Amore caro è una raccolta di lettere di scrittori, giornalisti e artisti, curata da Clara Sereni. Il libro affronta la tematica dell’amore e del rapporto verso il disabile con profondità, grande serietà, lucidità implacabile e dona al lettore una carica emozionale inedita. Se il diverso è solitamente messo in ombra, la naturale conseguenza è che poco si ha cognizione e poco ci si prende la briga d’investigare su quali tipi di legami s’instaurino col mondo vicino. Solo chi ha un contatto diretto sa come si sentono genitori, figli, fratelli, compagni delle persone diversamente abili. Solo loro conoscono l’Amore caro, un amore che, come dimostra la curatrice nell’introduzione, è fatto di affetto infinito ma anche di sofferenze, muri di gomma, indifferenze, impegno economico. Un Amore che è caro in ogni senso, ma che travalica la banalizzazione della gente comune, la stessa che ha descritto il regista Franco Amurri al fratello Lorenzo, rimasto paralizzato in seguito a un incidente: «Amore caro, ti confesso che, prima del 12 gennaio 1997, non avevo una chiara idea di cosa fosse un disabile. Forse anch’io, come tanti in Italia, me li immaginavo a casa con una copertina sulle gambe, nascosti, accuditi, tollerati da una solerte e interminabile schiera di parenti.»          

In queste pagine, il buonismo è bandito e i dubbi hanno, per iscritto, lo spazio che concesso loro dal pensiero, come racconta Oliviero Beha  a proposito della figlia: «Quando era piccola, la tentazione di lasciarla un po’ perdere era forte. Forse ancestrale. Forse era semplicemente la molla per sottovalutare i suoi handicap e valorizzare le tracce della sua normalità.»  

La testimonianza di Giovanni Maria Bellu dimostra quanto sia necessario, da parte dei familiari, armarsi di senso pratico, di capacità di leggere le reazioni e gli sguardi altrui per poi classificarli:  «1) l’imbarazzo del prossimo; 2) l’ottusità della burocrazia; 3) il pietismo peloso; 4) le “persone meravigliose”; 4) le prodezze di Ludovico[il figlio]; 5) le piccole cose che ci semplificherebbero la vita.»

Eppure, senza retorica, molti dei problemi quotidiani vengono risolti con la spontaneità di un pensare positivo. Paola Free Martin, che vive con le conseguenze di un grave trauma da anossia subito alla nascita risponde a Gloria Buffo: «La mia vita è facile. Non è difficile. Tu hai una vita difficile? No? Si? Io chiedo, spiega.» Dall’amore per la vita al desiderio, il passo è breve e Paola Cortellesi stila un biglietto non canonico per la Befana: «Vorrei che [mio cugino] C. controllasse mani e piedi quando hanno l’impulso di picchiare qualcuno. Vorrei che C. seguisse esattamente tutti i miei ragionamenti e portasse a termine una conversazione senza saltare di palo in frasca[...]»        

Toccanti le parole della scrittrice Barbara Garlaschelli, perché parole d’amore a trecentosessanta gradi: «Essere su una sedia a rotelle e avere una disabilità fisica del cento per cento significa aver bisogno sempre di qualcuno che ti aiuti. Significa che chi ti sta vicino –e di solito sono i genitori; talvolta in casi felici come il mio, anche un compagno– si sente addosso la responsabilità della propria vita e della tua. [...] E sono certa che è l’amore l’unico collante possibile. É l’amore, nient’altro. L’amore in tutta la sua nuda potenza. Quello fatto di generosità, egoismo, paura, ribellione, devozione, affetto, calore, rabbia. É quello, e basta.»    

Altro spazio privilegiato, quello delle passioni. Come la passione per la musica, fondamentale nella vita di Valentina Locchi, da tutti ricordata come la memorabile concorrente non vedente di Sarabanda: «Cara musica, il mio rapporto con te è iniziato con la scoperta dell’affascinante mondo del suono, di cui ho ben presto fatto una vera e propria ragione di vita.» Ma la passione può essere anche quella tutta istintiva e incontrollabile che porta una madre ad amare incondizionatamente il proprio figlio autistico e a respirarne la magia, così Kikka Menoni: «Ti ho soprannominato Magic Marcus perché ti aggiri sempre con la bacchetta magica in mano.»

Pulsatilla, con lo stile intenso e immediato che le è proprio, rievoca il calvario causato dalla malasanità e dal pressapochismo, insieme ad un altro travaglio, quello personale e sofferto di una ragazza che ha il padre affetto da bipolarismo, sodomia punitiva e paranoia, elementi che avrebbero «fatto di te un internato dell’ospedale psichiatrico, di mamma una depressa cronica e di me, immagino, un’onorata scrittrice»

Al fratello Marco Savino, poeta e disegnatore costretto alla paralisi dopo essersi gettato dal quarto piano del suo appartamento, scrive Lunetta Savino mandandogli il suo augurio «Caro Marco, io spero, per te, dal profondo del cuore, che comunque siano andate le cose tu possa dire un giorno: ne è valsa la pena, ho lottato e ho vinto la mia partita con la vita».

Un libro bellissimo, da leggere tutto d’un fiato e da chiudere sentendosi davvero più ricchi.