I listelli di legno del parquet scricchiolarono sotto il suo peso, poi più nulla: doveva aver raggiunto uno dei tanti preziosi tappeti che ornavano i pavimenti dell’elegante ufficio.

Il buio era quasi totale: solo qualche lieve sprazzo di luce filtrava dalle porte socchiuse che si affacciavano sul corridoio. Aiutandosi più con la memoria che con la vista riuscì a evitare le sedie e i pesanti scrittoi, attraversò l’imponente arcata di pietra e raggiunse la Sala Magistrati.

Fece ancora qualche passo, poi, improvvisa una voce roca.

- Chi c’è lì?

Ludovisi sussultò, mentre una morsa gli strinse lo stomaco.

- Sono il Dottor Ludovisi... Chi è ? - disse con tono autoritario all’oscurità.

Come per magia il gigantesco lampadario di cristallo della sala si illuminò, accecando quasi il magistrato. L’uomo si guardò cautamente attorno: dalle pareti lo fissavano i volti solenni e severi dei Procuratori Generali del passato, ritratti e consegnati all’eternità dai migliori artisti del loro tempo.

- Dottore, ma è proprio lei? Che cosa ci fa qui e a quest’ora? - la voce roca si fece più vicina e finalmente Ludovisi riuscì a individuarne il proprietario.

Era un uomo anziano, alto e dal viso severo: uno dei cancellieri dell’Ufficio.

- C’è stato un furto con scasso da noi -disse seccamente- e la porta di servizio della Procura Generale era aperta...

- Allora l’ha sentito anche lei... Sa, ero qui in attesa della messa di mezzanotte e ho sentito sbattere una porta... Stavo per chiamare il piantone di sotto quando ho sentito dei passi... E ho incontrato Lei.

- C’è qualche altra uscita, da questa parte? - chiese il magistrato.

- L’ingresso principale è in fondo al corridoio, ma io arrivo da lì e non ho visto nessuno... E tutti gli uffici dei signori Consiglieri sono sbarrati...- fu la risposta.

Il giovane si appoggiò al pesante tavolo intagliato che campeggiava nella Sala.

- Facciamo il punto della situazione: poco fa qualcuno si è introdotto nella Procura della Repubblica, qui accanto, ha scassinato uno degli armadi, proprio quello dei corpi di reato poi, accortosi di non essere solo è scappato dall’uscita secondaria. E si è infilato qui in Procura Generale attraverso il portoncino di servizio. Evidentemente si tratta di qualcuno che conosce molto bene i nostri uffici: secondo lei dove potrebbe andare un fuggiasco che non può tornare indietro perché ci sono io e non può raggiungere il portone principale, perché lì c’è lei?

Il vecchio aggrottò le sopracciglia cespugliose che spiccavano, candide, sul viso lungo e scavato.

- Forse sul tetto... - azzardò.

- Sul tetto?

- Si, ci si arriva dall’archivio, la porta è qui vicino: poi può aver fatto un salto sul tetto del palazzo di Barolo, in via delle Orfane che è qui accanto. Di là è facile scendere, aiutandosi con i cornicioni e i tubi di scarico...

Ludovisi annuì pensoso: aveva un senso...

- Vogliamo andare a vedere? - chiese il vecchio - Non credo ci sia pericolo. O preferisce che chiami il piantone giù, alla porta carraia? Ho solo timore che poi si vada a disturbare l’Eccellenza , magari per nulla, e sa...

- Per adesso andiamo noi. Se possiamo risolvere il caso senza rovinare il Natale a nessuno ben venga. Poi ci penserò io a fare la mia relazione... Anche all’Eccellenza. - fu la risposta, asciutta.

Le scale di pietra dell’archivio erano malamente illuminate da una vecchia lampada, mentre il sottotetto che conduceva alla porticina del terrazzo era oscuro, gelido e invaso da due secoli di polvere e detriti.

Una volta arrivati, Ludovisi aprì con difficoltà la malandata porta metallica , poi si avventurò sul terrazzo. Fuori aveva smesso di nevicare e il dolce profumo di legna proveniente dalle centinaia di camini tutt’attorno gli riempì, irrazionalmente gli occhi di lacrime.

L’immenso terrazzo era coperto da una coltre candida e compatta e luccicava debolmente alla pochissima luce che riusciva ad arrivare dai lampioni lontani.

Ludovisi fece due passi nella neve, immacolata e soffice come un manto: sul tetto della vecchia Curia Maxima regnava, assoluta, la pace.

Nessuno era passato di lì: se ne rese conto nel medesimo istante in cui il grosso coltello gli entrava nella schiena.

Non ebbe nemmeno il tempo di gridare: fece solo un mezzo giro, prima di cadere e i suoi occhi che già si velavano incontrarono quelli del vecchio cancelliere, che sembravano ardere nel buio.