Abbiamo raggiunto Giampaolo Simi a Bologna, durante la presentazione del suo romanzo Il corpo dell'inglese (Einaudi Stile Libero Noir, 2004), scoprendo molte cose interessanti sul Golfo dei Poeti, su Viareggio e sulle vicende occorse attorno alla morte del poeta inglese Shelley, avvenuta proprio da queste parti (e che ha un ruolo anche nel romanzo). Ne abbiamo approfittato per fare alcune domande all'autore.
Ne "Il corpo dell'inglese" descrivi Viareggio e dintorni a tinte noir assai fosche; è una terra con una metà oscura davvero così oscura o hai calcato un po' la mano?
Non credo di aver calcato la mano. Semplicemente è un posto dove passa molta gente diversa, e passano anche molti soldi. La gente si diverte e qui gira tutto quello che serve per farla divertire. Si tratta solamente di constatare il fatto che è un posto al centro - anche geografico - di molti passaggi, di molti traffici di vario genere. Anche se non è il porto finale di questi traffici ma è solamente un posto di transito. E' un crocevia, qualche volta casuale, qualche volta un po' meno casuale. Ci sono tanti episodi realmente avvenuti.
E poi c'è il mare. Anche se Viareggio non è un porto vero e proprio — Viareggio ha la darsena, che è una cosa un po' diversa — però vicino a Viareggio ci sono Livorno e La Spezia, che sono due blocchi mercantili importanti. Tra l'altro Livorno-La Spezia è il tragitto che fece Shelley il giorno in cui morì in mare. E tra Livorno e La Spezia si sono scritti capitoli piuttosto importanti di certi traffici di rifiuti, scorie tossiche e armi degli ultimi anni. Viareggio sta nel mezzo di questi due porti.
Durante la presentazione hai tirato fuori questa corposa ricerca su Shelley e sulle storie attorno al luogo in cui fu rinvenuto il suo corpo, una ricerca poi finita solo marginalmente nel libro, quasi come fondale. Quanta documentazione c'è per quelle che sono invece le storie portanti del romanzo?
La documentazione porta via forse il 30-40% dei tre-quattro anni in cui ho scritto il libro. Si scoprono cose molto inquietanti e, purtroppo, anche interessanti allo stesso momento. Scopri che alla fine nel famoso Golfo dei Poeti in cui Shelley ha abitato, che è un posto anche paesaggisticamente importante, una delle colline è quella in cui è stata interrata la diossina di Seveso. E' buffo (altro che buffo...), ma qualche volta uno segue l'idea di una storia partendo da riferimenti letterari, poi per puro caso scopre che la tratta Livorno-Lerici non è solo la rotta su cui Shelley si imbarcò, ma anche che su questa direttrice ci sono stati recentemente degli avvenimenti importanti della nostra cronaca. C'è questa sovrapposizione un po' strana tra la memoria letteraria, i ricordi e la storia più vicina a noi.
Il romanzo ha una struttura complessa, come tre eliche di DNA che si intrecciano. Hai seguito un metodo particolare per tenere le fila e per non perderti in questo labirinto?
Un po' di schemi, un po' di scarabocchi. Ho provato con un database ma alla fine ho fatto solo una piccola tavola sinottica, verificando poi che tutti i personaggi si incontrassero all'ora giusta. Un lavoro alla fine anche divertente. In realtà credo di avere avuto anche il tempo di interiorizzare la storia al punto da manovrarla tranquillamente senza bisogno di supporti, di poterla raccontare come se in qualche maniera l'avessi vissuta: con quella certezza, quella memoria emotiva per cui certi episodi vengono scanditi in maniera naturale. Dopo un po' si incastrano da sé.
Nel corso della presentazione è emersa più volte la parola "gioco". Tu hai un passato ludico come direttore della storica rivista Kaos e autore di giochi: questa componente quanto ha influito nella tua esperienza di scrittore "serio"?
Penso che abbia influito, perché alla fine se uno scrive un tipo di letteratura in cui si cerca di coinvolgere il lettore, l'idea del gioco viene fuori. Il giallo classico per esempio è un gioco per eccellenza. Leggevo l'altro giorno una citazione di Chesterton che diceva "l'antagonista dell'assassino è il detective, l'antagonista dello scrittore è il lettore". E' un gioco.
Qui siamo in un ambito letterario un po' diverso per quanto riguarda lo stile del racconto, però credo che rimanga la radice. Io ti trascino in un gioco a incastri e tu, lettore, scegli se accettare questo gioco. A questo punto io mi impegno a rispettare le regole, che del resto ho stabilito io.
Uno scrittore italiano che hai come punto di riferimento e che consiglieresti?
Tanti.
Tra i passati Giorgio Scerbanenco, senz'altro. Quando si parla di nero bisognerebbe ripartire da lui, dal suo tipo di scrittura, soprattutto; dai suoi dialoghi straordinari, grandiosi, dalla sua capacità di cogliere le relazioni umane con poche parole, senza ricorrere a una prosa ricercata.
Fra gli odierni invidio molti, per esempio uno come Eraldo Baldini, uno dei pochi che ha veramente l'horror e le atmosfere del perturbante, in Italia. Ma un libro come Il corpo dell'inglese viene sicuramente fuori anche dalla lettura di un romanzo come Notturno bus di Giampiero Rigosi, che ha un tipo di intreccio del genere, ma svolto in maniera completamente diversa. Qualche volta vedendo quello che fanno gli altri ti viene in mente di fare una cosa del genere, però con alcuni cambiamenti, e allora provi a fare una piccola modifica che poi ti porta a un risultato finale molto diverso: l'importante è farsi mettere una pulce nell'orecchio.
Poi sicuramente il ritmo di Carlo Lucarelli è un punto di riferimento, mi rendo conto che averlo letto qualche tempo fa è stato importante.
Progetti per il futuro?
Un nuovo libro per l'anno prossimo. Stavolta sarà un noir più tradizionale, da certi punti di vista. Un romanzo molto mirato, molto lineare, un tipo di libro diverso da Il corpo dell'inglese, anche se stilisticamente io sento che in quest'ultimo ho trovato definitivamente il mio modo di raccontare, per cui quello non lo lascerò. Però sarà una storia molto diversa perché comunque dopo aver scritto Il corpo dell'inglese bisogna passare a qualcosa di completamente diverso. Credo che sia giusto così, è bene porsi delle nuove sfide. Se ne Il corpo dell'inglese la sfida è stata raccontare tante piccole storie insieme con tutto il tempo che ci vuole, e unire questo disegno con pazienza e precisione impiegando le 401 pagine che servono allo scopo, questa volta la sfida è il contrario: riuscire a narrare una storia in maniera estremamente rapida e compatta. Se ho provato a fare la maratona, stavolta tento non dico i 200 metri ma il mezzofondo.
Grazie per la disponibilità e alla prossima!
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