Mi dispiace recensire il libro di un esordiente se non mi è piaciuto. All’inizio partivo dall’idea che chi pubblica la prima volta vada, se non incoraggiato, almeno lasciato in pace. Adesso sto cominciando a cambiare parere. Perché penso che pubblicare sia una cosa estremamente seria, e che vada presa quindi seriamente da tutti coloro che partecipano all’operazione. Le case editrici, in primis, che, dovrebbero garantire al testo un lavoro di editing sia per quanto riguarda i micro-contenuti (i macro si spera siano a posto!) e le incoerenze, sia per quanto riguarda i refusi. 

La montagna dei vecchi tricicli, dell’insegnante di Senigallia Simone Scala, è una raccolta di 21 racconti per un totale di 451 pagine che si potevano tranquillamente ridurre della metà e allora ne sarebbe uscito un lavoro sufficiente. Ma non sarebbe stato necessario solo tagliare, bensì intervenire con opportune correzioni, un editing intenso, insomma, anche sui segni di interpunzione. Ci sono delle forzature che sconfinano nel noioso, come quando tratta degli insegnanti precari sottolineando in maniera iperbolica la loro sottocondizione di reietti maltrattati e senza diritti. La situazione, anche se non rosea, non è così tragica e qui parla un’insegnante che conosce da anni il precariato: lati negativi ce ne sono, eccome, ma le continue lamentele di Scala rischiano di trascinare la questione nel grottesco.

Manca il must del “Show, don’t tell”, vi è cioè uso eccessivo di spiegazioni e commenti a discapito dell'azione e dei dialoghi. I dialoghi sono spesso interiori, introspettivi e retorici. E quando vengono estrinsecati non son sempre essenziali ai fini del racconto. Per non parlare delle “filosofate” sulla vita: «Ogni tanto la vita è così, e dopo tanta merda arriva di colpo un raggio di sole che ti fa riconciliare con essa» (p. 426)

Con questo non vorrei demolire totalmente un libro che, come bozza, non sarebbe del tutto malvagio. Compaiono personaggi pittoreschi -un serial killer insegnante, una pornoattrice dedita alla beneficenza, un piccione coraggioso- a dimostrazione della ricca fantasia dell’autore. E la fantasia, si sa, è sempre un punto a vantaggio. É comunque coraggioso il tentativo di esordire  con un genere -quello del racconto, appunto- cui, nel nostro panorama editoriale, viene riservato poco spazio, e quel poco è quasi di totale esclusiva di scrittori affermati. Infine il messaggio in apertura è intriso di buona volontà e con questo vorrei concludere la recensione: «Dobbiamo quindi tentare di migliorare questa nostra contemporaneità a qualunque costo, questa almeno è l’utopia che è alla base delle novelle, perfino di quelle più buie e cupe.» (p. 5)