Concepito inizialmente come un mezzo per risollevare le finanze pericolanti della RKO, Il bacio della pantera è diventato, col passare degli anni, molto più di un film dimenticato assurto a piccolo cult. Infatti la prima pellicola prodotta dall’eclettico Val Lewton è insieme inizio di una avventura produttiva e concettuale, sedimentazione di un approccio stilistico divenuto col tempo grammatica essenziale del noir e fucina creativa che ha alimentato la fabbrica dei sogni hollywoodiana, consentendo a specifiche esigenze autoriali di confluire nelle pulsioni ludiche della società di massa.
Il film fu concepito e realizzato dalla Unit-B della RKO, unità dedicata a “sfornare” lavori caratterizzati dall’esiguo budget a disposizione, dalla rapidità con cui venivano portate a termine le riprese (non più di tre settimane) e dalla duttilità con cui si riutilizzavano le risorse (dagli autori già sotto contratto alle scenografie approntate per altri film). Da questa modalità – produttiva più che estetica – nacque uno dei termini cinematografici più abusati e fraintesi: il B-movie, pellicola che doveva affiancare il film principale nella programmazione delle sale americane, in un periodo (siamo agli inizi degli anni 40) in cui l’offerta del doppio spettacolo era una pratica comune.
È quindi in un’ottica dettata dal “dover fare di necessità virtù” in cui il sottotesto, la tonalità e l’ambiguità del noir sono libere di esprimersi appieno per dar vita al piccolo capolavoro che è Il bacio della pantera. Nonostante le forti limitazioni economiche che gravavano sul budget, l’esordio alla produzione di Lewton fu anche un autentico successo al botteghino incassando ben quattro milioni di dollari (a fronte di un costo di centotrentaseimila).
Partendo da una trama non troppo originale – Irina (Simone Simon), disegnatrice di origine serba, è vittima di un’antica superstizione che le fa credere di poter diventare una pantera nel momento in cui un uomo tentasse di baciarla – il regista Jacques Tourneur declina in maniera impeccabile quelle caratteristiche che tutt’oggi vengono riconosciute come canoni compositivi del metagenere noir: l’ossessione e l’instabilità mentale della protagonista, le ampie zone di oscurità del campo dell’inquadratura, l’utilizzo di uno stile evocativo che invece di mostrare, suggerisce (da manuale la scena del bus e quella della lotta dello psicologo con la belva).
Destabilizzazione della luce e degli affetti; questo, sembra ricordarci Tourneur con l’ausilio del maestro delle ombre Nicolas Musuraca, è la vera ragion d’essere del noir.
La scheda del film
Regia: Jacques Torneur
Sceneggiatura: DeWitt Bodeen
Cast: Simone Simon (Irena Dubrovna Reed), Kent Smith (Oliver Reed), Tom Conway (Dr. Louis Ludd), Jane Randolph (Alice Moore), Jack Holt (The Commodore).
Fotografia: Nicholas Musuraca
Musica: Roy Webb
Produzione: Val Lewton
Durata: 73’
Origine: USA 1942
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