Una delle diverse ragioni per cui Educazione siberiana vale la pena di essere letto è che si tratta di un esempio più unico che raro di letteratura in italiano scritta da un immigrato. Tutti i paesi europei hanno autori affermati che scrivono nella lingua d’adozione, arricchendola e personalizzandola, dandole un respiro più ampio di quello stabilito dai confini geografici. L’Italia no. Nicolai Lilin ha scritto un bel libro, a metà fra romanzo e biografia, memoriale e studio sociale, che racconta con delicatezza e tanta nostalgia un mondo che scompare e un’infanzia che finisce, significativamente, con la chiamata alle armi e la sottrazione dell’individuo alla sua sfera personale.
La conclusione del romanzo lascia in sospeso la storia e quasi rende necessario un altro libro, più meditato, più adulto, per raccontare ciò che è venuto dopo, come il giovane siberiano Nicolai “Kolima” è diventato uomo.
La citazione, nel sottotitolo, di Bunker e Saviano, non è casuale. Non lo è perché ci sono elementi narrativi, oltre che tematici, che ritornano in questi libri e in questi autori, e che forse rappresentano il futuro del genere, l’unica possibilità di non perdersi nella serializzazione dei vari commissari, indagatori e poliziotti vari. Tanto Bunker quanto Saviano quanto Lilin raccontano un mondo criminale vissuto in prima persona: dall’interno o dall’esterno, con intento civico o personale o tutti e due, e di questo mondo rendono gli aspetti ordinari, consueti, lontani dalle gesta cinematografiche e dalla retorica hollywoodiana.
L’importanza che si può attribuire a queste opere e a questi autori discende sia dal valore documentale di ciò che viene scritto sia dal cambio di prospettiva che questi racconti neri impongono a un genere letterario stanco e forse consunto. L’intento di queste considerazioni è tracciare una possibile via d’uscita dall’impasse della commercializzazione del noir.
Nell’ultimo articolo (rubriche/7521) si è parlato di saggistica mostrando come soprattutto il lavoro analitico e storiografico di Michael Woodiwiss in Gangster capitalism possa esser visto come un’indicazione di possibili linee evolutive del nostro genere: il crimine (l’elemento “nero”) non solo come gesto individuale e singolo, come effetto o cosmesi, bensì come ingranaggio in una stuttura umana che si sviluppa nel tempo oltre il verticismo delle associazioni criminali tradizionali. Tanto i contenuti del saggio di Woodiwiss quanto il racconto di Roberto Saviano o le memorie in prima persona di Bunker e Lilin (prive di qualsivoglia intento didascalico-accademico) servono a dipingere il quadro complesso di una realtà che cambia, un mondo in movimento, fluido come l’universo umano all’interno del quale si colloca.
Cosa ha a che fare tutto ciò con la semplice narrativa?
C’è qualcosa in comune fra tutti questi autori e le opere citate: essi considerano e raccontano il delitto, la violenza, la ferocia a volte, senza ricorrere allo stereotipo dicotomico guardie-ladri, buoni-cattivi, onesti-delinquenti. In Educazione siberiana ciò è chiarissimo ogniqualvolta l’autore usa l’espressione (solo apparentemente ossimorica) “onesto criminale”. Per Lilin, per la comunità siberiana raccontata nel suo romanzo, l’onesta è qualcosa che trascende il rispetto della legge, o almeno della legge intesa come istituzione, codice di regole utili alla convivenza civile di un Paese. L’onesto criminale rispetta altre regole, altre “leggi”, più a misura d’uomo ancorché spesso venate di brutalità e violenza. Le regole della comunità siberiana, enunciate all’inizio del romanzo, sono lontane tanto dalla logica imprenditoriale della Gomorra nostrana quanto dal sottobosco raccontato da Eddie Bunker nei suoi romanzi e nella potente autobiografia Educazione di una canaglia.Sono diverse anche dalle logiche del potere enucleate dal professor Woodiwiss nel suo saggio; e proprio questa divergenza, questa eterogeneità, questa multiformità costituiscono l’elemento e la ragione di novità (per la narrativa e per la concezione che si ha di ciò che è criminale) di queste opere e questi autori.
Nicolai Lilin porta, forse involontariamente, il proprio contributo a questa nuova rappresentazione dell’universo criminale del XXI secolo. Educazione siberiana è un esempio di letteratura migrante più unico che raro in questo Paese, è racconto autobiografico di una vita violenta, è ulteriore tassello di questa fenomenologia del crimine che nell’ultimo decennio ha preso sempre più piede (si pensi, per citare qualche altro nome, ai romanzi quasi storici di James Ellroy, al McMafia di Misha Glenny, al Moises Naim di cui si è parlato nell’ultimo articolo). Tutta questa bibliografia ha rilevanza innazitutto per la comprensione del fenomeno criminale e delle sue implicazioni per gli apparati istituzionali, del suo impatto sulla società civile e la vita pubblica di una società. In questi autori il racconto delle diverse realtà criminali serve a dare l’immagine di mondi anzitutto umani, costituiti di persone e comportamenti, alternativi sì a quelli ordinari-legali, ma sempre e comunque comprensibili anche da chi, come noi, vive al di fuori di quelle realtà. Ed è proprio questo, forse, il passo determinante per stabilire l’importanza di libri come Educazione siberiana: riconoscere che l’universo delinquenziale rappresentato non è qualcosa di mostruoso e subumano, di malato o bestiale, ma si tratta invece di un fenomeno contestuale alla nostra realtà ordinaria.
Sono finiti i tempi di Donnie Brasco, nei quali l’autore-poliziotto, tutore dell’ordine e della legge, sprezzantemente dipingeva un mondo criminale costituito di mezzi uomini, topi di fogna e rifiuti umani ai quali era agevole (per lui e per il lettore) sentirsi superiori: migliori e diversi. Oggi è necessario accogliere il nuovo sguardo che colloca questi universi non più al di fuori della nostra realtà, ma saldamente al suo interno. Tutto ciò deve inevitabilmente influire anche sulla narrativa, e ne sono prova gli autori e le opere menzionati in questo articolo: c’è già in atto uno spostamento che porterà lo sguardo sulla materia criminale sempre più lontano dalla visione tradizionale, tendenzialmente manichea e funzionale al mantenimento dello status-quo (si veda in proposito Gangster capitalism).
Tornando a Educazione siberiana: si tratta di un romanzo riuscito, convincente e rapido che riesce a non indulgere in sentimentalismi nostalgici pur mantenendo uno tono di delicata rammemorazione anche nei passaggi più crudi. Un libro da leggere per tutte le ragioni illustrate sopra e che a buon diritto figura tra gli esempi più validi di un diverso modo di scrivere noir.
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