Alla ricerca di noir esotici, possibilmente provenienti da regioni non propriamente conosciute per la loro dedizione al genere, non potevamo tralasciare il caso letterario delle sorelle vietnamite Tran-Nhut, già conosciutissime in Francia e ora anche da noi, visto che siamo, con questo (L'ala di bronzo), al terzo volume (su quattro) delle avventure del Mandarino Tan iniziate in patria nel 1999.
In realtà, come già accaduto con il Botswana di Alexander McCall Smith, anche qui ci troviamo di fronte ad una riuscitissima ibridazione tra due culture.
Le Tran-Nhut, infatti (Thanh-Van, che firma questo giallo, nata nel 1962 e Kim nel 1963) già nel 1968 si sono trasferite coi loro familiari negli Stati Uniti e tre anni più tardi in Francia. La loro integrazione nel mondo occidentale è stata dunque perfetta: la prima è diventata ingegnere e la seconda fisico; quando hanno deciso di darsi al noir hanno scritto direttamente in francese; nell’ideare la serie ambientata nel loro paese d’origine nel XVII secolo hanno sicuramente fatto tesoro del successo internazionale dell’olandese Robert Van Gulik che, tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta, pubblicò numerosi polizieschi ambientati in Cina con protagonista il Giudice Dee; e infine non hanno disdegnato di riutilizzare, pur in una cornice storica e geografica particolare tre archetipi fondamentali del giallo: l’acuto investigatore (il Mandarino Tan), la spalla che lo segue come un’ombra (il Letterato Dinh) e il medico legale (il dottor Porco – sic! – assai vicino per stazza e gusti all’immortale Nero Wolfe).
Parlare di giallo vietnamita è dunque una divertente ma non impropria forzatura: l’ambientazione, scrupolosamente ricostruita e che talvolta strizza l’occhio alla tragica attualità del paese asiatico, fa in effetti di questa serie qualcosa di diverso dai soliti prodotti in circolazione sul mercato occidentale.
Come al solito in Italia nel proporre ai lettori un’assoluta novità non si è seguito un criterio, diciamo così, cronologico: e così si è persa l’evoluzione sia del personaggio che della scrittura. Le due sorelle infatti hanno scritto assieme solo i primi due romanzi, il terzo è stato ideato da entrambe, ma steso solo dalla maggiore mentre l’ultimo, L’ala di bronzo appunto, è interamente frutto della penna di Thanh-Van in quanto sembra che Kim abbia deciso di cimentarsi nel poliziesco per ragazzi.
Vediamolo allora più da vicino, questo insolito noir “vietnamita”.
Innanzi tutto la squadra investigativa perde momentaneamente un elemento: infatti Tan e Dinh tornano al Sud, al villaggio d’origine del Mandarino, e quindi lasciano alle loro spalle il loro collaboratore Porco. Ma questo viaggio, che è soprattutto della memoria, si colora ben presto di tinte fosche dal momento che muore un uomo in circostanze misteriose (prima dice di essere stato violentato da una “con tinh”, una specie di fantasma femminile assai spregiudicato dal punto di vista sessuale, e poi perisce carbonizzato mentre la stanza in cui riposa rimane intatta) e Tan, suo malgrado, si trova a investigare.
Ma la ricerca del colpevole è anche la ricerca del padre, scomparso quando Tan era piccolo: le due investigazioni perciò si intrecciano fino a rivelare un diabolico piano che, partendo dall’eliminazione xenofoba di una famiglia di etnia diversa ben 25 anni prima, prevede anche l’utilizzazione di una letale antenata delle moderne armi batteriologiche.
L’intreccio in effetti è molto complesso e il ritmo, specie all’inizio, assai lento; ma grazie a Tan (mente acuta, ma anche fisico asciutto e scattante nelle arti marziali) e al suo collaboratore Dinh (colto, raffinato e decisamente effeminato, anche se si mostra assai più vivace intellettualmente di molti suoi predecessori) l’azione si fa a poco a poco più serrata e il classico colloquio finale getta piena luce su tutta la vicenda.
Interessante è vedere come l’autrice tratta l’ampio ventaglio di miti che ai nostri occhi appaiono decisamente inverosimili ma che, per realismo, tali non dovevano sembrare ai protagonisti della vicenda: da un lato, dopo aver attratto il lettore con una serie di riferimenti a credenze sia popolari che colte, nel finale fa in modo, abilmente, di razionalizzare tutti gli aspetti connessi all’intreccio poliziesco; dall’altro, per non creare fastidiosi anacronismi e, soprattutto, per non distruggere, alla luce della razionalità occidentale del terzo millennio, il patrimonio culturale della sua gente, lascia ampie zone di ambiguità in cui l’inconscio insoddisfatto di ogni lettore può rifugiarsi senza pregiudizio per la soluzione della vicenda.
Un bel romanzo, dunque, meritevole, pur venendo da Oltralpe, di rappresentare a pieno titolo l’Estremo Oriente in questo nostro viaggio noir attorno al mondo.
Voto 7.5
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