Sullo sfondo, una guerra civile in ambientazione montana, vicino al confine. Un giovane, tentando di sfuggire all’inferno del conflitto, s’inoltra nelle montagne e s’imbatte in un casale in metamorfosi con la natura, i cui segni di rovina sono forse metafora di altra decadenza: porte quasi sfondate, imposte murate dal tempo, tetto crollato. Il giovane canuto lì incontrato promette di aiutarlo a valicare il confine, sarà la sua guida.

In Racconto d’inverno di Leonardo Bonetti si parte da una situazione di alta tensione e di distacco totale dalle certezze che proseguirà nella narrazione: il protagonista è combattuto da continui dubbi, sfumano le identità, i personaggi sono senza nome, i pericoli incombono come una spada di Damocle, i misteri s’infittiscono nell’ipotesi della presenza, nel casale, della sorella scomparsa della guida.

Oltre al titolo shakespeariano e al rimando alla suite musicale Racconto d’inverno, si è parlato di prestiti importanti (Racconto d’autunno di Tommaso Landolfi e Stalker di Andrej Tarkovskij) e di vari livelli di lettura: non concordo sul genere gotico o d’avventura, ma molto sul racconto filosofico e, aggiungerei, d’introspezione. Il testo offre spunti di riflessione interessanti ma forse potrebbe non soddisfare i divoratori di “romanzi immediati”, di quei romanzi cioè che hanno la capacità di catapultare, nell’immediato, il lettore dentro l’azione. Qui l’azione è rarefatta, lo svolgimento è cadenzato dalla lentezza di un tempo fuori dal tempo, l’esasperazione del punto di vista primario –quello del protagonista– porta a soffermarsi su ogni respiro e a misurare gesti, sguardi mancati, silenzi, pause, in un rincorrersi di decifrazioni che può risultare stanchevole e in un eccesso di domande autoreferenziali.

Ciononostante l’autore ha una padronanza elegante del periodo e del lessico, le descrizioni ricordano i grandi romanzi ottocenteschi, resa paesaggistica meravigliosa, sintassi fluida anche se complessa, le poche volte in cui applica il talento della sintesi  dimostra la capacità di condensare, anche solo in una frase, enigmi caleidoscopici e grande poesia, come nella seguente citazione con cui vorrei concludere: «Fece solo un passo con quei suoi piccoli piedi a petalo che mi istigavano a farsi sfogliare per risolvere l’eterno inganno».