botto della granata la gente ricominciò a correre attorno alla piazza e a gridare. E a buttarsi dietro ripari improvvisati tra vecchi cumuli di macerie. Una nube grigia si andava piano piano depositando attorno alla circonferenza della piazza. Radko alzò la testa per primo. Tossì. Poi disse che gli pareva di vedere un altro corpo immobile, steso a terra.
“Dopo il primo morto arriva sempre una granata. – replicò Sinisa con l’affanno nella voce – E’ un rituale preciso.”
“Lo fanno apposta i cecchini - rispose Radko – aspettano che vai a recuperare i corpi rimasti per terra e loro, da laggiù in fondo, nascosti dalla sterpaglia come bisce, ti tirano giù come tanti piccioni malati.”
“A volte fanno anche di peggio, ti feriscono in una gamba, in modo che non puoi più muoverti e ti lasciano a marcire, e se qualcuno fa un passo pietoso per darti una mano…”
“… bum gli sparano addosso pure a lui.” Concluse Radko. Rimasero in silenzio guardando fissi nel vuoto.
“Noi invece siamo al sicuro.” Riprese Sinisa con voce spenta.
“Abbiamo il muro della chiesa a proteggerci… a qualche cosa servono anche i santi.”
“Non bestemmiare vecchio ateo peccatore.” E quasi Sinisa ritrovò il calore perso.
“A volte penso che i serbi si divertono nel volerlo tirare giù a fucilate quel muro. Ci sono dei giorni che gli sparano dentro centinaia di colpi… tantantantan… uno dopo l’altro, con un ritmo che non ce l’ha neanche un tamburino a una festa di matrimonio.”
“Ci devono essere dei buchi grandi come cocomeri.”
“Prova ad andare a vedere…”
“Tu sei matto” disse Sinisa e gli puntò un dito contro.
“Basterebbero un paio di granate o tre e quel muro verrebbe giù a briciole.”
“Non gli interessa tirarlo giù, gli serve per allenarsi, e pure per farci cagare sotto. Guerra psicologica. C’è qualcosa di più criminale di una guerra di logoramento?”
“Siamo assediati, dobbiamo farcene una ragione. Come facevano i guerrieri antichi, e come fanno i bravi giocatori di scacchi… mettono sotto assedio il re e fanno cadere tutti i suoi pezzi uno dopo l’altro, senza pietà.”
“Adesso gioca – disse Sinisa – altrimenti oggi non finiamo più.”
Radko sospirò e si decise alla sua prima mossa. Spinse un pedone nero in C4.
“Tu invece pensi di essere imprevedibile con la tua giocata?” disse Sinisa.
L’altro lo guardò e scrollò le spalle.
“Giocata classica. Controllo del centro.”
“Non dire fesserie. E soprattutto non essere bugiardo con me. Sono anni che giochiamo così. Apriamo sempre allo stesso modo.”
“Magari non sappiamo fare nient’altro.” Lo interruppe Radko.
“Sono anche anni che ci sediamo qui da Nazim tutti i sacrosanti pomeriggi, che beviamo lo stesso the alla menta, che non guardiamo più le donne…”
“E che spostiamo la testa da un’altra parte quando pisciamo…”
“… che così non ci demoralizziamo…” e Sinisa rise, con una risata di gola che si trasformò in tosse.
“Siamo vecchi per le sorprese, ormai anche noi ci siamo affezionati ai nostri riti… così non corriamo rischi.”
“E’ il mondo che è prevedibile, non noi, caro Radko, la verità è che si muore sempre, senza rispetto per l’età.”
“E questo che c’entra. La morte è la morte. Ha delle regole diverse dalla vita: però dobbiamo dire che è l’unica vera giustizia terrena. E’ lei che ci rende tutti uguali fin dalla nascita.”
“Ma almeno il rispetto per l’età ci vuole.”
“Che cosa c’entra?”
“Lo pretendiamo in famiglia e dai giovani di tutto il paese. E dobbiamo pretenderlo pure dalla morte.”
“Allora secondo te in guerra dovrebbero andare solo i vecchi come noi, anziché stare a giocare a scacchi.”
“Si.” Disse Sinisa.
“Quindi sarebbe più giusto se morissimo noi due al posto del figlio del vinaio?”
L’altro non rispose. Andarono avanti tutti e due con alcune mosse, spostando i pedoni verso il centro e rimanendo concentrati sul gioco. Poi ancora una serie di raffiche che sollevavano polvere e cemento nel mezzo della piazza. Buchi su buchi. Come tanti rifugi di talpe.
“E pensare che quando non c’era questa stramaledetta guerra in piazza ci facevamo il mercato. – Disse Radko – adesso sta diventando un mezzo cimitero.”
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